bianco e nero

come una foto. in bianco e nero. nessuna concessione al colore, alla spettacolarita', ai nuovi barbari. bianco e nero colori vividi dell'essenziale, solo l'autenticita' della forma. della sostanza. l'occhio vede e non si inganna.
"questo e' il mio segreto.
veramente semplice.
si vede bene solo con il cuore.
L'essenziale e' invisibile agli occhi."
Il piccolo principe. A.d.S-E.

giovedì 31 dicembre 2020

Damiel e Cassiel

Rainer Maria Rilke, 
da “Elegie duinesi”

La prima Elegia: 
“Ma chi, se gridassi, mi udrebbe, dalle schiere 
degli Angeli? E se anche un Angelo a un tratto
mi stringesse al suo cuore: la sua essenza più forte
mi farebbe morire. Perché il bello non è
che il tremendo al suo inizio, noi lo possiamo reggere ancora, 
lo ammiramo anche tanto, perch'esso calmo, sdegna 
distruggerci. Degli Angeli ciascuno è tremendo. (…)” 

Nella seconda riprende: 
“Gli Angeli sono tutti tremendi. Eppure, ahimè, 
io invoco voi, uccelli d'anima che quasi fate morire, 
pur sapendovi. Dove sono i giorni di Tobia, 
quando uno dei più radiosi si stette all'umile porta di casa 
un po' travestito da viaggio e, così, già non più pauroso, 
(giovane al giovane che guardava fuori curioso). 
Si movesse ora l'Arcangelo, il pericoloso, 
si movesse da dietro le stelle 
di un passo soltanto, giù verso di noi: con la violenza 
del battito, ci ucciderebbe il nostro proprio cuore. 
Chi siete voi? (…)”

ho letto un commento interessante secondo cui, effettivamente, l'Angelo di Rilke non ha molto a che vedere con quelli del film di Wenders, anche se Rilke viene quasi sempre citato in questo caso. in Wenders il movimento è dall'esterno all'interno e dal distacco compassionevole al coinvolgimento, che fa sì che alcuni angeli decidano di diventare "umani" entrando a pieno titolo nella vita con le sue emozioni e unendosi agli uomini per condividerne le passioni.


nel caso di Bruno Ganz, Damiel, è l'innamoramento che spinge ad "entrare nel fiume", in Rilke il movimento è opposto: il grido sale dal basso verso l'alto ed è il poeta che deve compiere un lungo e doloroso percorso per incontrare il volto amichevole dell'Angelo, di cui all'inizio è presente solo l'aspetto terribile e inaffidabile, una bellezza terrifica, spaventosa, incomprensibile all'uomo. l'Angelo rimane l'abitatore dei due mondi, estraneo ed inafferrabile, e solo la preghiera lo rende il simbolo più perfetto del destino umano: quello di trasformare il visibile in invisibile.

mercoledì 30 dicembre 2020

ora so ciò che nessun angelo sa



ora so 
ciò che nessun angelo sa

narra, musa del narratore, 
l'antico bambino gettato ai confini del nulla 
e fa che in lui ognuno si riconosca.


come fui sul monte e arrivai al sole dalla nebbia della valle 
il fuoco ai bordi del pascolo
le patate nella cenere
il capannone delle barche sul lago
la croce del sud
l'oriente lontano
l'ovest selvaggio
il grande lago dell'orso

https://youtu.be/Etrhn2vI1Vw

Elogio dell'infanzia
di Peter Handke 

Quando il bambino era bambino, 
camminava con le braccia ciondoloni, 
voleva che il ruscello fosse un fiume, 
il fiume un torrente 
e questa pozzanghera il mare. 

Quando il bambino era bambino, 
non sapeva di essere un bambino, 
per lui tutto aveva un’anima 
e tutte le anime erano un tutt’uno. 

Quando il bambino era bambino 
non aveva opinioni su nulla, 
non aveva abitudini, 
sedeva spesso con le gambe incrociate, 
e di colpo si metteva a correre, 
aveva un vortice tra i capelli 
e non faceva facce da fotografo. 

Quando il bambino era bambino, 
era l’epoca di queste domande: 
perché io sono io, e perché non sei tu? 
perché sono qui, e perché non sono lì? 
quando comincia il tempo, e dove finisce lo spazio? 
la vita sotto il sole è forse solo un sogno? 
non è solo l’apparenza di un mondo 
davanti al mondo quello che vedo, sento e odoro? 
c’è veramente il male e gente veramente cattiva? 
come può essere che io, 
che sono io, non c’ero prima di diventare, 
e che, una volta, io, 
che sono io, non sarò più quello che sono? 
...
Quando il bambino era bambino,
per nutrirsi gli bastavano pane e mela, 
ed è ancora così. 

Quando il bambino era bambino, 
le bacche gli cadevano in mano come solo le bacche sanno cadere, 
ed è ancora così, 
le noci fresche gli raspavano la lingua, 
ed è ancora così, a ogni monte, 
sentiva nostalgia per una montagna ancora più alta, 
e in ogni città, 
sentiva nostalgia per una città ancora più grande, 
ed è ancora così, 
sulla cima di un albero prendeva le ciliegie tutto euforico, 
com’è ancora oggi, aveva timore davanti a ogni estraneo, 
e continua ad averlo, 
aspettava la prima neve, 
e continua ad aspettarla. 

