ancora lei, ancora Annie Ernaux.
Una donna è una lettera di amore per la madre, è, di fatto, una continuazione, forse un po' più personale, del resoconto de Gli anni.
stesso stile, stessa aderenza alla storia comune, alla collettività, stesso tentativo di impartire un sentire condiviso, certamente arricchito dall'emozione del sentimento privato.
Ernaux naviga nel sentimento in un modo del tutto personale e la sua prosa (magistralmente tradotta dal suo traduttore che tutti premiano come il miglior traduttore possibile ovvero Lorenzo Flabbi) ha qualcosa di sconcertante per me.
quel che lei vede di sua madre per me è impensabile. mi domando quanto di quel che vede sia letterario e non biografico. non potrei scrivere nemmeno una riga di mia madre con l'accuratezza storica e descrittiva che lei impiega per descrivere la sua. la mia visione di mia madre è sfumata, priva di dettagli narrativi, i dettagli che ho di lei sono interiorizzati e non intellegibili ad altri, sono ancorati nel fondo e non potrei raccontarli. non so della sua infanzia e dei suoi genitori se non poche notizie, non so della sua vita prima di me se non poche notizie, so che aveva Sangioano e questo me la fa collocare in un momdo fatatao e paradisiaco inaderente alla realtà, so piccole cose della sua storia con mio padre, so pochi ricotrdi della ma infanzia e moltissimi della mia età adulta.
non so dove abbia trovata la forza narrativa che ha, la Ernaux, per me la madre è solo una forza trainante di vita, è desiderio di vita, inenerrabile.
certi pensieri che ha sulla madre
ora mi sembra di scrivere su mia madre per, a mia volta, metterla al mondo
niente del suo corpo è sfuggito al mio sguardo. credevo che crescendo sarei diventata lei
sulla strada del ritorno veniamo sorpresi da un bombardamento, io sono sulla canna della bicicletta di mio padre e lei scende lungo il pendio davanti a noi, la schiena dritta sul sellino affondato tra le natiche. ho paura delle granate e che lei muoia. credo che fossimo entrambi innamorati di mia madre
per me sono improponibili.
non potrei osare pensare questo di mia madre che è e resta un mistero, di fatto il mistero della vita.
nemmeno potrei entrare nella portata di un dolore così intenso, per me la morte di mia madre e di mio padre non sono state una tragedia, non perchè sono cattiva, perchè li ho visti e sentiti andare nel tempo, mi sono separata da loro, mi sono disancorata, so che sono la mia struttura portante, so che sono la mia forza vitale e che non avrebbero potuto fare meglio di così. come sono andati li ho lasciati andare subito, non li ho trattenuti. forse sono un mostro, ci sono persone che abitano il lutto della perdita tutta la vita. o forse i miei genitori mi hanno dato tutto quello che c'era da dare, io so che devo tutto a loro, ma non li ho scandagliati (eppure ho fatto otto anni di analisi), non li ho posseduti, non li ho derubati, non li ho nemmeno accusati.
li ho incarnati.
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