giovedì 28 febbraio 2019
Ho avuto l’impressione che Lei, attraverso l’intuizione (o, più precisamente, grazie ad una sottile autopercezione), sappia tutto ciò che io, con un faticoso lavoro, ho scoperto in altre persone
una scenografia più triste non si era mai vista
una regia più scarna, credo nemmeno
i vestiti di scena erano i vestiti di casa, ordinari, comuni
uno degi attori portava i sandali con le calze, alla tedesca (in pieno inverno)
si mettono e si tolgono le giacche, non so bene perchè, forse per distinguere un dentro e un fuori, oppure per separare la voce narrante dalla voce di uno dei due fratelli, Otto, stimato neurologo
l'altro è Robert, folle, paranoico
il testo è quello di Arthur Schnitzler, Fuga dalle tenebre (in scena all'Out Off)
Il 14 maggio del 1922 Sigmund Freud scrisse ad Arthur Schnitzler:
Egregio Dottore!
Ora che anche Lei è giunto al Suo sessantesimo compleanno…Voglio farLe una confessione… Mi sono tormentato, chiedendomi perché in tutti questi anni io non abbia tentato di conoscerLa e di avere un dialogo con Lei… Credo di averLa evitata per una sorta di timore del sosia. Non che io fossi incline a identificarmi con un altro e nemmeno che non volessi tener conto della differenza di talento che mi separa da Lei, ma è che, quando mi immergo nelle Sue belle opere, dietro alla loro forma poetica, ho sempre creduto di trovare gli stessi presupposti, gli stessi interessi e gli stessi risultati, che riconoscevo essere i miei.
…Ho avuto l’impressione che Lei, attraverso l’intuizione (o, più precisamente, grazie ad una sottile autopercezione), sappia tutto ciò che io, con un faticoso lavoro, ho scoperto in altre persone.
Sì, io credo che fondamentalmente Lei sia un profondo studioso della psiche, così onestamente imparziale e impavido, come nessun altro e, se Lei non fosse ciò, le Sue capacità artistiche, la Sua lingua d’arte e la Sua energia creativa avrebbero fatto di Lei un poeta, che avrebbe assecondato il piacere della massa.
certo si capivano, certo si toccavano, molto molto da vicino
nel testo in questione la voce narrante di un terzo, di un dottore di nome Leinbach diventa la voce dell'analisi, la voce della sonda, la voce della comprensione logica dei fatti psichici
la voce dello psicoanalista
il testo è bello, la messa in scena è paurosamente povera
Etichette:
Arthur Schnitzler,
Fuga dalle tenebre,
Massimo Loreto,
Paolo Bessegato,
teatro,
Teatro Out Off
domenica 24 febbraio 2019
cena in Emmaus
il primo Rembrandt
il secondo Caravaggio
alla Pinacoteca di Brera.
in entrambi i casi, estasi.
il primo mi ha colto di sorpresa, uno stupore totale mi ha catturato, non mi sarei mai aspettata un dipinto così. quei punti di luce, quella figura lontana sotto lo stesso incantesimo, un cristo che sembra un condottiero dal profilo nobilissimo in controluce, un uomo nell'ombra accasciato sulle sue gambe, un contadino inebetito totalmente illuminato. una scena misteriosa, inedita, inusuale, un colpo di fulmine. sembra una situazione ultraterrena, e Cristo è da poco risorto, a contatto con un'altra molto terrena: l'umano e il divino, incomprensibile divino, si siedono allo stesso tavolo.
di Caravaggio si è detto tutto, io non aggiungo niente, di certo quel cristo sembra il Merisi in fuga dopo il delitto, l'angoscia si coglie al primo sguardo, tutta la vita di Caravaggio è nei suoi dipinti. In realtà è proprio la mancanza di sguardo del Cristo a rendere quest'opera così solenne. Cristo non ci guarda ma noi guardiamo lui, non ci illumina dei suoi occhi ma ci inonda della sua mente, pensosa, afflitta o forse assente.
avremo mai più, al mondo, nel tempo, nell'universo, nella storia, momenti di estasi artistica così straordinari?