Quando il bambino era bambino, 
lanciava contro l’albero un bastone come fosse una lancia, 
che ancora continua a vibrare. 

tutto
da Il cielo sopra Berlino 
Wim Wenders, 1987

capolavoro
Parole e pensieri 
Poesia
Il sorriso buono di Bruno Ganz
La scena della biblioteca 
Gli angeli, tremendi, di Rilke

capolavoro 

domenica 20 dicembre 2020

cado

cado, mi faccio male.

accade spesso ultimamente.

perchè cado?

cado e questa volta anche mi spavento un po',

cado per strada, non inciampo, cado e basta e sono al semaforo.

cado, in avanti e finisco in strada.

cado, in avanti, e mi proteggo con le mani.

mi faccio male, una botta al ginocchio e una, potente, alla mano che ha frenato la caduta in avanti.

cado, mi avranno visto dalle macchine.

cado e una signora, con una bambina, mi chiede se mi sono fatta male

si.

cado e mi rialzo, spaventata, e le dico si, mi sono fatta male.

forse spiazzata dalla mia risposta, di solito si dice: no non è niente, la signora mi dice:

SI APPOGGI AL PALO

e se ne va.

si appoggi al palo?

una locuzione senza senso, ma non avrà trovato nel suo vocabolario e nel suo codice simbolico nulla d'altro da dirmi.

si appoggi al palo o si impicchi al palo?

cado e finisco nel non senso, mio e dell'Altro.

giovedì 10 dicembre 2020

Oropesa sulle tracce di Vettriano

l'immagine più bella, ma ne ho in mente parecchie, dalla prima on line della Scala del 7 dicembre 2020 è quella di “Regnava nel silenzio” da Lucia di Lammermoor di Donizetti con Lisette Oropesa.

all'immagine si unisce la bellezza del canto.

ma l'immagine ha avuto una potenza dirompente, almeno in me.



e mi ha ricordato altre immagini, alle quali certamente Davide Livermore si è isprirato, senza particolari misteri

Jack Vettriano, che campeggia a casa mia.




Macron Al Sisi e la legion d'onore

mentre sulla base di due nuove testimonianze, e di molti altri elementi raccolti nel corso di ormai quasi cinque anni di indagini caratterizzati da un’interlocuzione con i magistrati egiziani a dir poco complicata e intermittente, la Procura di Roma ha chiuso le indagini e si appresta a chiedere il processo per la morte di Giulio Regeni per il maggiore Sharif (accusato anche di omicidio), il generale Tariq Sabir, il colonnello Athar Kamel Mohamed Ibrahim e il colonnello Uhsam Helmi (gli ultimi tre accusati solo di sequestro di persona)

e mentre il tribunale del Cairo decideva di tenere in carcere per altri 45 giorni Patrick Zaki

a Parigi

il sig. Emmanuel Macron, per il quale è notorio non ho mai provato alcuna simpatia, anzi, e consorte hanno incontrato il benemerito Al Sisi e pure lo ha onorato di una patacca retorica e abominevole quale la Grande Croce della Legion d’Onore della Repubblica francese, il tutto non ufficialmente registrato dall'entourage dell'Eliseo e in assenza dei media francesi ma solo reperibile attraverso il sito internet del regime autoritario egiziano.
le porcate immonde, invenzioni retoriche come il "dialogo esigente" di cui la Francia abbonda, si fanno di nascosto ma si sa, sono eludibili per poco.

certo cerchiamo di tenere duro ma finchè in Europa saremo governati da personaggi come questi sarà difficile mantenere intatta la coraggiosa fede nell'unione europea.

così, come per mimì e cocò che dirigono la regione Lombardia volgendola al fondo dell'abisso del ridicolo da una parte e dell'infimo dall'altra, c'è sempre da sperarare che alle prossime elezioni, regionali lombarde, nazionali, francesi ed europee, i dementi non ricevano ulteriore contributi in voti. ma sufficienti calci in culo e una generosa porzione di oblio e recessione in fondo classifica.


domenica 6 dicembre 2020

Suarez, non è una vignetta

 no, non lo è.

questo episodio della nostra contemporaneità concentra in sé le tragedie i lutti le perdite le meschinità irrecuperabili inemendabili del nostro tempo.

si svolge in un ateneo, non nei sobborghi, in un'università non nei non-luoghi della sottocultura planetaria.

si svolge in Italia, ove accogliamo migliaia di migranti e dove milioni di migranti lavorano, partecipano del bene comune, pagano le tasse, crescono, almeno loro, figli e li mandano nelle nostre scuole. è il paese in cui si è rinunciato a votare in favore dello ius soli.

è un episodio che ci parla di un sovranismo desolante dell'io, meschino e deplorevole, un io inabissato, naufragato, nella cattività, senza varco verso l'altro e il mondo.

possiamo dare la cittadinanza a chi non  lo merita, a chi non ne ha i requisiti rispondendo solo al credo del dio sovrano del denaro, delle società di calcio, del potere e del vuoto di senso che ci comandano.

la cultura si piega al commercio, alla svendita della dignità in nome del denaro. e nemmeno del denaro che porta, ma del denaro che si rappresenta, quindi difronte all'idolatria del denaro.

un docente universitario trema di gioia e viene nelle mutande al pensiero di avere di fronte, e di favorire, quell'italiano che gli porterà a casa un gol, un pallone nella rete.

intendiamoci, siamo immersi nello sfacelo liquido della putrefazione, ma questo è un pugnale infilato nella testa attraverso un occhio, è la fine definitiva della decenza.

