Un giorno di un grande caldo del 1944 un gruppo di ragazzi sguazzava in un
canale di campagna vicino a Padova. La campagna era piatta e gialla di paglia
per il frumento appena tagliato, non c’erano alberi ma il canto delle cicale
era fortissimo, l’acqua del canale era poco profonda e scorreva tra le alghe
e un fondo giallo di fanghiglia con qualche rana. C’era un ponte lì vicino,
e i ragazzi videro passare a mezzogiorno due giovani vestiti di bianco con
la giacca e la cravatta, la pistola in pugno e circondati da altri in divisa con
dei mitra. Parevano cercare qualcosa tra i covoni di paglia, due o tre volte
spararono e presero a calci delle galline che volavano e cantando sollevarono
molta polvere.
Quel giorno si era unito alla compagnia dei ragazzi un soldato
tedesco molto giovane con un busto di gesso che gli sosteneva il collo, di
nome Fritz, con una fisarmonica. Aveva una pistola P.38 dal fodero di cuoio
lungo e nero che montò e smontò davanti ai ragazzi molto attratti. Uno della
compagnia di nome Roberto aveva portato con sé una cuginetta bionda e
abbronzata che veniva da Milano e si chiamava Coralla: aveva le orecchie
bucate e due minuscoli orecchini in forma di anello con una perlina, quando
usciva dall’acqua mandavano piccolissimi lampi. Coralla era «sfollata» da
Milano perché c’erano troppi bombardamenti e ne parlò con Giannetto, che
era figlio di un federale fascista ma era molto simpatico e disse a Coralla di
conoscere i nomi di certe strade di Milano, come via Donizetti e via Mozart.
Giannetto non si poteva veramente chiamare fascista solo perché aveva il
padre federale, e poi si comportava in modo molto dubitativo perché a lui
interessava solo il calcio e le ragazze.
Uno dei ragazzi si chiamava Mario Foscarini e aveva sedici anni (era il più
vecchio), quasi non guardò Coralla al momento della presentazione, anzi si
tuffò nel canale emergendo parecchio tempo dopo, forse due o tre minuti.
Mario era anche il più bello dei ragazzi perché gli altri erano quasi bambini,
aveva capelli lunghi e neri, «ondulati», che sapevano odore di pane fresco
quando usciva dall’acqua.
Un altro dei ragazzi, Massimiliano, detto Max, guardava Mario, Fritz e Coralla
con molta invidia, ma era una invidia particolare perché era più ammirazione
che invidia ed egli si sentiva debole. Egli sentiva nel loro odore il profumo
e la bellezza dei vincitori, cioè qualche cosa di apparentemente eroico e di
puro nei loro corpi molto simile a quei giovani fascisti vestiti di bianco con
la pistola in pugno, che passavano dalla pistola al pettine per pettinarsi, e
camminavano nella polvere della campagna tra i coccodé delle galline. «Perché
l’eleganza deve essere così stupida? » si chiedeva Max e immaginava che quei
giovani vestiti di bianco con un distintivo all’occhiello della giacca prima o poi
sarebbero stati fucilati.
Coralla conosceva il tedesco e stando in acqua, dopo
aver nuotato «a farfalla», parlava con Fritz che stava seduto impettito nel suo
busto, con calzoncini di grossa tela cachi, stivaletti chiodati e la fisarmonica
a tracolla. Fu la presenza di Fritz, l’arrivo di Coralla da Milano con la sua
abbronzatura coperta di una piccolissima peluria chiara, l’odore di capelli
di Mario Foscarini che crearono quel giorno tra i ragazzi un’aria fluttuante
di attesa come non era mai accaduto gli altri giorni e come accade molto di
rado, alla vigilia di qualche grande avvenimento della vita. Quest’aria toccò il
suo punto massimo in due momenti. Il primo quando tutti sentirono l’odore di pane fresco che emanava dai capelli di Mario Foscarini e il secondo quando
Fritz disse a Coralla:
«Du scheinzt ein deutsches Mädchen zu sein» (sembri
una ragazza tedesca). E lei rispose:
«Ich bin Italienerin» (sono italiana).
Tre cose c’erano, oltre a tutte le altre «storiche», come la campagna, il caldo,
la guerra e la fine di qualcosa che portarono molto in alto quelle due frasi: la
purezza della lingua tedesca, il timbro delle due voci e il tono orgoglioso di
quel «sono italiana» che fece un po’ abbassare gli occhi a Fritz.
Mangiarono: pane e salame, uova, pesche e acqua di Vichy. Fritz si era
portato del pane nero che spalmò di strutto e mangiò solo quello senza
accettare nulla dai ragazzi ma ringraziando sempre. Dopo mangiato Fritz
suonò la fisarmonica, suonò e cantò Lili Marlen insieme a Coralla, poi Fiorellin
del prato e Con te era bello restar in duplice versione, italiana e tedesca, e lì
Mario Foscarin insegnò a ballare a Coralla. Poi ci fu un momento di noia per tutti in cui si sentirono soltanto le cicale, qualche gallina lontana e il parlottare di Giannetto e di Max, amici intimi nonostante la politica. Max sapeva che Giannetto gli voleva molto bene, ma la differenza era che tra i due Max emanava amicizia e Giannetto la riceveva con tutto il bene possibile. Giannetto, mentre Max parlava, lo guardava allo stesso modo di Coralla che guardava Fritz senza mai guardarlo, cioè guardandolo in trasparenza e pensandolo alo stesso tempo per non far vedere la direzione dello sguardo. Coralla a un certo punto chiese a Fritz di vedere la P.38 e la prese anche in mano con un batticuore molto evidente. I loro ginocchi si toccavano.
Ancora una volta Fritz disse:
«Deutsches Mädchen », ma Coralla non rispose.
Fu in quel momento che si udì un rombo molto lontano.
«Flugzeuge», disse
Fritz e tutti guardarono in aria nel cielo bianco di caldo. Il rombo si distese nel
cielo e aumentò ma non si vedevano aerei, veniva da sud accompagnato via
via da un grande silenzio; anche le cicale smisero di cantare. Poi cominciarono
i primi bagliori lontani e infine si videro avanzare gli aerei altissimi e lucenti
in tre grandi formazioni a triangolo.
«Contiamoli», disse Giannetto, «non ho mai visti tanti». Quando
furono sulle loro teste Max disse con una strana gioia nella voce: «Sono
trentasei».
Ma il rombo non si spense e se ne udì un altro e poi un altro ancora.
Max contava sempre e per quasi mezz’ora passarono sul loro capo a grande
altezza gli aerei. Bestie dentro stalle lontane cominciarono a muggire. Un solo
aereo restò indietro, con la coda fumante e perdendo quota, quando passò su
di loro videro chiaramente la stella americana, la prima della loro vita, quattro
piccole palle uscirono dalla fusoliera , uno dopo l’altro si aprirono i paracadute.
I ragazzi seguivano con gli occhi i paracadute verdi scendere oscillando e
cercavano di distinguere gli uomini, gli americani che non avevano mai visto,
col cuore in gola.
Di là dalle colline avvolte nel vapore salirono i boati, gli schianti e nubi di
fumo. Max vide chiaramente le pupille di Fritz dilatarsi e i suoi occhi diventare
quasi neri.
«È Verona», disse, «la guerra finirà presto».
Da I sillabari, Goffredo Parise
Da I sillabari, Goffredo Parise
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