ieri in palestra, cercando ingenuamente di bonificare il mio corpo, ho sentito questa canzone di zucchero.
zucchero mi fa allegria, malinconia quando ricorda, mi piace, spesso lo ballo, ha ritmo e ironia.
forse dalle sue parti si vede ancora nera ma mi sembra una chimera. e la rima ci sta a meraviglia.
il titolo rende l'idea e consente la costruzione della canzone ma temo che in tempi di depilazione maschile e di omologazione del piacere, di visioni nere pelose non se ne parli proprio più.
capitolo chiuso.
siamo tornate tutte neonate, asettiche e profumate di mughetto contro l'evidenza di ogni possibile sudorazione, i peli disturbano e spesso infastidiscono, sono certa che molti maschi giudichino a prima vista, se sei depilata sei ok, sei una garanzia, se sei pelosa sei out. sei antica. magari nemmeno ci sai fare o lo fai ammosciare.
il pelo nero aveva la sua funzione di velo, di proibito, di configurazione iconoclastica, ora, come su tutto, il velo si alza e si marcia sicuri sull'immagine rassicurante pulita della figa rasata.
sabato 30 aprile 2011
giovedì 28 aprile 2011
fior che si disfiora
Aprile
di Vincenzo Cardarelli
Quante parole stanche
mi vengono alla mente
in questo giorno piovoso d’aprile
che l’aria è come nube che si spappola
o fior che si disfiora.
Dentro un velo di pioggia
tutto è vestito a nuovo.
L’umida e cara terra
mi punge e mi discioglie.
Se gli occhi tuoi son paludosi e neri
come l'inferno,
il mio dolore è fresco
come un ruscello.
martedì 26 aprile 2011
Il culo è la faccia dell'anima del sesso
è un'immagine
una provocazione
un'opinione
una presa di posizione
una scelta politica
una dichiarazione d'innocenza.
è Bukowski il signore che parla così.
e poi parla anora così:
ora, sono indecisa tra la genialità e l'idiozia
la sapienza e l'ignoranza
la saggezza e la follia
la parola e il suo contrario.
nella spudoratezza senza mediazione potrebbe esserci la verità, oppure la menzogna che si compiace di se stessa.
ho difficoltà a trovare piacere e bellezza nella crudezza e nella spietatezza.
ho difficoltà a reggere il cinismo.
poi magari nel letame trovi un fiore, può capitare.
allora penso che la puzza è fatta solo per nascondere il profumo, che l'immondizia ha il solo scopo di mascherare una qual forma di purezza.
ma il dubbio di non aver capito niente mi rimane.
Stirkoff
- cos'è l'orrore?
- qualcosa di diverso per ogni persona.
- ma l'orrore è parte di un tutto?
- è li.
- ma è parte di un tutto?
- non lo so so, signore.
- dimostri d'esser saggio. cos'è la sapienza?
- conoscere meno possibile.
- come si fa?
- non lo so, signore.
- sapresti costruire un ponte?
- no, signore.
- sapresti costruire un fucile?
- no, signore.
- questi oggetti sono dei prodotti della conoscenza.
- questi oggetti sono ponti e fucili.
- ti farò decapitare.
- grazie, signore.
- perché?
- lei rappresenta le mie motivazioni, mentre io ne ho molto poche.
- io sono la Giustizia.
- forse.
- io sono il Vincitore. ti farò torturare, ti farò urlare. ti farò desiderare la Morte.
- naturalmente, signore.
- ma non riesci a capire che io sono il tuo padrone?
- lei è il mio manipolatore ma non può farmi niente che non possa esser fatto.
- pensi d'essere astuto ma non dirai niente d'astuto tra un urlo e l'altro.
- ne dubito, signore.
- per inciso, come fai a reggere Vaughn Williams e Darius Milhaud? non hai sentito parlare dei Beatles?
- oh, signore, tutti conoscono i Beatles.
- non ti piacciono?
