giovedì 31 dicembre 2020
Damiel e Cassiel
mercoledì 30 dicembre 2020
ora so ciò che nessun angelo sa
il fuoco ai bordi del pascolo
le patate nella cenere
il capannone delle barche sul lago
la croce del sud
l'oriente lontano
l'ovest selvaggio
il grande lago dell'orso
di Peter Handke
domenica 20 dicembre 2020
cado
cado, mi faccio male.
accade spesso ultimamente.
perchè cado?
cado e questa volta anche mi spavento un po',
cado per strada, non inciampo, cado e basta e sono al semaforo.
cado, in avanti e finisco in strada.
cado, in avanti, e mi proteggo con le mani.
mi faccio male, una botta al ginocchio e una, potente, alla mano che ha frenato la caduta in avanti.
cado, mi avranno visto dalle macchine.
cado e una signora, con una bambina, mi chiede se mi sono fatta male
si.
cado e mi rialzo, spaventata, e le dico si, mi sono fatta male.
forse spiazzata dalla mia risposta, di solito si dice: no non è niente, la signora mi dice:
SI APPOGGI AL PALO
e se ne va.
si appoggi al palo?
una locuzione senza senso, ma non avrà trovato nel suo vocabolario e nel suo codice simbolico nulla d'altro da dirmi.
si appoggi al palo o si impicchi al palo?
cado e finisco nel non senso, mio e dell'Altro.
giovedì 10 dicembre 2020
Oropesa sulle tracce di Vettriano
l'immagine più bella, ma ne ho in mente parecchie, dalla prima on line della Scala del 7 dicembre 2020 è quella di “Regnava nel silenzio” da Lucia di Lammermoor di Donizetti con Lisette Oropesa.
all'immagine si unisce la bellezza del canto.
ma l'immagine ha avuto una potenza dirompente, almeno in me.
e mi ha ricordato altre immagini, alle quali certamente Davide Livermore si è isprirato, senza particolari misteri
Jack Vettriano, che campeggia a casa mia.
Macron Al Sisi e la legion d'onore
domenica 6 dicembre 2020
Suarez, non è una vignetta
no, non lo è.
questo episodio della nostra contemporaneità concentra in sé le tragedie i lutti le perdite le meschinità irrecuperabili inemendabili del nostro tempo.
si svolge in un ateneo, non nei sobborghi, in un'università non nei non-luoghi della sottocultura planetaria.
si svolge in Italia, ove accogliamo migliaia di migranti e dove milioni di migranti lavorano, partecipano del bene comune, pagano le tasse, crescono, almeno loro, figli e li mandano nelle nostre scuole. è il paese in cui si è rinunciato a votare in favore dello ius soli.
è un episodio che ci parla di un sovranismo desolante dell'io, meschino e deplorevole, un io inabissato, naufragato, nella cattività, senza varco verso l'altro e il mondo.
possiamo dare la cittadinanza a chi non lo merita, a chi non ne ha i requisiti rispondendo solo al credo del dio sovrano del denaro, delle società di calcio, del potere e del vuoto di senso che ci comandano.
la cultura si piega al commercio, alla svendita della dignità in nome del denaro. e nemmeno del denaro che porta, ma del denaro che si rappresenta, quindi difronte all'idolatria del denaro.
un docente universitario trema di gioia e viene nelle mutande al pensiero di avere di fronte, e di favorire, quell'italiano che gli porterà a casa un gol, un pallone nella rete.
intendiamoci, siamo immersi nello sfacelo liquido della putrefazione, ma questo è un pugnale infilato nella testa attraverso un occhio, è la fine definitiva della decenza.
è la fine di tutto.
liberatemi.
giovedì 3 dicembre 2020
vignetta Cremonini sulla schizofrenia
c'è da sbellicarsi.oppure da gridare allo scandalo.non so, vedete voi.leggo sul giornale, l'accreditato Corriere della Sera, qualche giorno fa, un'intervista a Cesare Cremonini.non sono una fan, ma lo conosco, e ho letto l'intervista perchè attirata, come una falena, dal titolo che mette in mezzo, udite udite, la schizofrenia.ciumbia!!siamo sicuri?roba grossa.
venerdì 27 novembre 2020
il locomotore della nuova Russia in corsa verso l’avvenire
giovedì 26 novembre 2020
maltrattamento
la violenza sulle donne passa e si afferma in diverse forme.
si insinua anche in modo strisciante ma incontestabile.
