La porta del salottino da pranzo era semiaperta. Egli tossì; ella alzò gli occhi e sorrise. L’esitazione non era punto punto nel carattere del signor Jingle. Egli si pose l’indice sulle labbra in atto misterioso, si avanzò e chiuse la porta.
— Signorina Wardle, — disse poi con affettata sollecitudine, — scusate l’indiscretezza — conoscenza fresca — non c’è tempo da far cerimonie — tutto è scoperto.
— Signore! — esclamò la zia ragazza, sorpresa dall’inattesa apparizione e un po’ dubbiosa della sanità di mente del signor Jingle.
— Sì! — fece questi con un sottovoce da palcoscenico. — Ragazzo grasso — faccia paffuta — occhiacci — canaglia!
E qui scosse il capo con espressione e la zia ragazza tremò a verga a verga.
— Volete alludere a Joe, signore? — domandò la zia, sforzandosi di parer tranquilla.
— Signora sì — maledetto quel Joe! — cane traditore — detto tutto alla vecchia — la vecchia furiosa — selvaggia — esasperata — Padiglione — Tupman che baciava e brancicava — e via discorrendo — eh, signora, eh?
— Signor Jingle, — disse la zia ragazza, — se siete venuto per insultarmi...
— Niente affatto — v’ingannate, — rispose l’imperturbabile Jingle. — Udito il racconto — son venuto ad avvertirvi del pericolo — pronto a servirvi — scandalo pericoloso. — Non monta — lo credete un insulto? — sta bene — vi lascio.
E volse le spalle, come per menare ad effetto la minaccia.
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— Che debbo fare? — esclamò la povera Rachele scoppiando in lagrime. — Mio fratello monterà su tutte le furie!
— Naturalmente, — disse il signor Jingle fermandosi; — sarà terribile.
— Oh, signor Jingle, che debbo fare, che debbo dire? — riprese la zia ragazza in un novello impeto di disperazione.
— Dite che ha sognato, — rispose freddamente il signor Jingle.
Un raggio di conforto rischiarò a questa idea l’anima della desolata Rachele. Il signor Jingle se n’accorse e si valse subito del suo vantaggio.
— Via, via! — niente di più facile — scioccheria del ragazzo — bella donna — ragazzo grasso frustato — voi creduta — l’affare bell’e finito — tutto d’incanto.
Sia che la probabilità di sfuggire alle conseguenze della malaugurata scoperta recasse un gran sollievo all’animo della zia zitella, sia che il sentirsi chiamata "bella donna" temperasse l’acerbità del suo dolore, certo è ch’ella arrossì leggermente e volse al signor Jingle un’occhiata piena di gratitudine.
L’insinuante uomo trasse un profondo respiro, fissò gli occhi per un paio di minuti in viso della sua interlocutrice, e poi li ritrasse di botto trasalendo melodrammaticamente.
— Voi mi sembrate infelice, signor Jingle, — disse con voce dolente la signora. — Permettete che ve ne domandi il motivo, se mai potessi anch’io esservi utile e mostrarvi così la mia gratitudine?
— Ah! — esclamò trasalendo per la seconda volta il signor Jingle. — Essermi utile! essere io meno infelice, quando il vostro amore è largito ad un uomo che è insensibile a tanta fortuna — che anche adesso fa i suoi biechi disegni sulle affezioni della nipote della stessa creatura che... Ma no; egli è mio amico; non voglio mettere a nudo i suoi vizi. Signorina Wardle — addio!
Conchiudendo questo discorso, il più filato ch’egli avesse mai fatto, il signor Jingle si portò agli occhi il resto del fazzoletto testè accennato e si volse verso la porta.
— Fermatevi, signor Jingle! — esclamò Rachele. — Voi avete fatto un’allusione al signor Tupman. Spiegatevi.
— Giammai! — rispose Jingle con un gesto da primo attore. — Giammai! — e per dimostrar subito che non avea voglia di essere più oltre interrogato, trasse una seggiola presso a quella della zia ragazza e si pose a sedere.
— Signor Jingle, ve ne prego, ve ne scongiuro, se c’è qualche terribile mistero riguardante il signor Tupman, parlate.
— Posso io vedere — (e il signor Jingle fissò gli occhi in quelli di Rachele) — posso io soffrire un’amabile creatura — trascinata al sacrificio — sordida cupidigia!
Parve che per qualche momento sostenesse una fiera lotta con vari sentimenti, e poi disse con voce bassa e cupa:
— Tupman non ha altra mira che il vostro danaro.
— Sciagurato! — esclamò Rachele con una energica indignazione. (I dubbi del signor Jingle erano risoluti. Ella ne aveva).
— Peggio ancora, — aggiunse Jingle, — egli ne ama un’altra.
— Un’altra! e chi mai?
— La piccina — occhi neri — nipote Emilia.
Vi fu una pausa.
Ora se c’era donna al mondo per la quale la zia nutrisse una gelosia mortale e radicata, l’era appunto quella nipote. Le salì tutto il sangue alla faccia ed al collo. Scosse poi il capo in silenzio con aria d’ineffabile disprezzo. Finalmente, mordendosi le labbra sottili e raddrizzandosi sulla persona:
— Non è possibile, — disse. — Non ci credo.
— Osservateli, — disse Jingle.
— Così farò.
— Osservate le sue occhiate.
— Sicuro.
— Le parole susurrate.
— Sta bene.
— A tavola si metterà a sedere accanto a lei.
— Si accomodi.
— Farà il galante.
— Faccia pure.
— E vi pianterà.