è la fine di tutto.

liberatemi.


giovedì 3 dicembre 2020

vignetta Cremonini sulla schizofrenia

c'è da sbellicarsi.
oppure da gridare allo scandalo.
non so, vedete voi.
leggo sul giornale, l'accreditato Corriere della Sera, qualche giorno fa, un'intervista a Cesare Cremonini.
non sono una fan, ma lo conosco, e ho letto l'intervista perchè attirata, come una falena, dal titolo che mette in mezzo, udite udite, la schizofrenia.
ciumbia!!
siamo sicuri?
roba grossa.

vado a vedere. leggo.
il suddetto cantante riferisce di una fase buia della sua vita in cui avrebbe cominciato a sbarellare, isolamento, aumento ponderale, e un senso di oppressione.
va dallo psichiatra e gli spiega. c'ho un senso di angoscia come se avessi dentro un mostro.
lo psichiatra gli mostra (LO VOGLIO CONOSCERE!!!) una roba al pc e gli chiede: è questo?
e lui (VOGLIO CONOSCERE ANCHE LUI!!) gli dice si, è quello il mostro che ho dentro, un tipo brutto e peloso.
lo psichiatra gli dice: è schizofrenia, cammina e ti passa.
lui ha camminato e gli è passata.
così fa scrivere al giornalista (potrei conoscere anche questo??): HO SCONFITTO LA SCHIZOFRENIA.

di certo si tratta di una presa per il culo e di uno scherzo da burloni, da brutta vignetta umoristica.
il solo problema è che non vorrei che qualcuno pensasse che questa sia la schizofrenia e che Cremonini possa mai aver avuto qualcosa che nemmeno ci somigli, o pensare che dalla schizofrenia si esca con quel bel musino, quella carriera e quei soldi e quel successo, o che la schizofrenia abbia una faccia brutta da scovare sul pc o su Vimeo o se ne esca camminando. oppure che tutti i giornalisti siano così ignoranti. 

brutti tempi questi. è così di idioti in giro. 

venerdì 27 novembre 2020

il locomotore della nuova Russia in corsa verso l’avvenire

Ho già raccontato della meraviglia dei treni russi, delle piccole stazioni color fragola o pistacchio in cui si fermano in mezzo alle foreste, dei loro samovar fumanti, dell'originale geometria delle cuccette e dell'infinito, ordinato picnic che vi si consuma a bordo nelle lunghe percorrenze, sotto gli occhi di una materna hostess che tutto fa e tutto dispone. 
Quello che non ho ancora detto è la magnificenza dei loro biglietti decorati come banconote, solennemente titolati "documenti di viaggio, chiusi in custodie multicolori, perfetti souvenir col vostro nome in cirillico, gli orari di partenza e di arrivo, il numero del vostro passaporto e un'infinità di dati che ne fanno un documento irripetibile della vostra vita. Solo la stampigliatura del visto sul vostro passaporto reggerà al confronto. 
Sono di una tale bellezza barocca che li ho raccolti in una custodia e riposti nel comparto “cancelleria” dello zaino. Quello comprato per il periplo da Petrozavodsk a Perterburg-Ladozkaja, lungo la fascia frontaliera con la Finlandia, è di un tenue rosa ciclamino, con in alto una pomposa scritta Quietanza in cirillico marrone perfettamente in tinta, e in basso a destra la firma del bigliettaio, ricca di svolazzi ottocenteschi. La tratta da Olenegorsk a Kem, l’imbarcadero delle Isole Soloveckij, è rappresentata da un cartoncino di tinta prugna con decorazioni rosso fuoco, e a sinistra un’icona giallo oro, simile a una moneta, dov’è stampigliato il locomotore della nuova Russia in corsa verso l’avvenire. La guaina dei biglietti emessi dalla stazione centrale di Kalinigrad contiene una mappa della Russia con al centro un sole irradiante , e trascolora da un lato sull'altro su tutte le tonalità dell'arcobaleno. E' come se tutta la fierezza nazionale si concentrasse su questi pezzi di carta.
Ma i biglietti sono nulla rispetto alle biglietterie dell'ex Impero sovietico. In Russia il bigliettaio -più spesso la bigliettaia- è un pubblico ufficiale di rango, al quale bisogna rivolgersi con rispetto. L'atteggiamento deferente del popolo di fronte agli sportelli è una delle cose più interessanti che capita di vedere da queste parti. Già a Murmansk, Olenegorsk e Pietroburgo le code mi avevano svelato una diversa -molto più lenta- dimensione del tempo, con orari di apertura sfasati e disseminati di micro-intervalli per le pause sindacali (una ogni 45 minuti). Ma è stato solo a Kaliningrad che ho capito il loro complicato funzionamento.
..
Nessuno tenta di fare il furbo. Non so dire cosa generi questa solidarietà. Forse una "compassione" che nasce da una grande dolore condiviso, quello di un popolo che ha attraversato un secolo di orrori venendone segnato nell'anima. Fatto sta che anche la bigliettaia, di fronte allo straniero balbettante, cioè me, si intenerisce e si prodiga in raccomandazioni: "La partenza è alle 18.30, ma quella è l'ora di Mosca, dunque dovete essere qui alle 17.30". E poi ancora, con un'occhiata materna: "mi raccomando i passaporti, il treno è al binario 6."

Paolo Rumiz
Trans Europa Express

giovedì 26 novembre 2020

maltrattamento

la violenza sulle donne passa e si afferma in diverse forme.

si insinua anche in modo strisciante ma incontestabile.

ho fatto la mammografia, tre giorni fa, e sono stata curata e assistita da una giovane tecnica di radiologia che ha reso questa tortura, intendiamoci dolorosa si ma veloce e transitoria, più che tollerabile.

mi sono approssimata alla macchina con molto timore perché reduce da esperienze, devo dire, piuttosto traumatiche.

ho cambiato luogo di cura, per una questione di disponibilità, dalla clinica Sant'Ambrogio, a due passi da casa mia, alla clinica San Luca Auxologico, solo di pochi km più distante. nel primo presidio hanno chiuso tutto (e a questo punto dico grazieaddio), nel secondo si possono fare le mammografie con una lista di attesa davvero brevissima. una manna dal cielo.

questo spostamento ha creato una voragine e dentro di me una consapevolezza.

sono stata maltratta.