ho fatto la mammografia, tre giorni fa, e sono stata curata e assistita da una giovane tecnica di radiologia che ha reso questa tortura, intendiamoci dolorosa si ma veloce e transitoria, più che tollerabile.
mi sono approssimata alla macchina con molto timore perché reduce da esperienze, devo dire, piuttosto traumatiche.
ho cambiato luogo di cura, per una questione di disponibilità, dalla clinica Sant'Ambrogio, a due passi da casa mia, alla clinica San Luca Auxologico, solo di pochi km più distante. nel primo presidio hanno chiuso tutto (e a questo punto dico grazieaddio), nel secondo si possono fare le mammografie con una lista di attesa davvero brevissima. una manna dal cielo.
questo spostamento ha creato una voragine e dentro di me una consapevolezza.
sono stata maltratta.
il tecnico di radiologia della Sant'Ambrogio è stato sadico e maleintenzionato, oltre che stupido per una frase infelice che ha espresso prima dell'esecuzione dell'esame che avrebbe dovuto sollevarlo da qualsiasi denuncia di manipolazione delle mie tette.
quella frase e il modo di trattarmi mi sono risultati subito fastidiosi e ho certamente pensato che era un fesso che faceva anche male il suo lavoro.
ma quando ho fatto la mammografia lunedì mi sono resa conto di qualcosa di più.
a parte la grazia e la gentilezza con cui sono stata aiutata a posizionarmi, lo schiacciamento effettuato sulle mie mammelle, necessario per fare la fotografia radiologica, è stato molto ma molto ma molto inferiore rispetto a quello che mi è stato inflitto per anni presso quella clinica degli orrori.
un dolore paragonabile per un uomo è forse, potrebbe essere, quello che si può manifestare ai testicoli con un colpo assestato con violenza. quello schiacciamento tra due lastre di plastica, seppure abbastanza breve, ma non proprio istantaneo, è doloroso. tanto più doloroso tanto più viene serrato e tanto più viene prolungato.
ora so con certezza che la pressione che ho subito sul mio seno è stato di molto superiore e di molto più doloroso di quanto probabilmente fosse necessario per ottenere una radiografia del mio tessuto mammario.
il signore che ho incontrato gli altri anni, che si difende da subito dicendomi se ti strizzo non per per piacer mio ma per far piacere a dio (ma poi strizza eccome), è un bastardo sadico perverso che mi ha volutamente fatto male approfittando della mia posizione di totale inermità causata dalla situazione di obbligo in cui mi trovo nel momento di cui eseguo l'esame diagnostico.
questo è un maltrattamento sessista.
sabato 14 novembre 2020
Le parole mi sfuggono
lunedì 9 novembre 2020
fuori accadono cose che nessuno riesce a capire
venerdì 6 novembre 2020
Il grigio in compenso ce la mette tutta
domenica 1 novembre 2020
Orfeo e Euridice: lei non capì e in un soffio chiese: Chi?
lo avevo comprato nel 2015, un natale, dopo aver seguito una lezione aperta, in occasione di Book City, presso l'Università degli studi di Milano, a Sesto San Giovanni, Dipartimento di Studi Filologici, Letterari e Linguistici.
a pensarci faccio cose davvero pazzesche. mi ricordo, erano le 17, avevo scovato la lezione nel programma vastissimo di book city, ci ho messo un bel po' a trovare l'aula, era pieno di ragazzi, soprattutto ragazze, e all'inizio non c'era posto per sedersi. i miei appunti, che ho ritrovato, lo dimostrano, non avevo posto per scrivere e ho scritto pochissimo. come me ne rammarico.
la lezione: il mito greco nella danza contemporanea: da Pina Bausch alla compagnia Abbondanza-Bertone. lezione aperta di Marina Cavalli, con la partecipazione di Elisa Ferrari. Nella forma di lezione-spettacolo, verranno presentati, con ampia selezione video, alcuni momenti fondamentali dell’invenzione coreografica di Pina Bausch, che portano sulla scena due temi mitici costantemente presenti nella comunicazione poetica occidentale. Le forme e i significati dei modelli antichi, che hanno tramandato la vicenda di Orfeo e quella di Ifigenia, saranno confrontati con la rielaborazione di Pina Bausch, per identificarne le scelte di trasposizione nel genio di un linguaggio puramente corporeo.
