bianco e nero

come una foto. in bianco e nero. nessuna concessione al colore, alla spettacolarita', ai nuovi barbari. bianco e nero colori vividi dell'essenziale, solo l'autenticita' della forma. della sostanza. l'occhio vede e non si inganna.
"questo e' il mio segreto.
veramente semplice.
si vede bene solo con il cuore.
L'essenziale e' invisibile agli occhi."
Il piccolo principe. A.d.S-E.

venerdì 30 ottobre 2020

Limonov

non credo riuscirò a finirlo prima dello scadere del mese di prova.

mi sono iscritta a Audible e mi sono scaricata Limonov di Emmanuel Carrère.

ma siccome sono carcerata in casa e non vado più al lavoro in quel di Cologno con una media di 45-50 minuti andata e 30 ritorno, se mi va bene, la mia lettura, la mia audiolettura ne ha risentito parecchio. 

quindi non lo finirò, domani la carrozza si trasforma in zucca.

mi dispiace?

NO.

anzi, potrebbe essere la giusta fine di una lettura mediamente infelice.

ho iniziato con qualche curiosità, che si è mantenuta quasi costante per i primi capitoli, ma, con una caduta direi verticale, si è ridotta ai minimi termini con il passare degli anni fino a rasentare la noia attiale.

diciamo che la fondazione del partito nazional-bolscevico, con quell'altro genio di Aleksandr Dugin, di ispirazione fascista e comunista, che ha adottato come proprio simbolo la falce e il martello all'interno d'un cerchio bianco su sfondo rosso, fondendo così il simbolo del comunismo al vessillo del Partito Nazionalsocialista Tedesco dei Lavoratori e della Germania nazista, in una bandiera dove la svastica nera è sostituita appunto dal simbolo socialista sempre dello stesso colore, mi è sembrato il fondo possibile di una parabola che potrei solo definire molto triste.

siamo nell'idiozia.

tutta la storia di questo soggetto è alla fine, per me, di fascino pari a zero.

capisco che la prima parte mi ha attratta. e parecchio, per la storia dell'Unione Sovietica che porta con sè, Limonov è nato Eduard Veniaminovič Savenko a Dzerzhinsk, nell’Ucraina in guerra contro l’Asse nel 1943, e poi cresciuto nei poverissimi slum di Kharkov. ma, comunque, alla lunga, dopo anni di Parigi e Stati Uniti, arrivare alla caduta del muro di Berlino senza sbadigli è stata dura. 

riconosco i tratti di una personalità disturbata, di una ricerca costante di un'aura di originalità, alimentata da un narcisismo cosmico, di gente così in giro ne abbiamo già parecchia, e che questo sia riuscito più di altri, con atti di fanatismo filo serbo e altre amenità perverse, ad attirare su di sè l'attenzione che voleva non lo trovo di grande interesse narrativo.

mi sono ritrovata a desiderare in molti momenti che tornassero in scena le sua vicende sentimentali per riuscire ad avere qualche spunto riflessivo, ma no, dai, qualche motivo di intrattenimento che giustificassero il mio trattenermi all'ascolto. quindi c'è qualcosa che non va. 

credo che il tempo sia scaduto. game over.


giovedì 29 ottobre 2020

La valle dell'Eden

in buona sostanza Dean ne ha fatti 3 e nel giro di due anni. forse anche meno. quando è uscito Il gigante, nel 1956, James Dean era già morto.

un incidente se l'è portato via e capisco che la morte, violenta e prococissima su un personaggio ancora tutto in potenza, può fare molto di più di una vita intera.

di Dean amo molto la foto sotto la pioggia newyorkese a Tomes Square, di Dennis Stock, anche lì, non puoi sapere che la morte farà della tua foto, riuscita, un modello iconico di portata mondiale. una consacrazione per l'eternità.

io immagino che quella faccia, quella mobilità, quel modo schivo, furtivo, a tratti quasi bizzarro, siano più dell'uomo che dell'attore, troppo acerbo per fare qualcosa che non fosse se stesso. anche perchè anche in questo film, una specie di sermone biblico, una tragedia incrocio tra il ritorno del figliol prodigo e la rottura della fratellanza tra Caino e Abele, io trovo un James Dean troppo simile a quello del Il gigante. ritrovo quella ritrosia davanti alla macchina da presa, quel muoversi un po' impacciato , quel nascondere lo sguardo che penso appartengano al carattere di un ragazzo di 24 anni, più che alla prova attorale di un giovane talento.

ad ogni modo, non so fare l'analisi del mito, io solo mi diverto, in questa mia virale valle di lacrime, in questo mio terrore nell'erba, a vedere questi colossi, questi molossi cinematografici, film che sembrano cattedrali nel deserto, impianti visuali archeologici che già oggi, a distanza di soli 70 anni o quasi, parlano di un'era geologica estinta. 