il tecnico di radiologia della Sant'Ambrogio è stato sadico e maleintenzionato, oltre che stupido per una frase infelice che ha espresso prima dell'esecuzione dell'esame che avrebbe dovuto sollevarlo da qualsiasi denuncia di manipolazione delle mie tette.

quella frase e il modo di trattarmi mi sono risultati subito fastidiosi e ho certamente pensato che era un fesso che faceva anche male il suo lavoro.

ma quando ho fatto la mammografia lunedì mi sono resa conto di qualcosa di più.

a parte la grazia e la gentilezza con cui sono stata aiutata a posizionarmi, lo schiacciamento effettuato sulle mie mammelle, necessario per fare la fotografia radiologica, è stato molto ma molto ma molto inferiore rispetto a quello che mi è stato inflitto per anni presso quella clinica degli orrori.

un dolore paragonabile per un uomo è forse, potrebbe essere, quello che si può manifestare ai testicoli con un colpo assestato con violenza. quello schiacciamento tra due lastre di plastica, seppure abbastanza breve, ma non proprio istantaneo, è doloroso. tanto più doloroso tanto più viene serrato e tanto più viene prolungato.

ora so con certezza che la pressione che ho subito sul mio seno è stato di molto superiore e di molto più doloroso di quanto probabilmente fosse necessario per ottenere una radiografia del mio tessuto mammario.

il signore che ho incontrato gli altri anni, che si difende da subito dicendomi se ti strizzo non per per piacer mio ma per far piacere a dio (ma poi strizza eccome), è un bastardo sadico perverso che mi ha volutamente fatto male approfittando della mia posizione di totale inermità causata dalla situazione di obbligo in cui mi trovo nel momento di cui eseguo l'esame diagnostico.

questo è un maltrattamento sessista.

sabato 14 novembre 2020

Le parole mi sfuggono

da bookcity 2020

22 Gennaio 1937 
BBC Virginia Woolf alla radio: L’Arte delle parole 
Nel 1937 la BBC mandò in onda una serie di conversazioni dal titolo “Le parole mi sfuggono”, il 20 aprile venne trasmesso l’intervento di Virginia Woolf, che possiamo riascoltare andando al sito: http://atthisnow.blogspot.com/2009/06/craftsmanship-virginia-woolf.html
traduzione in italiano fatta da Valentina Dolciotti e Silvia Giordano 

parole, le parole inglesi sono piene di echi, di memorie, di associazioni. Sono state in giro e hanno circolato sulle labbra della gente, nelle loro case, nelle strade, nei campi per così tanti secoli. Ed è proprio quella una delle principali difficoltà nella scrittura di oggi – che le parole sono ammassate con altri significati, con altre memorie, e contratto matrimoni tanto celebri nel passato. La splendida parola “vermiglio” per esempio – chi potrebbe farne uso senza ricordare gli “innumerevoli mari”? Una volta, certamente, quando l’inglese era una lingua nuova, gli scrittori potevano inventare nuove parole, adoperarle. Oggigiorno è abbastanza facile inventare parole nuove – salgono sulle labbra ogni volta che abbiamo una nuova visione o proviamo una nuova sensazione – ma non possiamo servircene a causa del lungo retaggio della lingua inglese. Non è possibile usare una parola nuova di zecca all’interno di una lingua antica per l’ovvio e misterioso fatto che una parola non è un’entità a se stante, ma parte di altre parole. In realtà non è parola fino a quando non diventa parte di una frase. Le parole appartengono le une alle altre anche se, certamente, solo un grande poeta sa che la parola “vermiglio” appartiene a “innumerevoli mari”. Combinare parole vecchie con parole nuove è fatale per la costituzione della frase. Per utilizzare propriamente nuove parole bisognerebbe inventare un intero nuovo linguaggio; e questo, sebbene lo approfondiremo, non riguarda per ora la nostra indagine. Nostro interesse è vedere quel che possiamo fare con il vecchio inglese per quello che è. Come possiamo combinare le vecchie parole in nuovi ordini così che sopravvivano, così che creino bellezza, così che dicano la verità? Ecco la domanda. 
E la persona che sapesse rispondere a questa domanda meriterebbe qualsiasi corona di gloria che il mondo abbia da offrire. Pensate cosa potrebbe significare se voi poteste insegnare, o se poteste apprendere l’arte della scrittura. Perché, ogni libro, ogni quotidiano che aprireste, direbbe la verità, o creerebbe bellezza. Ma detto ciò, tuttavia si porrebbero, comparirebbero inevitabilmente degli ostacoli lungo la via, un impedimento nell’insegnare le parole. Eppure in questo momento almeno un centinaio di professori stanno tenendo una lezione sulla letteratura passata, almeno un migliaio di critici stanno commentando letteratura del presente, e centinaia su centinaia di giovani uomini e donne staranno sostenendo esami in letteratura inglese a pieni voti, e ancora – scriviamo meglio, leggiamo meglio di come abbiamo letto e scritto quattrocento anni fa quando noi eravamo senza senso critico, senza conferenze, senza istruzione? 
La nostra moderna letteratura georgiana è una toppa su quella elisabettiana? Dunque, a chi daremo la colpa? Non ai nostri professori; non ai nostri critici; non ai nostri scrittori; ma alle parole. Sono le parole che vanno incolpate. Sono le più selvagge, le più libere, le più irresponsabili e meno educabili fra le cose. Naturalmente le puoi acchiappare e classificare e piazzarle in ordine alfabetico nei dizionari. Ma le parole non vivono nei dizionari; loro vivono nella mente. Se volete una prova di questo, considerate quanto spesso in momenti di emozione, quando abbiamo più bisogno di parole non ne troviamo nessuna. E il dizionario c’è, a nostra disposizione sono mezzo milione di parole tutte in ordine alfabetico. Ma le sappiamo usare? No, perché le parole non vivono nei dizionari, vivono nella mente. Guardate ancora una volta ai dizionari. Lì, al di là di ogni dubbio giacciono opere ancora più splendide di Antonio e Cleopatra, poesie più amabili di Ode all’usignolo, novelle davanti alle quali Orgoglio e Pregiudizio e David Copperfield sono grossolani pasticci da dilettante. È solo questione di trovare le parole giuste e metterle nell’ordine esatto. Ma non possiamo farlo perché non vivono nei dizionari; vivono nella mente. E come vivono nella mente? Variamente e stranamente, come molti degli esseri umani vivono gironzolando qui e là, innamorandosi, accompagnandosi. È vero che loro sono molto meno legate da cerimonie e convenzioni di quanto siamo noi. Parole regali si accoppiano con le comuni. Parole inglesi sposano parole francesi, parole tedesche, parole indiane, parole nere, se gli viene il ghiribizzo. In verità quanto meno noi indaghiamo nel passato della nostra cara Madrelingua Inglese meglio sarà per la reputazione di quella signora. Perché è diventata una bella passeggiatrice. Così porre qualsiasi legge per delle così incorreggibili vagabonde è peggio che inutile. Poche insignificanti regole di grammatica e di ortografia sono tutti i vincoli che possiamo porre loro. Tutto quello che possiamo dirne – mentre le sbirciamo da sopra l’orlo di quella profonda, nera e solo a intermittenza illuminata caverna nella quale vivono – tutto quello che possiamo dirne è che sembrano preferire le persone che pensano prima di usarle, e che sentono prima di usarle, ma pensare e sentire non a loro, ma a qualcosa di diverso. Sono molto sensibili, facilmente intimidite. Non amano che la loro purezza o impurezza venga discussa. Se fondate un’associazione per l’inglese puro, loro vi mostreranno il loro risentimento fondandone un’altra per l’inglese impuro – da qui l’innaturale violenza di gran parte del linguaggio moderno; è una protesta contro i puritani. Loro sono molto democratiche, anche; loro credono che una parola sia tanto buona quanto un’altra; le parole maleducate sono buone quanto le parole educate, le parole incolte sono buone quanto le parole colte, non ci sono ranghi o titoli nella loro società. Nemmeno amano essere sollevate con la punta del pennino ed esaminate separatamente. Stanno insieme, in frasi, paragrafi, talvolta per intere pagine contemporaneamente. Loro detestano essere utili; detestano fare denaro; odiano tenere conferenze pubbliche. In breve, detestano qualsiasi cosa che le marchi con un significato o che le confini a una posa, perché è la loro natura cambiare. Forse quella è la loro caratteristica più sorprendente – la loro necessità di cambiamento. È perché la verità che cercano di catturare ha tanti lati, e la trasmettono rimanendo sfaccettate, illuminando prima in un modo poi nell’altro. Così loro significano una cosa per una persona, un’altra cosa per un’altra persona; loro sono inintelligibili a una generazione, chiare come la luce del sole alla successiva. Ed è a causa di questa complessità, questo potere di significare differenti cose per differenti persone, che loro sopravvivono. Forse allora una ragione per cui non abbiamo grandi poeti, novellisti o critici letterari oggi è che ci rifiutiamo di lasciare alle parole la loro libertà. Le fissiamo a un significato solo, il loro significato vantaggioso, il significato che ci permette di prendere il treno, il significato che ci permette di passare gli esami…

