così si chiama.
risiedeva in un vaso e da lì l'ho trasferito nella terra.
l'ho trapiantato nel mondo, gli ho dato radici, e ora gira su se stesso con la terra e partecipa del movimento dei pianeti dell'universo.
aveva da poco, qualche mese, finito di fare il suo lavoro.
l'albero di Natale.
alberello di Natale.
era piccolo, si chiama pinello, per questo.
è stato più di venti anni fa, forse venticinque.
non ho più saputo nulla di lui per molti anni, almeno quindici.
quindici anni fa ho venduto, imbecille incauta più che mai pentita ma impossibilitata a fare altrimenti, la casa e il terreno in cui risiedevamo, io e pinello.
oggi farei diversamente e la troverei una soluzione possibile, allora non avevo strumenti, ero molto meno di ora, non mi riconosco. chi ero?
io e pinello ci siamo separati.
davanti a casa ci sono passata più volte ma sempre con un inizio di depressione maggiore, malinconia, disperazione, abbattimento, attacco di panico e ideazione suicidaria.
quest'anno è andata meglio (il tempo o l'analisi?) e mi sono permessa di Entrare.
Entrare.
oltrepassare il cancello verde.
sventrato.
i segni dell'incuria si vedono già dalla porta di Entrata.
è aperto e solo questa condizione mi permette di andare oltre il confine ed essere Dentro.
Dentro.
viene ad accoglierci il nuovo padrone di casa, irlandese, ventre enfio e prominente, bevitore oltre.
cammino Dentro, qualcosa somiglia a un ricovero nell'utero materno.
ma molti accidenti mi disturbano, c'è un incuria diffusa, i riferimenti sono quelli, ma "quello", quel qualcosa, non c'è più.
una differenza di cultura emerge potente (giardino all'inglese? giardino all'italiana?), il giardino è incolto e lasciato crescere selvaticamente, l'erba, l'edera, il muschio sono ovunque, hanno coperto viali, gazebo, lastricati. piante tagliate, mozzate, secolari, altissime, dice: erano malate.
vorrebbe tirare giù la magnolia, non è malata, ma non gli piace.
vorrebbe tirare giù la magnolia, non è malata, ma non gli piace.
ahia.
sto male.
la casa è diroccata, persiane sempre quelle, da allora, scrostate. la porta di entrata della villa, chiusa, serrata, alla malora.
un angolo di giardino e del viale circolare, dove c'è la breve scalinata laterale, l'entrata nella cucina dai grandi vetri, quella della zia ernestina, è luogo di deposito di tutto, roba rotta, attrezzi, stracci, scale, stivali, legna tagliata, un abbandono totale.
riemergono i pensieri suicidari di cui ho sofferto tutte le volte che non sono entrata.
cosa ho fatto? come è potuto succedere?
non dovevo Entrare.
salgo verso lo spiazzo adiacente alla cascina, la parte che confina con l'oratorio, e dal quale sono entrati, allora, i ladri e dove è penetrata la pestilenza che questa casa, pezzo della mia vita, poi, me l'ha portata via. una peste nera maligna, una malattia virulenta e mortale, che ha spezzato un incanto irripetibile e che ha convinto tutti a sbarazzarsi del corpo malato della casa.
qui la natura selvatica assume invece un tono affascinante, dove c'erano i piccoli orti con le carote, le patate, il prezzemolo, la vite di uva americana, i kiwi, ora crescono rose e altri fiori che non conosco, è bello, è una zona romantica, davvero romantica.
poi si arriva alla piscina, unico luogo di tutta la casa che gode di una cura, il prato è perfetto, rasato, curato, i dettagli sono evidenti. sono sbalordita, per questi nuovi residenti tutto può andare in rovina, nell'abbandono più colpevole, ma solo la zona della piscina, una rettangolo di terra in una proprietà vasta e piena di angoli bellissimi, è preservata da questa modalità offensiva.
il cortile dietro la casa è inguardabile, tutto è lasciato cadere, i vasi dei fiori tutti rotti, c'è un grande tendone con un tavolo da giardino, ma è tutto disordine e decadenza. hanno abbattuto il muro posteriore, quello che era, nella pianta originaria della villa, un piccolo anfiteatro, è stato riportato alla sua funzione originaria.
guardo le persiane delle mie camere da letto, mi viene un'extrasistole, devo respirare a fondo.
fingo stupore e parlo, ma vorrei vomitare.
il campo di bocce è come tutto il resto, il campo da tennis, in alto sulla collina, totalmente occupato e dominato dalle piante, chiedo e mi dicono nooo, dai, lì non ci va nessuno.
tu non ci vai, io ci ho passato gli anni più belli della mia vita.
mi dicono che qui è venuto uno, "parla molto bene l'inglese", è mio fratello. lui è venuto qui, me lo aveva detto, anche che non gli ha creato nessun problema.
è strano che tu ci stia così male, ha detto.
bene, andiamo, penso.
andiamo ho visto quello che dovevo vedere. o non dovevo vedere.
poi mi dice: ma quello è pinello.
pinello.
bello, maestoso, verdissimo, non più pinello.
un albero forte e attraente, dignitoso e coraggioso.
ha un andamento del suo verde che lo fa sembrare uscito da poco dal parrucchiere, come se fosse stato pettinato.
ha un andamento del suo verde che lo fa sembrare uscito da poco dal parrucchiere, come se fosse stato pettinato.
si affaccia sulla piscina.
da pace, improvvisa, a me.
l'ho piantato io, dico, ma agli irlandesi non interessa.
eppure è il segno di un'appartenenza, di un nome, un cognome, una famiglia, un simbolo, una vita, molte vite che di qui, per questa casa, questa villa, questa Madre sono passati e si sono, per molti anni, nutriti.
1 commento:
toccante,commovente e nostalgico sono queste definizioni che mi suscita il tuo bel racconto..
buona serata Rouge
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