Passavamo sempre dei Natali
incantevoli, molto più di quanto si sarebbe pensato possibile nelle nostre
condizioni. Di tutte le strane doti di mio padre, una delle più strane era la sua
abilità nel costruire giocattoli. Un vecchio falegname nella proprietà di suo padre
in Irlanda gli aveva insegnato i rudimenti della sua arte quando era ancora un
ragazzino, e lui aveva mantenuto l’abitudine di lavorare il legno per tutta la vita.
A eccezione del suo spirito arguto, che aveva la capacità di girare le cose a
rovescio, né nei suoi discorsi né nei suoi scritti c’era la minima traccia di
immaginazione fantastica, che invece grondava letteralmente dalle sue dita. A
noi bambini non era più permesso entrare nel suo studio o nella sua stanza dopo
la prima settimana di dicembre, perché non vedessimo quello che stava
costruendo per noi, e noi stessi non volevamo infrangere questa regola; sarebbe
stato stupido vedere le cose che stava costruendo prima che fossero finite,
almeno quanto lo sarebbe stato udire solo metà del movimento di una sonata, o
metà di una canzone. Aveva già costruito per ciascuna di noi bambine una
bellissima casa delle bambole, un palazzo in stile Tudor per Cordelia, una
residenza Regina Anna per Mary, e una casetta simile a un’abbazia in stile
gotico vittoriano per me. Ora le stava riempiendo non solo di mobili ma anche di
persone, figurine in legno i cui nomi e l’intera esistenza ci sarebbero state
rivelate pezzo per pezzo durante i pranzi familiari nel corso degli anni, dopo
avercene rivelato l’inizio. Papà avrebbe indicato un’arcata e avrebbe detto a
Cordelia: «Qui è dove il giovane Sir Thomas Champernowne fuggì dalle guardie
e partì in direzione di West Country»; avrebbe spiegato a Mary: «Questa è la
camera da letto di Lydia Monument»; e a me, «in questo salone Tarquin
Katerfelto si esibì in uno dei suoi giochi di prestigio più straordinari, che si
diceva fossero vera magia», e ciò che venivamo a sapere di queste persone in
seguito non era certo inventato, ma piuttosto ritrovato. Anche se andassi oggi
stesso tra le rovine della casa e rimanessi sulle ceneri di quello che un tempo era
il nostro soggiorno, e abbassassi lo sguardo sul punto del pavimento dove
appoggiavamo i vassoi con sopra le nostre case, ci sarebbe ancora qualcosa che
potrei imparare su Sir Thomas Champernowne, Lydia Monument, Tarquin
Katerfelto.
Anche mamma dava il suo contributo alla creazione di questo mondo, anzi
compiva l’impresa importantissima di rendercene visibile una parte. Aveva
conservato molti dei vestiti che indossava da giovane, e ne aveva trovati alcuni
particolarmente belli imballati nei cassetti dei mobili di zia Clara, inoltre ogni
anno apriva il suo “baule della robaccia” e trovava materiale per dei costumi che
avessero un qualche rapporto con i giocattoli che papà stava costruendo per noi e
che noi avremmo indossato il giorno di Natale o a Capodanno o per la notte
dell’Epifania. Aveva molti difetti come costumista, perché la forza nervosa che
aveva nelle dita le rendeva penoso maneggiare gli aghi, però sedeva alla
macchina da cucire e con sforbiciate selvagge e giri di ruota indiavolati riusciva
a produrre abiti romantici che appagavano il suo senso estetico, facevano felici
noi e la avvicinavano di più a papà. Se ci ripenso oggi, solo questo lavoro di
sartoria e nient’altro di quel che io riesco a ricordare della loro vita come erano
arrivati a viverla a quel tempo le consentiva l’accesso alla vena fantastica di mio
padre che ora lui ripudiava, ma che deve essere stata ciò che l’aveva fatta
innamorare a dispetto dei problemi provocati dal genio e dall’integrità di lui.
ho seguito i consigli di Alessandro Bariucco.
la famiglia Aubrey, di Rebecca West.
questo è il natale, una forma creativa di felicità possibile.
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