da “Elegie duinesi”
La prima Elegia:
“Ma chi, se gridassi, mi udrebbe, dalle schiere
degli Angeli? E se anche un Angelo a un tratto
mi stringesse al suo cuore: la sua essenza più forte
mi farebbe morire. Perché il bello non è
che il tremendo al suo inizio, noi lo possiamo reggere ancora,
lo ammiramo anche tanto, perch'esso calmo, sdegna
distruggerci. Degli Angeli ciascuno è tremendo. (…)”
Nella seconda riprende:
“Gli Angeli sono tutti tremendi. Eppure, ahimè,
io invoco voi, uccelli d'anima che quasi fate morire,
pur sapendovi. Dove sono i giorni di Tobia,
quando uno dei più radiosi si stette all'umile porta di casa
un po' travestito da viaggio e, così, già non più pauroso,
(giovane al giovane che guardava fuori curioso).
Si movesse ora l'Arcangelo, il pericoloso,
si movesse da dietro le stelle
di un passo soltanto, giù verso di noi: con la violenza
del battito, ci ucciderebbe il nostro proprio cuore.
Chi siete voi? (…)”
ho letto un commento interessante secondo cui, effettivamente, l'Angelo di Rilke non ha molto a che vedere con quelli del film di Wenders, anche se Rilke viene quasi sempre citato in questo caso. in Wenders il movimento è dall'esterno all'interno e dal distacco compassionevole al coinvolgimento, che fa sì che alcuni angeli decidano di diventare "umani" entrando a pieno titolo nella vita con le sue emozioni e unendosi agli uomini per condividerne le passioni.
nel caso di Bruno Ganz, Damiel, è l'innamoramento che spinge ad "entrare nel fiume", in Rilke il movimento è opposto: il grido sale dal basso verso l'alto ed è il poeta che deve compiere un lungo e doloroso percorso per incontrare il volto amichevole dell'Angelo, di cui all'inizio è presente solo l'aspetto terribile e inaffidabile, una bellezza terrifica, spaventosa, incomprensibile all'uomo. l'Angelo rimane l'abitatore dei due mondi, estraneo ed inafferrabile, e solo la preghiera lo rende il simbolo più perfetto del destino umano: quello di trasformare il visibile in invisibile.
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