Etichette:
caravaggio,
Cena in Emmaus,
Pinacoteca di Brera,
Rembrandt
gli uomini, per legge di natura, generalmente si dividono in due categorie: una inferiore che è quella degli uomini ordinari, cioè, per cosí dire, materiali che serve unicamente a procreare altri individui simili, e un’altra che è quella degli uomini veri e propri, i quali, cioè, hanno il dono o il talento di dire, in seno al loro ambiente, una parola nuova
Mi limito a credere nella mia idea fondamentale; cioè appunto che gli uomini, per legge di natura, generalmente si dividono in due categorie: una inferiore che è quella degli uomini ordinari, cioè, per cosí dire, materiali che serve unicamente a procreare altri individui simili, e un’altra che è quella degli uomini veri e propri, i quali, cioè, hanno il dono o il talento di dire, in seno al loro ambiente, una parola nuova. Esistono, si capisce, infinite sfumature, ma i tratti caratteristici delle due categorie sono abbastanza netti: la prima categoria, vale a dire il ‘materiale’, è composta in linea di massima da persone per loro natura conservatrici e per bene, che vivono nell’obbedienza e amano obbedire. Secondo me, costoro hanno anche il dovere di essere obbedienti, perché questo è il loro compito e non v’è in esso assolutamente nulla di umiliante per loro. Quelli della seconda categoria, invece, violano tutti la legge, sono dei distruttori, o per lo meno sono portati ad esserlo, a seconda delle loro attitudini. I delitti di questi uomini, naturalmente, sono relativi e assai disparati: per lo piú essi chiedono, con le formule piú svariate, la distruzione del presente in nome di qualcosa di meglio. Ma se a uno di loro occorre, per realizzare la sua idea, passare anche sopra un cadavere, sopra il sangue, secondo me egli, nel suo intimo, in coscienza, può permettersi di farlo: ciò, notate bene, a seconda anche dell’idea e della sua importanza. Ed è soltanto in questo senso che nel mio articolo io parlo di un loro diritto a delinquere. (Se ben ricordate, eravamo partiti da una questione giuridica). Del resto, non è il caso di allarmarsi troppo: quasi mai la massa riconosce loro questo diritto, ma dal piú al meno li fa giustiziare e impiccare, e con ciò assolve in modo perfettamente giusto la propria missione conservatrice. Senonché, poi, nelle generazioni seguenti questa stessa massa colloca i giustiziati sul piedistallo e, dal piú al meno, si inchina davanti a loro. La prima categoria è signora del presente, la seconda dell’avvenire. I primi conservano il mondo e lo moltiplicano numericamente, i secondi fanno avanzare il mondo e lo guidano verso la meta. Sia gli uni sia gli altri hanno uguale diritto ad esistere. Per farla breve, per me tutti hanno pari diritto... e vive la guerre éternelle – fino alla Nuova Gerusalemme, s’intende!
(parla Raskòlnikov)
F. M. Dostoevskij, Delitto e castigo
di nuovo il Parenti fa bingo, bello spettacolo teatrale, con due bravi bravi attori, Sergio Rubini e Luigi Lo Cascio.
non tutto è perfetto, ci sono scelte registiche che non comprendo fino in fondo (perchè far girare Lo Cascio con il copione in mano? cosa deve farci ricordare? che si legge un romanzo e non un testo teatrale? l'effetto indesiderato è il sospetto che Lo Cascio non si ricordi le parole!!) e credo che il dilemma di Raskòlnikov che si dibatte tra l'idea di uomini superiori, superiori a tutto, anche alle leggi e alla morale, investiti della funzione di eliminare quelli ordinari in virtù del dono o il talento di dire, in seno al loro ambiente, una parola nuova non venga restituita dalla messa in scena. così come la figura di Sonja, ultima tra gli ultimi, relegata a personaggio minore ma è lei, con la spinta dell'amore, che non ci lascia come ci ha trovati, a indurre confessione e pentimento, a innescare la possibile redenzione.