in effetti per una cosa così sono disposta a scommettere molto e molto tempo impiegarci. e in effetti fu una scelta felice e invece non sempre ho azzeccato gli incontri giusti, soprattutto a Book City (quest'anno sarà on line, se sbaglio faccio presto a cambiare, il corpo non implicato implica meno sacrificio, sempre).
dalla splendida lezione avevo portato a casa una gran voglia. oltre che di iscrivermi all'università che voglio io e non quella che gli altri hanno voluto per me, di vedermi il balletto di Orfeo e Euridice. e avevo preso il cd. me lo sono visto ieri sera e mi sono ritrovata in un gran bel posto. il posto magnifico della danza di Pina Bausch con la romantica musica di Gluck, con il corpo di ballo dell'Opera National de Paris, e con la poesia di Rilke a orientarmi.
ultimamente ho sviluppato una grande curiosità per il mito greco classico, mi sono vista tutta la produzione di Latella della saga degli Atridi, ben otto spettacoli (ma il lockdown è stato lungo) e ritrovarmi tra le pagine di Orfeo che vede la sua Euridice morire due volte è stato coinvolgente.
la scenografia è potente, a ogni figura dell'opera corrisponde un ballerino e sono insieme sul palco, il ballo sostiene il canto e il canto dirige il ballo. un'idea luminosa.
il corpo di ballo segue onde suggestive, soprattutto il corpo femminile, che fluttua in serici lunghi vestiti, unito a quello delle altre crea armonie straordinarie.
il balletto è bellissimo, Orfeo, come sosteneva Savinio, un Orfanos, un uomo solo, il solo per sempre senza amore.
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faccio dono del poema di Rilke, di Lei, la Tanto Amata.
Come una lunga chioma era già sciolta,
come pioggia caduta era diffusa,
come un raccolto in mille era divisa.
Ormai era radice.
E quando il dio bruscamente
fermatala, con voce di dolore
esclamò: Si è voltato -,
lei non capì e in un soffio chiese: Chi?
venerdì 30 ottobre 2020
Limonov
non credo riuscirò a finirlo prima dello scadere del mese di prova.
mi sono iscritta a Audible e mi sono scaricata Limonov di Emmanuel Carrère.
ma siccome sono carcerata in casa e non vado più al lavoro in quel di Cologno con una media di 45-50 minuti andata e 30 ritorno, se mi va bene, la mia lettura, la mia audiolettura ne ha risentito parecchio.
quindi non lo finirò, domani la carrozza si trasforma in zucca.
mi dispiace?
NO.
anzi, potrebbe essere la giusta fine di una lettura mediamente infelice.
ho iniziato con qualche curiosità, che si è mantenuta quasi costante per i primi capitoli, ma, con una caduta direi verticale, si è ridotta ai minimi termini con il passare degli anni fino a rasentare la noia attiale.
diciamo che la fondazione del partito nazional-bolscevico, con quell'altro genio di Aleksandr Dugin, di ispirazione fascista e comunista, che ha adottato come proprio simbolo la falce e il martello all'interno d'un cerchio bianco su sfondo rosso, fondendo così il simbolo del comunismo al vessillo del Partito Nazionalsocialista Tedesco dei Lavoratori e della Germania nazista, in una bandiera dove la svastica nera è sostituita appunto dal simbolo socialista sempre dello stesso colore, mi è sembrato il fondo possibile di una parabola che potrei solo definire molto triste.
siamo nell'idiozia.
tutta la storia di questo soggetto è alla fine, per me, di fascino pari a zero.
capisco che la prima parte mi ha attratta. e parecchio, per la storia dell'Unione Sovietica che porta con sè, Limonov è nato Eduard Veniaminovič Savenko a Dzerzhinsk, nell’Ucraina in guerra contro l’Asse nel 1943, e poi cresciuto nei poverissimi slum di Kharkov. ma, comunque, alla lunga, dopo anni di Parigi e Stati Uniti, arrivare alla caduta del muro di Berlino senza sbadigli è stata dura.
riconosco i tratti di una personalità disturbata, di una ricerca costante di un'aura di originalità, alimentata da un narcisismo cosmico, di gente così in giro ne abbiamo già parecchia, e che questo sia riuscito più di altri, con atti di fanatismo filo serbo e altre amenità perverse, ad attirare su di sè l'attenzione che voleva non lo trovo di grande interesse narrativo.
mi sono ritrovata a desiderare in molti momenti che tornassero in scena le sua vicende sentimentali per riuscire ad avere qualche spunto riflessivo, ma no, dai, qualche motivo di intrattenimento che giustificassero il mio trattenermi all'ascolto. quindi c'è qualcosa che non va.