lunedì 9 novembre 2020

fuori accadono cose che nessuno riesce a capire

che dire?
che sono stanca e non riesco più a scrivere.
ho letto sul corriere della sera una bellissima lettera di un ragazzo, Matteo Menta.
"trovo assurdo trovarmi nella mia stanza a fingere di ascoltare qualcosa che dovrò dimostrare di avere capito quando fuori accadono cose che nessuno riesce a capire."
e ancora 
"non ho contratto covid 19 ma comunque un virus in circolo dentro di me, sento tutto ovattato, distante, osservo il quadro generale senza mettere a fuoco, mi soffermo su un dettaglio che sorride e sparisce." 
amo profondamente questi ragazzi, così lucidi e logici della loro infallibile logica adolescenziale. 
quel dettagliare spietato che non vuole sconti ma solo la sconcertante verità. 
che gli adulti non reggono un solo minuto.
Matteo hai ragione e la tua lettera al corriere è entusiasmante, hai un talento sconfinato: l'intelligenza.
penso al tuo letto sfatto da quanto? e penso di essere una madre imbecille.
siamo nella merda e sentire gli chef a "cibo a regola d'arte" che si lamentano dei loro ristoranti chiusi, i posti più sicuri del mondo, se non fosse che lì et voilà ci si abbassa la mascherina, mi fa imbestialire perchè questi pensano solo alla loro area di metratura e non sanno sollevare lo sguardo sul mondo. 
quanta gente in giro. zona rossa. sembra un luna park,
sono sfinita, ho preso il covid, ne sono uscita dopo 3 sfiancanti e misere e da conto in rosso 3 settimane e, il giorno dopo, ho preso il lockdown (ma dove?, ma quale? qui è tutto regolare e non sono sui monti Sibillini sono a Milano Citylife). 
ho sperimentato la lordura umana dei colleghi, pure medici, e non solo la delusione, la devastazione di opinioni ignoranti e meschine. 
trovo assurdo fingere di ascoltare qualcosa che dovrò dimostrare di aver capito quando fuori accadono cose che nessuno riesce a capire. sono stanchissima, davvero, non ho più voglia di scrivere, veramente non ne ho e per ora non scrivo più. sono fuori discorso, fuori senso. 
io non ho capito niente.

