I randagi, i questuanti, adesso erano emigranti. Le famiglie che erano
vissute in un piccolo podere, che erano vissute e morte in quaranta acri di
terra, che si erano nutrite o avevano patito la fame con il raccolto di quaranta
acri, adesso avevano tutto lo sconfinato Ovest per peregrinare. E sciamavano
in cerca di lavoro; e le strade erano fiumi di gente, e i fossi lungo le alzaie
erano file di gente. E altra gente arrivava dietro di loro. Le grandi arterie
pullulavano di gente che emigrava. Nel Middlewest e nel Southwest era
vissuta una semplice schiatta di contadini che non erano cambiati con
l’industria, che non avevano mai lavorato la terra con le macchine e non
conoscevano il potere e il pericolo delle macchine in mani private. Non erano
cresciuti nei paradossi dell’industria. I loro sensi non erano ancora
ottenebrati dalle incongruenze della vita industriale.
Ma all’improvviso le macchine li scacciarono, e si ritrovarono a dover
sciamare lungo le strade. La vita randagia li cambiò; le grandi arterie, i
bivacchi lungo la strada, la paura della fame e la fame stessa li cambiarono. I
figli affamati li cambiarono, l’interminabile vagare li cambiò. Erano
emigranti. E l’ostilità li cambiò, li saldò, li unì; l’ostilità che induceva i centri
abitati a raggrupparsi e a equipaggiarsi come per respingere un invasore,
manipoli armati di manici di piccone, garzoni e bottegai armati di fucili, per
difendere il mondo contro gente del loro stesso sangue.
Nell’Ovest si diffuse il panico di fronte al moltiplicarsi degli emigranti sulle
strade. Uomini che avevano proprietà temettero per le loro proprietà. Uomini
che non avevano mai conosciuto la fame videro gli occhi degli affamati.
Uomini che non avevano mai desiderato niente videro la vampa del desiderio
negli occhi degli emigranti. E gli uomini delle città e quelli dei ricchi
sobborghi agrari si allearono per difendersi a vicenda; e si convinsero a
vicenda che loro erano buoni e che gli invasori erano cattivi, come fa ogni
uomo prima di andare a combatterne un altro. Dicevano: Quei maledetti Okie
sono sporchi e ignoranti. Sono maniaci sessuali, sono degenerati. Quei
maledetti Okie sono ladri. Rubano qualsiasi cosa. Non hanno il senso della proprietà.
E su quest’ultima cosa avevano ragione, perché come può un uomo senza
proprietà conoscere l’ansia della proprietà?
E i difensori dissero: Sono
sporchi, portano malattie. Non possiamo lasciarli entrare nelle scuole. Sono
stranieri. Ti piacerebbe veder uscire tua sorella con uno di quelli?
Gli indigeni si suggestionarono fino a crearsi una corazza di crudeltà.
Formarono drappelli, squadre, e li armarono: li armarono di manici di
piccone, di fucili, di gas. Il paese è nostro. Non possiamo lasciare che questi
Okie facciano i loro comodi. E gli uomini che venivano armati non
possedevano la terra ma pensavano di possederla. E i garzoni che di notte
facevano la ronda non possedevano nulla, e i piccoli bottegai possedevano
solo debiti.
Ma anche un debito è qualcosa, e anche un salario è qualcosa. Il
garzone pensava: Io prendo quindici centesimi a settimana; che faccio se un
maledetto Okie si accontenta di dodici? E il piccolo bottegaio pensava: Come
la reggo la concorrenza di uno che non ha debiti?
E gli emigranti sciamavano per le contrade, e nei loro occhi c’era la fame, e
nei loro occhi c’era il desiderio. Non avevano discorsi, non avevano criteri,
non avevano altro che la loro quantità e il loro bisogno. Quando c’era lavoro
per un uomo, dieci uomini lottavano per averlo – e la loro unica arma era il
ribasso di paga. Se quello lavora per trenta centesimi, io ci sto per
venticinque.
Se quello lavora per venticinque centesimi, io ci sto per venti.
No, pigliate me, ho fame. Lavoro per quindici centesimi. Lavoro per
qualcosa da mangiare. I miei figli. Dovreste vederli. Gli sono spuntati dei
cosi neri, pustole, e non riescono a muoversi. Gli ho dato della frutta che
c’era per terra, e gli s’è gonfiata la pancia. Pigliate me. Lavoro per un pezzetto
di carne.
Ed era un affare, perché le paghe scesero e i prezzi rimasero alti. I grossi
proprietari erano contenti e fecero distribuire altri volantini per far arrivare
altra gente. E le paghe scesero e i prezzi rimasero alti. In attesa di tornare ai
tempi della schiavitù.
A quel punto i grossi proprietari e le imprese inventarono un nuovo
metodo. Un grosso proprietario acquistava un conservificio, e quando le
pesche e le pere erano mature, abbassava il prezzo della frutta sotto il costo di
coltivazione. Così, in quanto proprietario del conservificio, pagava a se
stesso un prezzo basso per la frutta e faceva profitti mantenendo alto il prezzo
del prodotto in scatola. I piccoli coltivatori che non possedevano conservifici
persero le loro fattorie, che vennero assorbite dai grossi proprietari, dalle banche e dalle imprese che possedevano anche i conservifici. Con l’andar del
tempo le fattorie diventarono sempre meno. I piccoli coltivatori si
trasferirono in città, giusto il tempo di sfruttare fino all’osso i risparmi, gli
amici, i parenti. Poi finirono anche loro sulle grandi arterie. E le strade
pullulavano di gente assetata di lavoro, pronta a tutto per il lavoro.
E le imprese e le banche stavano scavandosi la fossa con le loro stesse
mani, ma non se ne rendevano conto. I campi erano fecondi, e i contadini
vagavano affamati sulle strade. I granai erano pieni, e i figli dei poveri
crescevano rachitici, con il corpo cosparso di pustole di pellagra. Le grosse
imprese non capivano che il confine tra fame e rabbia è un confine sottile. E i
soldi che potevano servire per le paghe servivano per fucili e gas, per spie e
liste nere, per addestrare e reprimere. Sulle grandi arterie gli uomini
sciamavano come formiche, in cerca di lavoro, in cerca di cibo. E il furore cominciò a fermentare.
Furore, legge e commenta Alessandro Baricco su RAI 3.
e questo lo sa fare bene.
ascolto e sono rapita, come ho già avuto modo di scrivere, questo romanzo è un capolavoro.
ritrovo parole e personaggi, atmosfere e immagini mentali.
vedo la polvere, vedo le strade, vedo la gente, vedo la rabbia, sento il furore.
come scrive Aldo Grasso sul Corriere, questi reading, tutti, sono cerimonie laiche.
e qui si celebra, con rito universale e di perdurante verità, la miseria umana del migrante, la schiavitù, la derelizione, la morte per fame, la passione di cristo.
amen.
2 commenti:
Furore, un romanzo che mi ha marchiato a fuoco.
Se queste cose avessero senso e utilità, sarebbe da rendere “obbligatorio”nelle scuole, accanto o al posto dei Promessi Sposi”
Un saluto
Marco
Buongiorno Marco,
Furore è un libro indimenticabile, so che ti piace molto, ma devo dire che non lo sostituirei ai Promessi Sposi...
rileggilo, o ascoltalo nella versione di Paolo Poli o di Fabrizio Gifuni (Ad alta voce, rai radio 3).
ti ravvederai.
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