- non mi dispiacciono.
- c'è qualche cantante che non ti piace?
- è impossibile che esistano dei cantanti piacevoli.
- diciamo, allora, una qualche persona che tenti di cantare?
- Frank Sinatra.
- perché?
- perché lui evoca una società malata in groppa a una società malata.
- leggi qualche giornale?
- solo uno.
- quale?
- OPEN CITY.
- GUARDIE! CONDUCETE IMMEDIATAMENTE QUEST'UOMO NELLA CAMERE DELLA TORTURA E DATE INIZIO ALLE OPERAZIONI!
- un ultimo desiderio, signore.
- sì.
- posso portare con me il mio vaso di fiori?
- no, lo userò io!
- signore?
- volevo dire che te lo farò confiscare. guardia, conduci via quest'uomo e torna qui con, torna qui con...
- sissignore...
- una mezza dozzina d'uova e un chilo di carne trita...
escono la guardia e il prigioniero. il re si china in avanti e fa una smorfia malvagia mentre la filodiffusione comincia a trasmettere un brano di Vaughn Williams. fuori, il mondo va avanti mentre un cane mangiato dai pidocchi piscia contro uno splendido albero di limoni che vibra al sole.
una provocazione
un'opinione
una presa di posizione
una scelta politica
una dichiarazione d'innocenza.
è Bukowski il signore che parla così.
e poi parla anora così:
il sogno di un uomo
è una puttana con un dente d'oro
e il reggicalze,
profumata
con ciglia finte
rimmel
orecchini
mutandine rosa
l'alito che sa di salame
tacchi alti
calze con una piccolissima smagliatura
sul polpaccio sinistro,
un po' grassa,
un po' sbronza,
un po' sciocca e un po' matta
che non racconta barzellette sconce
e ha tre verruche sulla schiena
e finge di apprezzare la musica sinfonica
e che si ferma una settimana
solo una settimana
e lava i piatti e fa da mangiare
e scopa e fa i pompini
e lava il pavimento della cucina
e non mostra le foto dei suoi figli
né parla del marito o ex-marito
di dove è andata a scuola o di dove è nata
o perché l'ultima volta è finita in prigione
o di chi è innamorata,
si ferma solo una settimana
solo una settimana
e fa quello che deve fare
poi se ne va e non torna più indietro
a prendere l'orecchino dimenticato sul comò.
è una puttana con un dente d'oro
e il reggicalze,
profumata
con ciglia finte
rimmel
orecchini
mutandine rosa
l'alito che sa di salame
tacchi alti
calze con una piccolissima smagliatura
sul polpaccio sinistro,
un po' grassa,
un po' sbronza,
un po' sciocca e un po' matta
che non racconta barzellette sconce
e ha tre verruche sulla schiena
e finge di apprezzare la musica sinfonica
e che si ferma una settimana
solo una settimana
e lava i piatti e fa da mangiare
e scopa e fa i pompini
e lava il pavimento della cucina
e non mostra le foto dei suoi figli
né parla del marito o ex-marito
di dove è andata a scuola o di dove è nata
o perché l'ultima volta è finita in prigione
o di chi è innamorata,
si ferma solo una settimana
solo una settimana
e fa quello che deve fare
poi se ne va e non torna più indietro
a prendere l'orecchino dimenticato sul comò.
ora, sono indecisa tra la genialità e l'idiozia
la sapienza e l'ignoranza
la saggezza e la follia
la parola e il suo contrario.
nella spudoratezza senza mediazione potrebbe esserci la verità, oppure la menzogna che si compiace di se stessa.
ho difficoltà a trovare piacere e bellezza nella crudezza e nella spietatezza.
ho difficoltà a reggere il cinismo.
poi magari nel letame trovi un fiore, può capitare.
allora penso che la puzza è fatta solo per nascondere il profumo, che l'immondizia ha il solo scopo di mascherare una qual forma di purezza.
ma il dubbio di non aver capito niente mi rimane.