è come passeggiare tra i sette palazzi celesti di Anselm Kiefer. 

comunque, avercene.

martedì 27 ottobre 2020

il Gigante

 è tutto chiuso.

se anche mi arrivasse, dopo 5 giorni, l'esito del tampone di questa splendida regione della lombardia dell'eccellenza di sto piffero - ripeto CINQUE giorni - non avrei un solo posto dove andare.

quindi si riesumano serie TV, però insomma alla fine basta, oppure vecchi film, oppure oppure.

bene, ieri sera, con il morale a terra, ho visto il Gigante.

filmettino di 3 ore e 20 del 1956.

l'ultimo con James Dean.

uno dei tanti con Rock Hudson e Elisaberh Taylor.

un filmonissimo infinito epico ricco razzista strabordante denaro e boria di quella e questa fanastica America che non finisce mai di stupirmi, e di inorridirmi, e che aspetto al varco il 3 novembre se non si disintegrerà prima sotto il pandemonio apocalittico del coronavirus.

oggi acclamiamo l'arrivo della solita fanatica cattolica integralista antiabortista pistolera di destra Amy Coney Barrett. cara Ruth Bader Ginsburg, ci abbiamo perso non una, ma due volte con la tua insana decisione di andartene. 

tornando al Texas de il Gigante, tutto si svolge nella polvere assolatissima di quella terra sconfinata e, guarda guarda, si butta anhe un occhio sulle popolazioni messicane asservite povere malate e segregate. ed ecco l'occhio benevolo della grande Hollywood che vede la nostra eroina del Maryland (mammamia come si fa a passare dal Maryland al Texas senza finire stabile due volte a settimana nello studio di uno psicoanalista!!), nota come Elisabeth Taylor, occuparsi amorevolmente delle cenciose madri e dei loro rachitici figli mentre è alle prese con un marito conservatore e una sorella gelosa e uno spasimante piuttosto bizzarro, ttrattasi di James, ovviamente. il bel Dean. passano gli anni e i figli crescono e il Texas si riempie di pozzi di petrolio e il nostro Dean si fa una doccia di oro nero e diventa sfondato, da sfigato che era, di soldi e di alcool. i cenciosi messicani defraudati delle loro terre - mettetevi in fila, siete solo gli ultimi di una lunghissima serie di diseredati sottomessi e annientati, non si accettano più reclami, the doctor is out- in fondo sono ancora lì, muri o non muri, al confine con il Texas, in campi profughi di varia disumanità, in fondo si è trattato di una profetica anticipazione.





ovviamente la retorica di cui trasuda il film è la sua disarmante bellezza, ormai abbiamo decodificato tutto e non ci caschiamo più ma l'incrocio tra libertà e tortura, tra spazi e angustie, tra immagine eroica e menzogna narrativa è il marchio di fabbrica di queste produzioni cinematografiche colossali. 

cosa c'è di più irripetibile e consumato, masticato e digerito, dello stivale impolverato e del cappello da texano calcato sulla faccia scanzonata e bastarda di james dean? di un james dean a poche ore dalla sua morte.


lunedì 26 ottobre 2020

pandemia che è in me

sono sospesa in attesa del mio verdetto.

è cambiata l'aria, è cambiato perchè ora si la gente si ammala.

amici conoscenti colleghi familiari figli, prima erano solo gli altri, altri lontani, mai conosciuti e che mai conosceremo, andati scremati falciati, ora tocca a noi.

quanti siamo.

la creaura mitica della pandemia entra nelle nostre case e ci parla da vicino, ci suggerisce che ora è diverso, l'aria è cambiata, la storia è cambiata, l'era è finita, la biologia è segnata, il tempo è scandito, il mondo ha virato,

virato?