ma, lo dirò, ci ho pensato poco, ci ho pensato alla fine.
mi è piaciuta molto la violenza dei suoni governata da un rumorista sulla scena (a parte il look da dj).
e, soprattutto, mi sono divertita da matti.
ho goduto enormemente della bravura dei due attori, non saprei dire chi dei due abbia apprezzato di più. uno diventa matto, dilaniato dall'angoscia, l'altro si esibisce in diversi ruoli, grazie a loro sono entrata nel flusso delle narrazione e ci sono uscita, ma neanche del tutto, al termine della rappresentazione. ho spesso sorriso della bravura, aspettavo le scene per ascoltarli recitare, o meglio, per ascoltarli narrare e farmi incantare.
Sono stato io.
sono stata io?
evviva Dostoevskij.
di nuovo il Parenti fa bingo, bello spettacolo teatrale, con due bravi bravi attori, Sergio Rubini e Luigi Lo Cascio.
non tutto è perfetto, ci sono scelte registiche che non comprendo fino in fondo (perchè far girare Lo Cascio con il copione in mano? cosa deve farci ricordare? che si legge un romanzo e non un testo teatrale? l'effetto indesiderato è il sospetto che Lo Cascio non si ricordi le parole!!) e credo che il dilemma di Raskòlnikov che si dibatte tra l'idea di uomini superiori, superiori a tutto, anche alle leggi e alla morale, investiti della funzione di eliminare quelli ordinari in virtù del dono o il talento di dire, in seno al loro ambiente, una parola nuova non venga restituita dalla messa in scena. così come la figura di Sonja, ultima tra gli ultimi, relegata a personaggio minore ma è lei, con la spinta dell'amore, che non ci lascia come ci ha trovati, a indurre confessione e pentimento, a innescare la possibile redenzione.
ma, lo dirò, ci ho pensato poco, ci ho pensato alla fine.
mi è piaciuta molto la violenza dei suoni governata da un rumorista sulla scena (a parte il look da dj).
e, soprattutto, mi sono divertita da matti.
ho goduto enormemente della bravura dei due attori, non saprei dire chi dei due abbia apprezzato di più. uno diventa matto, dilaniato dall'angoscia, l'altro si esibisce in diversi ruoli, grazie a loro sono entrata nel flusso delle narrazione e ci sono uscita, ma neanche del tutto, al termine della rappresentazione. ho spesso sorriso della bravura, aspettavo le scene per ascoltarli recitare, o meglio, per ascoltarli narrare e farmi incantare.
Sono stato io.
sono stata io?
evviva Dostoevskij.
Etichette:
Delitto e castigo,
Fëdor Dostoevskij,
Franco Parenti,
Luigi Lo Cascio.,
Sergio Rubini,
tetaro
casa (milanese) Corbellini Wasserman
sabato era aperta al pubblico, per gentile concessione del suo nuovo proprietario, architetto Massimo De Carlo, che ne ha fatto la sua sede di lavoro (mammamia) e ne farà, dal 8 marzo , o aprile?, una nuova sede espositiva.
progettata da Piero Portaluppi, questo gioiello in Viale Lombardia (via più triste e anonima non si può nemmeno immaginare) è stata costruita tra il '34 e il '36 per questa ricca famiglia di imprenditori farmaceutici, abitata per molti anni, poi sede di uffici (e ne hanno fatto sfracelli) e poi abbandonata. restaurata in modo conservativo per ben due anni ora si possono ammirare (ed eravamo veramente in molti troppi a farlo, quanti bruti si aggiravano per quel castello) i preziosi elementi architettonici ritrovati (ma non c'è più il mobilio, purtroppo): le fughe di alluminio nei pavimenti dalle grandi piastrelle in noce, i caminetti impreziositi da leghe metalliche, le pareti della sala d’ingresso decorate con una tempera che raffigura i borghi della pianura padana, i marmi verdi, rossi, la pietra e le losanghe del soffitto. sono meravigliose le enormi vetrate del salone principale che guardano verso l'esterno, la casa respira della vita in città. nel seminterrato e nelle stanze della servitù sono stati ricavati non solo gli uffici ma anche una grande biblioteca/archivio-memoria della galleria. non si possono dimenticare bagni (come nell'ancora più preziosa Villa Necchi Campiglio, gioiello inestimabile della città): il primo, affacciato sul giardino, con sanitari in marmo rosa; il secondo, più modesto, in marmo verde e bianco e ritirato in un’area più discreta nel retro della casa.