Stirkoff
da Taccuino di un vecchio sporcaccione di C.Bukowski
- Siediti, Stirkoff.
- grazie, signore.
- distendi pure le gambe.
- molto gentile da parte sua, signore.
- Stirkoff, mi hanno informato che hai scritto articoli sulla giustizia, sull'eguaglianza; anche sul diritto alla gioia e alla sopravvivenza. Stirkoff?
- sissignore.
- pensi che ci sarà mai una giustizia totale e ragionevole sulla terra?
- non esattamente, signore.
- ma allora perché scrivi quelle stronzate? sei forse malato?
- mi sento strano da un po' di tempo a questa parte, signore, come se stessi per impazzire.
- bevi molto, Stirkoff?
- naturalmente, signore.
- e fai cosaccine da solo?
- di continuo, signore.
- come?
- non capisco, signore.
- cioè, com'è che te le fai?
- quattro o cinque uova e mezzo chilo di carne trita in un vaso di fiori col collo stretto mentre ascolto Vaughn Williams o Darius Milhaud.
- di vetro?
- no, di dietro, signore.
- volevo dire, il vaso è di vetro?
- naturalmente no, signore.
- ti sei mai sposato?
- molte volte, signore.
- siediti, Stirkoff.
- grazie, signore.
- Cos'è che non ha funzionato?
- tutto, signore.
- qual è stato il più bel pezzo di fica che tu abbia mai avuto?
- quattro o cinque uova e mezzo chilo di carne trita in un...
- d'accordo, d'accordo!
- sissignore.
- ma capisci che il tuo desiderio di giustizia e di un mondo migliore è solo una scusa per nascondere la decadenza, la vergogna, e il fallimento che sono dentro di te?
- eggià.
- tuo padre era cattivo?
- non so, signore.
- cosa vuol dire non so?
- voglio dire che è difficile fare paragoni. vede, di padre ne ho avuto uno solo.
- stai cercando di fare il furbo con me, Stirkoff?
- oh, no, signore: come lei dice la giustizia è impossibile.
- ti picchiava tuo padre?
- facevano i turni.
- pensavo che avessi avuto un solo padre.
- come tutti, volevo dire che s'alternava con mia madre.
- ti voleva bene tua madre?
- ero solo un prolungamento della sua persona.
- che altro può essere l'amore?
- il luogo comune secondo cui si ha grande cura di una cosa molto buona. non è necessariamente legato alla consanguineità. può essere un palloncino rosso o un toast imburrato.
- vuoi dire che potresti amare un toast imburrato?
- solo pochi, signore. in certe mattine particolari. sotto certi raggi del sole. l'amore arriva e scompare senza preavviso.
- è possibile amare un essere umano?
- naturalmente, soprattutto se non lo si conosce troppo bene. mi piace guardare la gente da dietro la finestra, quando cammina per strada.
- sei un vigliacco, Stirkoff.
- naturalmente, signore.
- qual è la tua definizione di vigliacco?
- un uomo che ci penserebbe su due volte prima di lottare contro un leone solo con le mani.
- e come definiresti il coraggioso?
- un uomo che non sa cos'è un leone. ogni uomo crede di saperlo.
- e come definisci lo stupido?
- un uomo che non arriva a capire che Tempo, Struttura e Carne vengono quasi sempre sprecati.
- ma allora chi è il saggio?
- i saggi non esistono, signore.
- se è così non esistono neppure gli stupidi. senza la notte il giorno non esisterebbe; senza il bianco il nero non esisterebbe.
- mi spiace, signore. ho sempre pensato che ogni cosa fosse quel che è indipendentemente dall'esistenza di qualcos'altro.
- hai infilato il cazzo in troppi vasi di fiori. ma non riesci proprio a capire ce OGNI COSA è giusta, che niente può andar male?
- comprendo, signore, vada come vada.
- cosa diresti se ti facessi decapitare?
