bianco e nero

come una foto. in bianco e nero. nessuna concessione al colore, alla spettacolarita', ai nuovi barbari. bianco e nero colori vividi dell'essenziale, solo l'autenticita' della forma. della sostanza. l'occhio vede e non si inganna.
"questo e' il mio segreto.
veramente semplice.
si vede bene solo con il cuore.
L'essenziale e' invisibile agli occhi."
Il piccolo principe. A.d.S-E.

giovedì 11 giugno 2020

non possiamo contemporaneamente curare gli uomini e sapere

«E poi c'è qui Rambert».
Rieux si voltò. Al disopra della maschera i suoi occhi si strinsero scorgendo il giornalista.
«Lei cosa fa qui?» disse. «Lei dovrebbe essere altrove».
Tarrou disse ch'era per la sera a mezzanotte, e Rambert aggiunse: «In teoria». 
Ogni volta che qualcuno di loro parlava, la maschera di garza si gonfiava, inumidendosi al posto della bocca. Ne risultava una conversazione un po' irreale, come un dialogo fra statue.
«Vorrei parlarle», disse Rambert.
«Usciremo insieme, se vuole. Mi aspetti nell'ufficio di Tarrou».
Un momento dopo, Rambert e Rieux sedettero dietro, nell'automobile del dottore; Tarrou guidava.
«Sta per mancare la benzina», disse questi avviando, «da domani si va a piedi».
«Dottore», disse Rambert, «io non parto e voglio restare con voi».
Tarrou non si mosse, continuava a guidare. Rieux sembrava incapace di emergere dalla sua stanchezza.
«E sua moglie?» disse con voce sorda.
Rambert disse che aveva ancora riflettuto, che continuava a credere in quello che credeva, ma che se fosse partito n'avrebbe avuto vergogna; e questo avrebbe guastato il suo amore per colei che aveva lasciato. Ma Rieux, raddrizzandosi, disse con voce ferma che la cosa era stupida e che non c'era vergogna nel preferire la felicità.
«Sì», disse Rambert, «ma ci può essere vergogna nell'esser felici da soli».
Tarrou, che sino ad allora aveva taciuto, senza voltar la testa verso loro fece notare che se Rambert voleva condividere le sventure degli uomini non avrebbe mai più avuto tempo per la felicità. Bisognava scegliere.
«Non è questo», disse Rambert. «Ho sempre pensato di esser estraneo a questa città e di non aver nulla a che fare con voi. Ma adesso che ho veduto quello che ho veduto, so che io sono qui, che io lo voglia o no. Questa storia riguarda tutti».
Nessuno rispose, e Rambert sembrò spazientito.
«D'altronde, voi lo sapete bene. Se no, che ci fareste nell'ospedale? Avete scelto, voi, e rinunciato alla felicità?» Né Tarrou né Rieux ancora risposero. Il silenzio durò a lungo, sino a che furono nei pressi della casa del dottore. E Rambert, di nuovo, pose la sua ultima domanda, con più forza ancora. E il solo Rieux si voltò verso di lui, sollevandosi a fatica: «Mi scusi, Rambert», disse, «ma io non lo so. Resti con noi, se lo desidera».
Uno scarto dell'automobile lo fece tacere. Poi riprese guardando davanti a sé: «Nulla al mondo vale che ci distolga da quello che si ama. E tuttavia me ne distolgo anch'io, senza poterne sapere la causa».
Si lasciò cadere sul sedile.
«E' un fatto, ecco tutto», disse con stanchezza. «Prendiamone atto e traiamone le conseguenze».
«Quali conseguenze?» domandò Rambert.
«Ah, che non possiamo contemporaneamente curare gli uomini e sapere» disse Rieux. «Quindi occupiamoci di curare gli uomini il più in fretta possibile. E' questa la cosa più urgente.»

La peste, Albert Camus

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