è diventato virale, si diceva, si dice. il virus è virale e ci infetta i pc e gli smart-phone, è il significante dominante, abbiamo virato, è virale, è veloce, una saetta, ormai mi anticipa. 

ora la sento la pandemia, ora il virus è in me.

cosa mi ha contagiata? cosa mi ha immesso nella storia di questo secolo? un gesto, una dimenticanza, una sporcizia, un giro su me stessa, un eccesso, o una parola?

forse forse una parola mi ha contagiata e mi ha disancorata dal mondo.èlì che mi sono ammalata.

qulcosa, qualcuno, è stato, e voilà, sono nel corpo mitico della storia, 2020.

anni venti del 2000.

niente d grave sto bene aspetto il tampone di rientro ma sento che qualcosa è in me, è come se avessi cambiato sguardo, cambiato età, cambiato ritmo.

la pandemia ha buttato fuori gli anziani i deboli, li ha esclusi dal gioco, ora ha risparmiato me, ma perchè? come mai io sono ancora qui? la mia vità non è ancora abbastanza, ho anocora un residuo possibile, non sono ancora troppo "lunga". vivrò di più e vivrò meglio? oppure il molosso sopra e dentro di me ha cambiato qualcosa per sempre? io non vado veloce quanto il virus sulle ali del digitale, io sono davvero lentissima in confronto.

sono al collasso, sono un'assistita, entro in un'agonia, sono privata di potere e di valore. rimango così o sono destinata a una rinascita a una ricostruzione insieme alla struttura mondo che ripartirà dopo la caduta mondiale cosmica che ci sta rovinando addosso?

perdo salute perdo legami perdo lavoro perdo sostanza, perdo o mi rigenero?

venerdì 23 ottobre 2020

Black Summer

Black Summer







Alla fine di gennaio 2020, in Australia, più di 30 persone hanno perso la vita a causa degli incendi, 3.000 sono le case distrutte e circa 12,6 milioni di ettari di terra sono bruciati. La fauna selvatica è stata duramente colpita. Gli scienziati locali hanno stimato che almeno un miliardo di animali sono morti e più del 50% della foresta pluviale è andata completamente distrutta.

Vitiligo

l’impatto della vitiligine va ben oltre la pelle 





giovedì 15 ottobre 2020

Ren Hang

è tempo di morire

dice Roy prima di spegnersi e piegare la testa nella pioggia

siccome sto veramente male e non mi raccapezzo più mi sono rivista Bade Runner e Blade Runner 2049. e stiamo ancora applaudendo.

non so se è effetto di un coronavirus in visita o piuttosto di una forma gastrointestinale che con il corona non ha niente a che fare, in ogni caso sono un relitto. e in ogni caso ho fatto un tampone. sono tempi difficili e difficile è schivare i colpi della sfortuna. io non ci riesco.

lunedì, prima di questa dannazione che mi porterà all'inferno, ho visto la mostra alla Galleria Sozzani su Ren Hang, fotografo cinese morto a 30 anni dopo aver forsennatamente fotografato corpi.

ora, magari è perchè sto da cani, ma posso dire di non aver visto nulla di interessante, se non un gioco, sul filo della perversione, che fa del corpo un oggetto, una forma, un po' di carne e colore, una visuale sparaflashata con eccesso. ancora più perturbanti delle foto sono i filmini che lo vedono al lavoro. a me sembra un lavoro sessista, se per sessista intendiamo una discriminazione sessuale. non tra i generi, che si fondono in un mischione che non prevede differenze, ma tra il sesso e la vita. tutto è oggetto, massificato, carnificato, banalizzato, confuso, minimizzato. è stato come osservare lo scorrere della morte sotto i miei occhi. visioni paralizzanti, la pietrificazione dei vasi sanguigni a favore di un estetismo ossessionante.







eh si, è tempo di morire

lunedì 12 ottobre 2020

single shot









alcune delle foto che hanno partecipato a WORLD.REPORT AWARD, DOCUMENTING HUMANITY 2020 SINGLE SHOT SHORTLIST .

sono esposte in quella piacevole città di Lodi, all'aperto, visitabili da tutti, in un parco, e questo mi piace.





la foto vincitrice è quella di Francesca Mangiatordi, che ritrae la nostra infermiera esausta svenuta sul pc. ma non mancano piacevoli sorprese, attimi diventati eterni se mai qualcuno le rivedrà ancora in questo enorme spazio fotografico ormai senza limiti. cosa ricorderemo, cosa rivedremo, cosa resterà di tutto questo immenso materiale fotografico? 

venerdì 9 ottobre 2020

Lacci

 ne ho visti di film, ultimamente.

anche della rassegna sul Festival di Venezia.

non posso dire di aver fatto i salti di gioia.