— Piantarmi! — esclamò la zia ragazza. — Lui piantar me, lui! — e tremò tutta dal dispetto e dalla rabbia.
— Sarete convinta? — domandò Jingle.
— Vi mostrerete forte?
— Sì.
— Non lo guarderete più in faccia?
— Mai.
— Sceglierete un altro?
— Sì.
— Ebbene, eccolo.
Il signor Jingle cadde in ginocchio, rimase per cinque minuti in quell’umile posizione, e si levò finalmente amante accettato della zia ragazza, a condizione che lo spergiuro di Tupman fosse chiaro e manifesto.
La prova pesava tutta sulle spalle del signor Alfredo Jingle; e quello stesso giorno a desinare egli la fornì evidentissima. La zia ragazza poteva appena credere agli occhi propri. Il signor Tracy Tupman, seduto accanto ad Emilia, non faceva che occhieggiare, bisbigliare, sorridere, quasi per far dispetto al signor Snodgrass. Non una parola, non un’occhiata alla sua bella della sera innanzi.
— Maledetto ragazzaccio! — diceva da sè a sè il vecchio Wardle, al quale tutta la storia era stata riferita dalla madre. — Maledetto ragazzaccio non c’è caso, deve aver sognato.
— Traditore! — pensava con rabbia la zia ragazza. — Non m’ha ingannata quel caro signor Jingle. Oh, come l’odio quell’infame!
Dalla conversazione che segue potrà capire l’amico lettore il mistero di questo mutamento di condotta da parte del signor Tupman.
La scena era in giardino e di sera. Due ombre passeggiavano in un viale; una piuttosto corta e larga; l’altra alta e sottile. Erano il signor Tupman e il signor Jingle. La prima delle due ombre cominciò il dialogo.
— Vi pare che mi sia ben condotto, eh? — domandò.
— Splendido — magnifico — non avrei fatto di meglio io stesso — domani, da capo — tutte le sere fino a nuov’ordine.
— Anche Rachele lo desidera?
— Naturalmente — non ci trova gusto — necessità virtù — distogliere i sospetti — paura del fratello — dice che non c’è che fare — pochi altri giorni — lucciole per lanterne — vi farà felice.
— Nessuna imbasciata?
— Amore — il più caldo amore — saluti affettuosi — affetto inalterabile. Posso dire qualche cosa da parte vostra?
— Caro amico mio, — rispose il confidente Tupman, stringendo con effusione la mano del suo amico, — ditele quanto io l’amo; ditele quanto mi costa il simulare; ditele ogni cosa cara e gentile: ma aggiungete pure che io mi penetro perfettamente della dura necessità del consiglio datomi da lei per bocca vostra. Ditele che applaudo alla sua prudenza ed ammiro la sua discrezione.
— Non dubitate. C’è altro?
— No, nient’altro; aggiungete solo ch’io anelo con tutto l’ardore dell’anima il tempo in cui potrò chiamarla mia, e in cui ogni dissimulazione sarà divenuta inutile.
— Certo, certo. C’è altro?
— Oh, amico mio! — esclamò il signor Tupman, afferrando di nuovo la mano del suo compagno, abbiatevi la mia più viva gratitudine per la vostra disinteressata affezione; e perdonatemi se vi ho fatto, anche col solo pensiero, l’ingiustizia di sospettarvi capace di attraversarmi la via. Caro amico mio, come potrò mai ricompensarvi?
— Non ne parlate, — rispose il signor Jingle. Poi si arrestò di botto, come risovvenendosi di qualche cosa ed aggiunse: — A proposito, non avreste una diecina di ghinee spicciole, eh? — affare urgente, particolare — ve le rendo fra tre giorni.
— Credo potervi servire, — rispose il signor Tupman nella pienezza del suo cuore. — Avete detto tre giorni?
— Solo tre giorni — tutto aggiustato allora — nessun’altra difficoltà.
Il signor Tupman contò il danaro nella mano del suo compagno, e questi se lo fece cadere pezzo per pezzo in saccoccia, mentre se ne tornavano verso la casa.
— Mi raccomando, — disse il signor Jingle, — nemmeno un’occhiata.
— Nemmeno mezza, — disse il signor Tupman.
— Nemmeno una parola.
— Nemmeno una sillaba.
— Tutte le vostre attenzioni alla nipote — piuttosto scortese che altro con la zia — solo mezzo di darla ad intendere ai vecchi.
— Ci starò attento, — disse il signor Tupman ad alta voce.
— Ed io pure, — disse internamente il signor Jingle.
Ed entrarono in casa.
Quella prima scena fu ripetuta la sera, e così per tre giorni di fila, a desinare ed a cena. Al quarto, il signor Wardle era di ottimo umore perchè sicurissimo che non c’era fondamento di sorta all’accusa contro il signor Tupman. E non meno allegro era il signor Tupman, perchè il signor Jingle gli avea detto che l’affar suo sarebbe subito arrivato ad una crisi. E non meno il signor Pickwick, perchè di rado gli accadeva di essere altrimenti. E molto meno allegro era il signor Snodgrass, perchè lo avea preso una fiera gelosia pel suo amico Tupman. Ed era allegrissima la vecchia signora, perchè guadagnava al whist. Ed allegrissimi erano il signor Jingle e la signorina Wardle per ragioni assai importanti a questa storia avventurosa per essere narrate a parte in un altro capitolo.
dialoghi?
ìmmediatezza?
freschezza?
realismo?
umorismo?
ebbene si, Charles Dickens.
l'altro universo della letteratura inglese.
può sembrare strano, o no, preferisco la Woolf, sebbene riconosca la grandezza di questa prosa, che sto leggendo ora.
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