bellissima, in esterno, la scala elicoidale, anch’essa in blocchi di marmo concepita per la V Triennale del 1933 e poi rimontata qui.
bellissima, in esterno, la scala elicoidale, anch’essa in blocchi di marmo concepita per la V Triennale del 1933 e poi rimontata qui.
Etichette:
architettura,
casa Corbellini Wasserman,
Piero Portaluppi
domenica 17 febbraio 2019
venerdì 15 febbraio 2019
la monaca di Monza: E allora liberaci, Cristo! Liberaci!
prima indossa un vestito tutto nero e una veletta nera le ricopre il viso. non le si vede il volto.
poi si solleva il velo e si vede il volto incorniciato dal velo bianco delle suore.
poi, improvvisamente, con un gesto forte e netto, si toglie anche il copricapo bianco e si vedono i capelli, rossi, bellissimi, lunghi ma raccolti, i boccoli ai lati che scendono sulle spalle.
si, la monaca di Monza è una donna.
più le hanno negato il diritto di esserlo più si è ripresa quel ruolo con lucidità assassina e perversa.
siamo dalle parte di Testori, autore che mi strega, a dir poco.
siamo dalle parti del Teatro Franco Parenti.
siamo, soprattutto, dalle parti di Federica Fracassi, che devotamente ammiro.
una disperazione blasfema prende corpo, letteralmente, nelle parole potentissime di Testori.
le parole sono così forti da incatenarmi, da desiderarne di più, di nuove, di altre.
ascoltando, la mia speranza è che di parole ne escano ancora, ne sgorghino a fiumi, perché quelle che sento già non bastano più proprio perché sono così inesauribilmente cariche di forza arcana.
la parola è lussureggiante, indomita, erotica, non fa sconti, scandaglia desideri, angosce, scelte delittuose, violenze carnali, passione godimento impulso che non lasciano spazio ad alcuna pietà.
luci colori suoni mi frastornano e mi mettono a confronto con il mio cervello, cerco di capire e mi ritrovo travolta da un linguaggio così serrato e denso che non mi lascia scampo. sono forse più incatenata alle parole per il significante che non per il significato. per il segno più che per il sintomo. ma sono anche ammaliata da questa fede che fa bestemmiare, senza fede non sarebbe possibile questa tragedia, è perché c'è dio che si consuma la perversione, è perché c'è dio che c'è la corruzione, la sordidezza, lo sporco, il putridume, il marciume, è perché crede in dio che non ha salvezza, Marianna De Leyva. è per dio, è per cristo, che invoca di continuo, che sarà schiava sempre, del padre, del convento, dell'amante e delle mura in cui sarà incarcerata a vita.
mi dibatto ascoltando, mi domando se c'è scampo e invece no, la cattura e la condanna sono inevitabili, e più passa il tempo e pù sento che non ci sarà redenzione e più mi dispero, insieme a Marianna.
nei loro loculi, i personaggi, tutti già morti, si muovono e parlano: lei mossa da un’inquietudine indecifrabile fisica e spirituale, blasfema, che chiede a Dio di discolparsi per la sorte che le ha riservato; lui, Gian Paolo, complice del suo destino "Avete voi mai visto più bella cosa?" folgorato e catturato, imprigionato da lei e dall'attrazione irresistibile della profanazione della sua veste, folle e sguaiato; la novizia Caterina, che minaccia di rivelare la loro storia ma desidera condividere quella passione inconsapevole di esserne solo il bruciante acceleratore.