credo che il tempo sia scaduto. game over.
giovedì 29 ottobre 2020
La valle dell'Eden
in buona sostanza Dean ne ha fatti 3 e nel giro di due anni. forse anche meno. quando è uscito Il gigante, nel 1956, James Dean era già morto.
un incidente se l'è portato via e capisco che la morte, violenta e prococissima su un personaggio ancora tutto in potenza, può fare molto di più di una vita intera.
di Dean amo molto la foto sotto la pioggia newyorkese a Tomes Square, di Dennis Stock, anche lì, non puoi sapere che la morte farà della tua foto, riuscita, un modello iconico di portata mondiale. una consacrazione per l'eternità.
io immagino che quella faccia, quella mobilità, quel modo schivo, furtivo, a tratti quasi bizzarro, siano più dell'uomo che dell'attore, troppo acerbo per fare qualcosa che non fosse se stesso. anche perchè anche in questo film, una specie di sermone biblico, una tragedia incrocio tra il ritorno del figliol prodigo e la rottura della fratellanza tra Caino e Abele, io trovo un James Dean troppo simile a quello del Il gigante. ritrovo quella ritrosia davanti alla macchina da presa, quel muoversi un po' impacciato , quel nascondere lo sguardo che penso appartengano al carattere di un ragazzo di 24 anni, più che alla prova attorale di un giovane talento.
ad ogni modo, non so fare l'analisi del mito, io solo mi diverto, in questa mia virale valle di lacrime, in questo mio terrore nell'erba, a vedere questi colossi, questi molossi cinematografici, film che sembrano cattedrali nel deserto, impianti visuali archeologici che già oggi, a distanza di soli 70 anni o quasi, parlano di un'era geologica estinta.
è come passeggiare tra i sette palazzi celesti di Anselm Kiefer.
comunque, avercene.
martedì 27 ottobre 2020
il Gigante
è tutto chiuso.
se anche mi arrivasse, dopo 5 giorni, l'esito del tampone di questa splendida regione della lombardia dell'eccellenza di sto piffero - ripeto CINQUE giorni - non avrei un solo posto dove andare.
quindi si riesumano serie TV, però insomma alla fine basta, oppure vecchi film, oppure oppure.
bene, ieri sera, con il morale a terra, ho visto il Gigante.
filmettino di 3 ore e 20 del 1956.
l'ultimo con James Dean.
uno dei tanti con Rock Hudson e Elisaberh Taylor.
un filmonissimo infinito epico ricco razzista strabordante denaro e boria di quella e questa fanastica America che non finisce mai di stupirmi, e di inorridirmi, e che aspetto al varco il 3 novembre se non si disintegrerà prima sotto il pandemonio apocalittico del coronavirus.
oggi acclamiamo l'arrivo della solita fanatica cattolica integralista antiabortista pistolera di destra Amy Coney Barrett. cara Ruth Bader Ginsburg, ci abbiamo perso non una, ma due volte con la tua insana decisione di andartene.
tornando al Texas de il Gigante, tutto si svolge nella polvere assolatissima di quella terra sconfinata e, guarda guarda, si butta anhe un occhio sulle popolazioni messicane asservite povere malate e segregate. ed ecco l'occhio benevolo della grande Hollywood che vede la nostra eroina del Maryland (mammamia come si fa a passare dal Maryland al Texas senza finire stabile due volte a settimana nello studio di uno psicoanalista!!), nota come Elisabeth Taylor, occuparsi amorevolmente delle cenciose madri e dei loro rachitici figli mentre è alle prese con un marito conservatore e una sorella gelosa e uno spasimante piuttosto bizzarro, ttrattasi di James, ovviamente. il bel Dean. passano gli anni e i figli crescono e il Texas si riempie di pozzi di petrolio e il nostro Dean si fa una doccia di oro nero e diventa sfondato, da sfigato che era, di soldi e di alcool. i cenciosi messicani defraudati delle loro terre - mettetevi in fila, siete solo gli ultimi di una lunghissima serie di diseredati sottomessi e annientati, non si accettano più reclami, the doctor is out- in fondo sono ancora lì, muri o non muri, al confine con il Texas, in campi profughi di varia disumanità, in fondo si è trattato di una profetica anticipazione.
ovviamente la retorica di cui trasuda il film è la sua disarmante bellezza, ormai abbiamo decodificato tutto e non ci caschiamo più ma l'incrocio tra libertà e tortura, tra spazi e angustie, tra immagine eroica e menzogna narrativa è il marchio di fabbrica di queste produzioni cinematografiche colossali.
cosa c'è di più irripetibile e consumato, masticato e digerito, dello stivale impolverato e del cappello da texano calcato sulla faccia scanzonata e bastarda di james dean? di un james dean a poche ore dalla sua morte.
lunedì 26 ottobre 2020
pandemia che è in me
sono sospesa in attesa del mio verdetto.