- non potrei dir niente signore.
- voglio dire che se ti facessi decapitare io rimarrei il Volere e tu diventeresti il Nulla.
- diventerei qualcos'altro.
- a mio PIACIMENTO.
- a nostro piacimento, signore.
- calmati! calmati! distendi le gambe!
- molto gentile da parte sua, signore.
- no, molto gentile da parte di tutti e due.
- affermi di avere spesso la sensazione d'esser pazzo. cosa fai quando hai questa sensazione?
- scrivo poesie.
- la poesia coincide con la follia?
- la non-poesia è follia.
- la follia è l'orrore?- cos'è l'orrore?
- qualcosa di diverso per ogni persona.
- ma l'orrore è parte di un tutto?
- è li.
- ma è parte di un tutto?
- non lo so so, signore.
- dimostri d'esser saggio. cos'è la sapienza?
- conoscere meno possibile.
- come si fa?
- non lo so, signore.
- sapresti costruire un ponte?
- no, signore.
- sapresti costruire un fucile?
- no, signore.
- questi oggetti sono dei prodotti della conoscenza.
- questi oggetti sono ponti e fucili.
- ti farò decapitare.
- grazie, signore.
- perché?
- lei rappresenta le mie motivazioni, mentre io ne ho molto poche.
- io sono la Giustizia.
- forse.
- io sono il Vincitore. ti farò torturare, ti farò urlare. ti farò desiderare la Morte.
- naturalmente, signore.
- ma non riesci a capire che io sono il tuo padrone?
- lei è il mio manipolatore ma non può farmi niente che non possa esser fatto.
- pensi d'essere astuto ma non dirai niente d'astuto tra un urlo e l'altro.
- ne dubito, signore.
- per inciso, come fai a reggere Vaughn Williams e Darius Milhaud? non hai sentito parlare dei Beatles?
- oh, signore, tutti conoscono i Beatles.
- non ti piacciono?
- non mi dispiacciono.
- c'è qualche cantante che non ti piace?
- è impossibile che esistano dei cantanti piacevoli.
- diciamo, allora, una qualche persona che tenti di cantare?
- Frank Sinatra.
- perché?
- perché lui evoca una società malata in groppa a una società malata.
- leggi qualche giornale?
- solo uno.
- quale?
- OPEN CITY.
- GUARDIE! CONDUCETE IMMEDIATAMENTE QUEST'UOMO NELLA CAMERE DELLA TORTURA E DATE INIZIO ALLE OPERAZIONI!
- un ultimo desiderio, signore.
- sì.
- posso portare con me il mio vaso di fiori?
- no, lo userò io!
- signore?
- volevo dire che te lo farò confiscare. guardia, conduci via quest'uomo e torna qui con, torna qui con...
- sissignore...
- una mezza dozzina d'uova e un chilo di carne trita...
escono la guardia e il prigioniero. il re si china in avanti e fa una smorfia malvagia mentre la filodiffusione comincia a trasmettere un brano di Vaughn Williams. fuori, il mondo va avanti mentre un cane mangiato dai pidocchi piscia contro uno splendido albero di limoni che vibra al sole.
martedì 19 aprile 2011
Haevnen, in un mondo migliore
haevnen, un nome che ricorda il paradiso.
in un mondo migliore i paesaggi si confondono. nel film dal kenia si passa alla danimarca e a volte il cielo fa da tramite da una zona all'altra del mondo, da tramite e continuità, il dolore si vive nelle tendopoli africane dei medici senza frontiere e nel riflesso dello specchio gelato e cristallino dei laghi danesi.
non sono sicura che in un mondo migliore certe sofferenze, quelle adolescenziali e delle morti violente, saranno debellate, forse in un mondo migliore sarà possibile insegnare ai nostri figli l'importanza della resistenza non violenta alla violenza senza avere la sensazione aberrante che stiamo comunicando la sconfitta.