Volevo nascondermi, grande grande grande Elio Germano, ma il film è discontinuo, non gira sempre bene.

Molecole di Segre e Notturno di Rosi, deludenti, soprattutto il primo. Segre,  non è che la pandemia ci autorizza a parlare e fare qualsiasi cosa.

Miss Marx? discreto.

Tenet? alla lunga stucchevole, guardare e non capire personalmente non mi diverte.

Venezia? In between dying dall'Azerbaijan e The disciple dall'India? non promuovo nessuno dei due, va bene la ricerca ma la noia no. Venezia ha sempre questo primato, di film che non arriveranno mai da nessuna parte, troppo particolareggiati su realtà ristrette, senza respiro.

però ho visto Lacci, di Daniele Lucchetti. interpretato da Alba Rohrwacher, Luigi Lo Cascio, Laura Morante, Silvio Orlando, Giovanna Mezzogiorno, Adriano Giannini, Linda Caridi. film di apertura, Fuori concorso, della 77a Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica.
tratto da un romanzo di Domenico Starnone, credo un gran bel romanzo. nel senso che è ciò che ho sentito di più in questo film e che, invece, sempre di più manca al cinema. una storia, una storia solida e interessante da raccontare. la sceneggiatura si fa sentire, la narrazione è intensa, i personaggi scolpiti, i figli annientati, le tematiche di coppia trattati. i dialoghi interessanti.
certo parliamo di devastazioni, di miserie, di ferite e traumi, ma va bene, parliamone, purchè sia così, con un film, non perfetto, ma un film. begli attori italiani, tutti, anche la Mezzogiorno che, finalmente, non si sforza più di essere come era. adesso è come è e va bene così. 
si va bene così, un film di dolore sui legami con molte cose da dire.

Lacci, bel titolo.


giovedì 8 ottobre 2020

To the left of Christ

di Dario de Dominicis










 il richiamo alle foto di Salgado, stessa tecnica di forte contrasto, è immediato.

in ogni caso queste sono le foto tecnicamente più belle di tutto il festival, a mio parere di molto inferiore a quello dello scorso anno, che aveva Monika Bulaj come regina assoluta della fotocamera.

in generale i temi trattati sono interessanti, diciamo che il tema della pandemia è giustamente molto presente, ma non sono mancate inchieste fotogiornalitische di ampio respiro, su Hong Kong, sugli incendi in Australia, sull'inquinamento che ci sterminerà, sugli interventi sul territorio che spazzano via intere popolazioni, su minoranze etniche perseguitate, sulla vitiligine e le discriminazioni che porta.

le fotografie di Dario De Dominicis sono ambientate in Brasile e indagano le trasformazioni sociali ed economiche e le conseguenze sulla comunità dei pescatori di Guanabara Bay.

Nell’area già economicamente depressa della baia di Guanabara, il porto naturale di Rio de Janeiro, lo sviluppo industriale si sta accaparrando il territorio a discapito della pesca tradizionale, lasciando solo il 12% dell’intera area a 8.000 pescatori. Le limitazioni nell’uso del territorio sono dovute alle attività della Marina militare e alle rotte marittime congestionate, ma ancor di più alle restrizioni sempre maggiori imposte dalle compagnie petrolifere, che hanno colonizzato la baia in superficie con piattaforme offshore e sul fondo marino con oleodotti e gasdotti. Oltre a possibili contaminazioni da parte dell’industria petrolifera, stimate a 0,3 tonnellate di metalli pesanti come piombo, zinco e mercurio fuoriusciti ogni giorno, la baia è anche minacciata dall’inquinamento urbano. La metropoli scarica nella baia 17 tonnellate al secondo di acque reflue provenienti dagli scarichi domestici non trattati. Secondo recenti studi dell’Università Statale di Rio, l’acqua della baia presenta un’alta concentrazione di composti che alterano il sistema endocrino. I microinquinanti recentemente scoperti sembrano causare conseguenze come la diminuzione della percentuale di uova da cova di pesce e la femminilizzazione dei pesci maschi. Negli esseri umani, gli effetti dei microinquinanti aumentano il cancro al seno, ai testicoli e alla prostata. Questi attacchi all’ecosistema sono ancora più incisivi a causa della mancanza di controllo istituzionale del territorio e del business criminale dei rifiuti tossici, che è dominato da trafficanti di droga e milizie.