venerdì 6 novembre 2020

Il grigio in compenso ce la mette tutta

La Carelia e la Botnia. Due mondi diversi, parrebbe, ma a destra e sinistra vedo gli stessi laghi e gli stessi nevai. I colori sono tutti uguali, salvo una peluria di fiorellini gialli sulla tundra. Il grigio in compenso ce la mette tutta. Esprime tonalità strepitose. Grigio antracite dei laghi senza sole, grigio amianto delle rocce, grigio fucile della compatta nuvolaglia sopra i nevai, grigio granulato – luccicante come la mica – dei laghi alti ancora gelati, grigioargento ramato o rossastro delle betulle, grigio nichel o grigio opale del mare quando si increspa nei fiordi, a seconda che esca un po’ di sole o no.
Le striature di neve ventata sono l'unica cosa capace di segnare le gobbe del terreno in un mondo senza ombre.Capisco perchè i finnici amano la bandiera: è prima di tutto un richiamo al colore, dunque alla vita, in questa miseria minerale. Persino le case ripetono i colori nazionali del nord, rosso blu giallo e bianco, sono come scatole di fiammiferi sparse su detriti di una miniera.

appena iniziato.
già partita via con la testa. voglio andare.
poesia.
Paolo Rumiz 
Trans Europa Express

domenica 1 novembre 2020

Orfeo e Euridice: lei non capì e in un soffio chiese: Chi?

lo avevo comprato nel 2015, un natale, dopo aver seguito una lezione aperta, in occasione di Book City, presso l'Università degli studi di Milano, a Sesto San Giovanni, Dipartimento di Studi Filologici, Letterari e Linguistici.

a pensarci faccio cose davvero pazzesche. mi ricordo, erano le 17, avevo scovato la lezione nel programma vastissimo di book city, ci ho messo un bel po' a trovare l'aula, era pieno di ragazzi, soprattutto ragazze, e all'inizio non c'era posto per sedersi. i miei appunti, che ho ritrovato, lo dimostrano, non avevo posto per scrivere e ho scritto pochissimo. come me ne rammarico.

la lezione: il mito greco nella danza contemporanea: da Pina Bausch alla compagnia Abbondanza-Bertone. lezione aperta di Marina Cavalli, con la partecipazione di Elisa Ferrari. Nella forma di lezione-spettacolo, verranno presentati, con ampia selezione video, alcuni momenti fondamentali dell’invenzione coreografica di Pina Bausch, che portano sulla scena due temi mitici costantemente presenti nella comunicazione poetica occidentale. Le forme e i significati dei modelli antichi, che hanno tramandato la vicenda di Orfeo e quella di Ifigenia, saranno confrontati con la rielaborazione di Pina Bausch, per identificarne le scelte di trasposizione nel genio di un linguaggio puramente corporeo.

in effetti per una cosa così sono disposta a scommettere molto e molto tempo impiegarci. e in effetti fu una scelta felice e invece non sempre ho azzeccato gli incontri giusti, soprattutto a Book City (quest'anno sarà on line, se sbaglio faccio presto a cambiare, il corpo non implicato implica meno sacrificio, sempre).

dalla splendida lezione avevo portato a casa una gran voglia. oltre che di iscrivermi all'università che voglio io e non quella che gli altri hanno voluto per me, di vedermi il balletto di Orfeo e Euridice. e avevo preso il cd. me lo sono visto ieri sera e mi sono ritrovata in un gran bel posto. il posto magnifico della danza di Pina Bausch con la romantica musica di Gluck, con il corpo di ballo dell'Opera National de Paris, e con la poesia di Rilke a orientarmi.



ultimamente ho sviluppato una grande curiosità per il mito greco classico, mi sono vista tutta la produzione di Latella della saga degli Atridi, ben otto spettacoli (ma il lockdown è stato lungo) e  ritrovarmi tra le pagine di Orfeo che vede la sua Euridice morire due volte è stato coinvolgente.

la scenografia è potente, a ogni figura dell'opera corrisponde un ballerino e sono insieme sul palco, il ballo sostiene il canto e il canto dirige il ballo. un'idea luminosa.

il corpo di ballo segue onde suggestive, soprattutto il corpo femminile, che fluttua in serici lunghi vestiti, unito a quello delle altre crea armonie straordinarie.

il balletto è bellissimo, Orfeo, come sosteneva Savinio, un Orfanos, un uomo solo, il solo per sempre senza amore. 

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faccio dono del poema di Rilke, di Lei, la Tanto Amata.

Come una lunga chioma era già sciolta, 
come pioggia caduta era diffusa, 
come un raccolto in mille era divisa. 
Ormai era radice. 
E quando il dio bruscamente 
fermatala, con voce di dolore 
esclamò: Si è voltato -, 
lei non capì e in un soffio chiese: Chi? 







venerdì 30 ottobre 2020

Limonov

non credo riuscirò a finirlo prima dello scadere del mese di prova.

mi sono iscritta a Audible e mi sono scaricata Limonov di Emmanuel Carrère.

ma siccome sono carcerata in casa e non vado più al lavoro in quel di Cologno con una media di 45-50 minuti andata e 30 ritorno, se mi va bene, la mia lettura, la mia audiolettura ne ha risentito parecchio. 

quindi non lo finirò, domani la carrozza si trasforma in zucca.

mi dispiace?

