la mostra di Sottsass alla Triennale vale il viaggio.
più che il design, più degli oggetti, sono impazzita per le foto.
e per i pensieri.
molti pensieri, un filosofo tra gli architetti.
le foto non le trovo sul web, tranne pochi esemplari delle Metafore, ma non sono le mie preferite.
le ragazze di Antibes sono introvabili, e quelle dei suoi viaggi, pure.
eppure.
eppure ogni foto ha un obiettivo preciso, in ogni singolo caso centra la questione, la mette a fuoco precisamente, infallibilmente.
è un viaggio stravagante, un'incursione nella testa di un altro, per parole, per immagini, per sentieri immaginifici.
Non sono un fanatico del futuro, futuro. non sono un fanatico dell'orologio, neanche delle strutture, neanche del progresso (al prezzo che costa), neanche sono un fanatico della vittoria.
Più penso alle tenebre e meno so come sono e diventa sempre più difficile definirle. Si scende nelle tenebre attraverso la luce viola del corridoio dell'ospedale? O si passa attraverso barriere roventi? Ci si arriva trafitti dalle palle di mitragliatrici? O ci si arriva sbattuti come sassi contro un muro? Papà le tenebre sono nere o bianche? Forse sono bianche di gesso. Perché in fondo non è detto che le tenebre siano nere. Che le tenebre sono nere è un'idea retorica fabbricata in occidente e forse le tenebre invece sono bianche come vuole l'idea retorica dell'oriente. Possono essere bianche come quella balena come le mura di lima come le ossa come i mari in bonaccia come le ghiaie morte dei monti silenziosi come i lenzuoli che coprono i cadaveri come i fiori delle barelle sul Gange. Io non so come sono le tenebre.
Mi interessa recuperare un senso dello stupore quasi infantile. Ho letto recentemente antichi testi vedici dove si avverte un senso "pre-religioso" del mondo e dove il divino è parte importante. Noi siamo dentro questo spazio divino. Siamo giorno e notte sbalorditi per quello che succede perché non abbiamo spiegazioni, apriamo gli occhi e attraversiamo i fenomeni come bambini. Credo che se potessimo mettere in moto un atteggiamento di questo genere, una pazienza speciale, invece di voler sempre capire, possedere e controllare, potremmo forse avere anche un altro tipo di industria.
L'architettura è invocazione e presunzione. E' invocazione quando l'uomo solo, stanco, terrorizzato, chiede all'architettura protezione e certezza. E' presunzione quando l'architettura si afferma e si impone come simbolo di protezione e certezza contro l'aggressione dell'universo.
L'architettura vive questa coesistenza di invocazione e presunzione, vive di volontà magica, ricostruendo secondo gli ordini, le cadenze e la meticolosa procedura del rito, lo spazio grande e caotico dell'universo e vive stabilendo per simboli statici e pietrificati, innalzati contro il cielo, il segno della presenza umana, cioè il segno della convenzione umana.
Il rito dell'architettura si compie per rendere reale uno spazio che prima del rito non lo era.
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