Guardaci. Punta i tuoi occhi su questi stracci che ti bestemmiano, su questo niente che ti reclama. Te lo chiediamo con strazio delle nostre ossa e della nostra carne: liberaci dal nostro sangue: liberaci dalla nostra morte. O distruggiti anche tu nella nostra carne, nel nostro sangue e nella nostra morte. Ci senti? E allora liberaci, Cristo! Liberaci!
giovedì 14 febbraio 2019
la forza della parola
Javier Marias la pensa come me (o io come lui?) e alla conferenza di premiazione di lunedì al Teatro Grassi per la sua Berta Isla mi da ragione (o io gli do ragione?).
l'Altro è misterioso e inconoscibile, soprattutto i nostri genitori.
«Tutti pensiamo di sapere abbastanza, ma non è così. Non sappiamo nemmeno chi erano i nostri genitori prima di essere i nostri genitori! È il destino di tutti: non conoscere bene niente, nemmeno noi stessi. E questo riguarda anche i fatti: una persona che esce dalla stanza già perde la forza del presente».
poi arriva sul palco Lorenzo Flabbi, premiato per la traduzione di Una donna di Annie Ernaux, e siamo sulla sponda opposta, quella di un romanzo che ricostruisce tracce biografiche di una madre, prima e dopo la nascita di chi la racconta.
«Tradurre — ha spiegato Flabbi,— significa non venire meno a un mandato anche etico della lingua di un romanzo».
non mi domando chi abbia ragione, chi dica il vero, certo la letteratura premia chi legge: fermarsi alla nostra sola verità, alla sola nostra vita, è sempre pericoloso.
novecento
sono tornata a vedere la mostra sulla Sarfatti, visita guidata, ma insomma, si poteva guidare meglio.
non capisco lo sforzo del giovane accompagnatore di essere politicamente corretto, non possiamo dire che la signora si è presa una grande cantonata e ha buttato a mare un gran talento di curatrice perdendosi dietro alla costruzione da condottiero romano della patria Italia del più grande delinquente della storia italiana?
no, non si può. ci dice, come fosse una gran notizia, che era stata la sua amante e che poi Mussolini le ha preferito la Petacci (ma forse la faccenda è stata un pochino più complicata). la definisce la prima biografa del duce dimenticandosi di dirci che lei gli ha curato l'immagine costruendola nei dettagli e precorrendo i tempi. già dal titolo dela sua biografia, Dux, è evidente l’originalità della concezione mussoliniana di Margherita, la quale «ha in
mente la classicità di Roma, la via Appia, le colonne istoriate con le imprese di Adriano contro i daci, le insegne scolpite nella pietra» ed è la stessa Sarfatti a far notare al lettore l’originale modo di salutare del soggetto: «dall’abitudine del Mussolini, di salutare con la mano, agitandola, credo risorgesse nella memoria, non come
arcaismo, involontariamente, il saluto romano, eseguito con la destra anziché la sinistra, militarmente, a testa alta». la nosta guida si guarda bene dal dire che la Sarfatti fu complice dell’azione rivoluzionaria di Mussolini dal socialismo al fascismo, voce narrante che ha vissuto le vicende in prima persona.
all'obiezione di un signore sulla figura di Wildt, la guida si schernisce dicendo: ognuno la pensa come vuole, risposta senza senso che tradisce la paura di schierarsi sul tema di cui si tratta, ovvero la Sarfatti e l'arte nell'Italia fascista di Mussolini.
è così terribile da dire?
ad ogni modo, ho rivisto quadri e sculture, questo mi premeva.
all'obiezione di un signore sulla figura di Wildt, la guida si schernisce dicendo: ognuno la pensa come vuole, risposta senza senso che tradisce la paura di schierarsi sul tema di cui si tratta, ovvero la Sarfatti e l'arte nell'Italia fascista di Mussolini.
è così terribile da dire?
ad ogni modo, ho rivisto quadri e sculture, questo mi premeva.
Iscriviti a:
Post (Atom)