NO.

anzi, potrebbe essere la giusta fine di una lettura mediamente infelice.

ho iniziato con qualche curiosità, che si è mantenuta quasi costante per i primi capitoli, ma, con una caduta direi verticale, si è ridotta ai minimi termini con il passare degli anni fino a rasentare la noia attiale.

diciamo che la fondazione del partito nazional-bolscevico, con quell'altro genio di Aleksandr Dugin, di ispirazione fascista e comunista, che ha adottato come proprio simbolo la falce e il martello all'interno d'un cerchio bianco su sfondo rosso, fondendo così il simbolo del comunismo al vessillo del Partito Nazionalsocialista Tedesco dei Lavoratori e della Germania nazista, in una bandiera dove la svastica nera è sostituita appunto dal simbolo socialista sempre dello stesso colore, mi è sembrato il fondo possibile di una parabola che potrei solo definire molto triste.

siamo nell'idiozia.

tutta la storia di questo soggetto è alla fine, per me, di fascino pari a zero.

capisco che la prima parte mi ha attratta. e parecchio, per la storia dell'Unione Sovietica che porta con sè, Limonov è nato Eduard Veniaminovič Savenko a Dzerzhinsk, nell’Ucraina in guerra contro l’Asse nel 1943, e poi cresciuto nei poverissimi slum di Kharkov. ma, comunque, alla lunga, dopo anni di Parigi e Stati Uniti, arrivare alla caduta del muro di Berlino senza sbadigli è stata dura. 

riconosco i tratti di una personalità disturbata, di una ricerca costante di un'aura di originalità, alimentata da un narcisismo cosmico, di gente così in giro ne abbiamo già parecchia, e che questo sia riuscito più di altri, con atti di fanatismo filo serbo e altre amenità perverse, ad attirare su di sè l'attenzione che voleva non lo trovo di grande interesse narrativo.

mi sono ritrovata a desiderare in molti momenti che tornassero in scena le sua vicende sentimentali per riuscire ad avere qualche spunto riflessivo, ma no, dai, qualche motivo di intrattenimento che giustificassero il mio trattenermi all'ascolto. quindi c'è qualcosa che non va. 

credo che il tempo sia scaduto. game over.


giovedì 29 ottobre 2020

La valle dell'Eden

in buona sostanza Dean ne ha fatti 3 e nel giro di due anni. forse anche meno. quando è uscito Il gigante, nel 1956, James Dean era già morto.

un incidente se l'è portato via e capisco che la morte, violenta e prococissima su un personaggio ancora tutto in potenza, può fare molto di più di una vita intera.

di Dean amo molto la foto sotto la pioggia newyorkese a Tomes Square, di Dennis Stock, anche lì, non puoi sapere che la morte farà della tua foto, riuscita, un modello iconico di portata mondiale. una consacrazione per l'eternità.

io immagino che quella faccia, quella mobilità, quel modo schivo, furtivo, a tratti quasi bizzarro, siano più dell'uomo che dell'attore, troppo acerbo per fare qualcosa che non fosse se stesso. anche perchè anche in questo film, una specie di sermone biblico, una tragedia incrocio tra il ritorno del figliol prodigo e la rottura della fratellanza tra Caino e Abele, io trovo un James Dean troppo simile a quello del Il gigante. ritrovo quella ritrosia davanti alla macchina da presa, quel muoversi un po' impacciato , quel nascondere lo sguardo che penso appartengano al carattere di un ragazzo di 24 anni, più che alla prova attorale di un giovane talento.

ad ogni modo, non so fare l'analisi del mito, io solo mi diverto, in questa mia virale valle di lacrime, in questo mio terrore nell'erba, a vedere questi colossi, questi molossi cinematografici, film che sembrano cattedrali nel deserto, impianti visuali archeologici che già oggi, a distanza di soli 70 anni o quasi, parlano di un'era geologica estinta. 



è come passeggiare tra i sette palazzi celesti di Anselm Kiefer. 

comunque, avercene.

martedì 27 ottobre 2020

il Gigante

 è tutto chiuso.

se anche mi arrivasse, dopo 5 giorni, l'esito del tampone di questa splendida regione della lombardia dell'eccellenza di sto piffero - ripeto CINQUE giorni - non avrei un solo posto dove andare.

quindi si riesumano serie TV, però insomma alla fine basta, oppure vecchi film, oppure oppure.

bene, ieri sera, con il morale a terra, ho visto il Gigante.

filmettino di 3 ore e 20 del 1956.

l'ultimo con James Dean.

uno dei tanti con Rock Hudson e Elisaberh Taylor.

un filmonissimo infinito epico ricco razzista strabordante denaro e boria di quella e questa fanastica America che non finisce mai di stupirmi, e di inorridirmi, e che aspetto al varco il 3 novembre se non si disintegrerà prima sotto il pandemonio apocalittico del coronavirus.

oggi acclamiamo l'arrivo della solita fanatica cattolica integralista antiabortista pistolera di destra Amy Coney Barrett. cara Ruth Bader Ginsburg, ci abbiamo perso non una, ma due volte con la tua insana decisione di andartene. 

tornando al Texas de il Gigante, tutto si svolge nella polvere assolatissima di quella terra sconfinata e, guarda guarda, si butta anhe un occhio sulle popolazioni messicane asservite povere malate e segregate. ed ecco l'occhio benevolo della grande Hollywood che vede la nostra eroina del Maryland (mammamia come si fa a passare dal Maryland al Texas senza finire stabile due volte a settimana nello studio di uno psicoanalista!!), nota come Elisabeth Taylor, occuparsi amorevolmente delle cenciose madri e dei loro rachitici figli mentre è alle prese con un marito conservatore e una sorella gelosa e uno spasimante piuttosto bizzarro, ttrattasi di James, ovviamente. il bel Dean. passano gli anni e i figli crescono e il Texas si riempie di pozzi di petrolio e il nostro Dean si fa una doccia di oro nero e diventa sfondato, da sfigato che era, di soldi e di alcool. i cenciosi messicani defraudati delle loro terre - mettetevi in fila, siete solo gli ultimi di una lunghissima serie di diseredati sottomessi e annientati, non si accettano più reclami, the doctor is out- in fondo sono ancora lì, muri o non muri, al confine con il Texas, in campi profughi di varia disumanità, in fondo si è trattato di una profetica anticipazione.





ovviamente la retorica di cui trasuda il film è la sua disarmante bellezza, ormai abbiamo decodificato tutto e non ci caschiamo più ma l'incrocio tra libertà e tortura, tra spazi e angustie, tra immagine eroica e menzogna narrativa è il marchio di fabbrica di queste produzioni cinematografiche colossali. 

cosa c'è di più irripetibile e consumato, masticato e digerito, dello stivale impolverato e del cappello da texano calcato sulla faccia scanzonata e bastarda di james dean? di un james dean a poche ore dalla sua morte.


lunedì 26 ottobre 2020

pandemia che è in me

sono sospesa in attesa del mio verdetto.