è cambiata l'aria, è cambiato perchè ora si la gente si ammala.
amici conoscenti colleghi familiari figli, prima erano solo gli altri, altri lontani, mai conosciuti e che mai conosceremo, andati scremati falciati, ora tocca a noi.
quanti siamo.
la creaura mitica della pandemia entra nelle nostre case e ci parla da vicino, ci suggerisce che ora è diverso, l'aria è cambiata, la storia è cambiata, l'era è finita, la biologia è segnata, il tempo è scandito, il mondo ha virato,
virato?
è diventato virale, si diceva, si dice. il virus è virale e ci infetta i pc e gli smart-phone, è il significante dominante, abbiamo virato, è virale, è veloce, una saetta, ormai mi anticipa.
ora la sento la pandemia, ora il virus è in me.
cosa mi ha contagiata? cosa mi ha immesso nella storia di questo secolo? un gesto, una dimenticanza, una sporcizia, un giro su me stessa, un eccesso, o una parola?
forse forse una parola mi ha contagiata e mi ha disancorata dal mondo.èlì che mi sono ammalata.
qulcosa, qualcuno, è stato, e voilà, sono nel corpo mitico della storia, 2020.
anni venti del 2000.
niente d grave sto bene aspetto il tampone di rientro ma sento che qualcosa è in me, è come se avessi cambiato sguardo, cambiato età, cambiato ritmo.
la pandemia ha buttato fuori gli anziani i deboli, li ha esclusi dal gioco, ora ha risparmiato me, ma perchè? come mai io sono ancora qui? la mia vità non è ancora abbastanza, ho anocora un residuo possibile, non sono ancora troppo "lunga". vivrò di più e vivrò meglio? oppure il molosso sopra e dentro di me ha cambiato qualcosa per sempre? io non vado veloce quanto il virus sulle ali del digitale, io sono davvero lentissima in confronto.
sono al collasso, sono un'assistita, entro in un'agonia, sono privata di potere e di valore. rimango così o sono destinata a una rinascita a una ricostruzione insieme alla struttura mondo che ripartirà dopo la caduta mondiale cosmica che ci sta rovinando addosso?
perdo salute perdo legami perdo lavoro perdo sostanza, perdo o mi rigenero?
venerdì 23 ottobre 2020
Black Summer
giovedì 15 ottobre 2020
Ren Hang
è tempo di morire
dice Roy prima di spegnersi e piegare la testa nella pioggia
siccome sto veramente male e non mi raccapezzo più mi sono rivista Bade Runner e Blade Runner 2049. e stiamo ancora applaudendo.
non so se è effetto di un coronavirus in visita o piuttosto di una forma gastrointestinale che con il corona non ha niente a che fare, in ogni caso sono un relitto. e in ogni caso ho fatto un tampone. sono tempi difficili e difficile è schivare i colpi della sfortuna. io non ci riesco.
lunedì, prima di questa dannazione che mi porterà all'inferno, ho visto la mostra alla Galleria Sozzani su Ren Hang, fotografo cinese morto a 30 anni dopo aver forsennatamente fotografato corpi.
ora, magari è perchè sto da cani, ma posso dire di non aver visto nulla di interessante, se non un gioco, sul filo della perversione, che fa del corpo un oggetto, una forma, un po' di carne e colore, una visuale sparaflashata con eccesso. ancora più perturbanti delle foto sono i filmini che lo vedono al lavoro. a me sembra un lavoro sessista, se per sessista intendiamo una discriminazione sessuale. non tra i generi, che si fondono in un mischione che non prevede differenze, ma tra il sesso e la vita. tutto è oggetto, massificato, carnificato, banalizzato, confuso, minimizzato. è stato come osservare lo scorrere della morte sotto i miei occhi. visioni paralizzanti, la pietrificazione dei vasi sanguigni a favore di un estetismo ossessionante.
eh si, è tempo di morire