è cambiata l'aria, è cambiato perchè ora si la gente si ammala.

amici conoscenti colleghi familiari figli, prima erano solo gli altri, altri lontani, mai conosciuti e che mai conosceremo, andati scremati falciati, ora tocca a noi.

quanti siamo.

la creaura mitica della pandemia entra nelle nostre case e ci parla da vicino, ci suggerisce che ora è diverso, l'aria è cambiata, la storia è cambiata, l'era è finita, la biologia è segnata, il tempo è scandito, il mondo ha virato,

virato?

è diventato virale, si diceva, si dice. il virus è virale e ci infetta i pc e gli smart-phone, è il significante dominante, abbiamo virato, è virale, è veloce, una saetta, ormai mi anticipa. 

ora la sento la pandemia, ora il virus è in me.

cosa mi ha contagiata? cosa mi ha immesso nella storia di questo secolo? un gesto, una dimenticanza, una sporcizia, un giro su me stessa, un eccesso, o una parola?

forse forse una parola mi ha contagiata e mi ha disancorata dal mondo.èlì che mi sono ammalata.

qulcosa, qualcuno, è stato, e voilà, sono nel corpo mitico della storia, 2020.

anni venti del 2000.

niente d grave sto bene aspetto il tampone di rientro ma sento che qualcosa è in me, è come se avessi cambiato sguardo, cambiato età, cambiato ritmo.

la pandemia ha buttato fuori gli anziani i deboli, li ha esclusi dal gioco, ora ha risparmiato me, ma perchè? come mai io sono ancora qui? la mia vità non è ancora abbastanza, ho anocora un residuo possibile, non sono ancora troppo "lunga". vivrò di più e vivrò meglio? oppure il molosso sopra e dentro di me ha cambiato qualcosa per sempre? io non vado veloce quanto il virus sulle ali del digitale, io sono davvero lentissima in confronto.

sono al collasso, sono un'assistita, entro in un'agonia, sono privata di potere e di valore. rimango così o sono destinata a una rinascita a una ricostruzione insieme alla struttura mondo che ripartirà dopo la caduta mondiale cosmica che ci sta rovinando addosso?

perdo salute perdo legami perdo lavoro perdo sostanza, perdo o mi rigenero?

venerdì 23 ottobre 2020

Black Summer

Black Summer







Alla fine di gennaio 2020, in Australia, più di 30 persone hanno perso la vita a causa degli incendi, 3.000 sono le case distrutte e circa 12,6 milioni di ettari di terra sono bruciati. La fauna selvatica è stata duramente colpita. Gli scienziati locali hanno stimato che almeno un miliardo di animali sono morti e più del 50% della foresta pluviale è andata completamente distrutta.

Vitiligo

l’impatto della vitiligine va ben oltre la pelle 





giovedì 15 ottobre 2020

Ren Hang

è tempo di morire

dice Roy prima di spegnersi e piegare la testa nella pioggia

siccome sto veramente male e non mi raccapezzo più mi sono rivista Bade Runner e Blade Runner 2049. e stiamo ancora applaudendo.

non so se è effetto di un coronavirus in visita o piuttosto di una forma gastrointestinale che con il corona non ha niente a che fare, in ogni caso sono un relitto. e in ogni caso ho fatto un tampone. sono tempi difficili e difficile è schivare i colpi della sfortuna. io non ci riesco.

lunedì, prima di questa dannazione che mi porterà all'inferno, ho visto la mostra alla Galleria Sozzani su Ren Hang, fotografo cinese morto a 30 anni dopo aver forsennatamente fotografato corpi.

ora, magari è perchè sto da cani, ma posso dire di non aver visto nulla di interessante, se non un gioco, sul filo della perversione, che fa del corpo un oggetto, una forma, un po' di carne e colore, una visuale sparaflashata con eccesso. ancora più perturbanti delle foto sono i filmini che lo vedono al lavoro. a me sembra un lavoro sessista, se per sessista intendiamo una discriminazione sessuale. non tra i generi, che si fondono in un mischione che non prevede differenze, ma tra il sesso e la vita. tutto è oggetto, massificato, carnificato, banalizzato, confuso, minimizzato. è stato come osservare lo scorrere della morte sotto i miei occhi. visioni paralizzanti, la pietrificazione dei vasi sanguigni a favore di un estetismo ossessionante.







eh si, è tempo di morire

lunedì 12 ottobre 2020

single shot









alcune delle foto che hanno partecipato a WORLD.REPORT AWARD, DOCUMENTING HUMANITY 2020 SINGLE SHOT SHORTLIST .

sono esposte in quella piacevole città di Lodi, all'aperto, visitabili da tutti, in un parco, e questo mi piace.





la foto vincitrice è quella di Francesca Mangiatordi, che ritrae la nostra infermiera esausta svenuta sul pc. ma non mancano piacevoli sorprese, attimi diventati eterni se mai qualcuno le rivedrà ancora in questo enorme spazio fotografico ormai senza limiti. cosa ricorderemo, cosa rivedremo, cosa resterà di tutto questo immenso materiale fotografico?