nel film, questo film, un bel film, di Susanne Bier, c'è molto della violenza che scuote la mente di un adolescente che ha perso tutto, l'amore di sua madre, e non sa non riesce non può dare un senso a questa perdita così traumatica. il padre del suo amico gli spiega, con parole sante, che tra noi e la morte c'è un velo. e questo velo è necessario per sopportare la portata di non senso che la morte reca con sè. a volte, quando il trauma della perdita ci colpisce dritto in faccia, con forza inaudita, quel velo si solleva e non siamo in grado di tollerare il peso della mancanza di logica. poi, con il tempo, il velo si ricrea e noi torniamo a fare i conti con la vita, e la sua morte, in modo mediato, non diretto, in modo tollerabile. in modo compatibile con la vita.
credo che il film colga un punto nodale, colga il trauma della morte nell'adolescenza, un contatto forte e vicinissimo che a volte sfiora la voragine. sono nel buco nero il bullo che minaccia mimando la violenza adulta, la vittima del bullismo che subisce ma sa come comportarsi nel momento in cui la morte si fa molto vicina, e il giovane orfano incapace di fidarsi di un mondo adulto che finge di non vedere la morte anche quando è innegabile.
il film è schietto e meriterebbe la tragedia come finale, la meriterebbe perchè verosimile e veritiera, sfiorare l'abisso e non avere nessuno che ci strattoni prima del salto è esperienza plausibile in molti contesti.
l'adolescenza è il luogo dell'esigenza di separazione per eccellenza in cui l'aspetto cruciale è l'orientamento sull'asse del desiderio, in bilico tra eros e morte. spesso in adolescenza si riscontra il trauma, il trauma del non-senso, il trauma della morte. uno sbandamento innominabile, un cedimento senza nome e senza collocazione. il velo, necessario a creare il mistero e l'enigma, deve poter svolgere la sua funzione di mediazione, il velo mostra e cela, senza velo gli occhi si bruciano. e gli occhi di questi adolescenti sembrano ustionati, almeno fino al momento in cui di nuovo, un adulto, consentirà di celare l'inguardabile.
in un mondo migliore i paesaggi si confondono. nel film dal kenia si passa alla danimarca e a volte il cielo fa da tramite da una zona all'altra del mondo, da tramite e continuità, il dolore si vive nelle tendopoli africane dei medici senza frontiere e nel riflesso dello specchio gelato e cristallino dei laghi danesi.
non sono sicura che in un mondo migliore certe sofferenze, quelle adolescenziali e delle morti violente, saranno debellate, forse in un mondo migliore sarà possibile insegnare ai nostri figli l'importanza della resistenza non violenta alla violenza senza avere la sensazione aberrante che stiamo comunicando la sconfitta.
nel film, questo film, un bel film, di Susanne Bier, c'è molto della violenza che scuote la mente di un adolescente che ha perso tutto, l'amore di sua madre, e non sa non riesce non può dare un senso a questa perdita così traumatica. il padre del suo amico gli spiega, con parole sante, che tra noi e la morte c'è un velo. e questo velo è necessario per sopportare la portata di non senso che la morte reca con sè. a volte, quando il trauma della perdita ci colpisce dritto in faccia, con forza inaudita, quel velo si solleva e non siamo in grado di tollerare il peso della mancanza di logica. poi, con il tempo, il velo si ricrea e noi torniamo a fare i conti con la vita, e la sua morte, in modo mediato, non diretto, in modo tollerabile. in modo compatibile con la vita.
credo che il film colga un punto nodale, colga il trauma della morte nell'adolescenza, un contatto forte e vicinissimo che a volte sfiora la voragine. sono nel buco nero il bullo che minaccia mimando la violenza adulta, la vittima del bullismo che subisce ma sa come comportarsi nel momento in cui la morte si fa molto vicina, e il giovane orfano incapace di fidarsi di un mondo adulto che finge di non vedere la morte anche quando è innegabile.
il film è schietto e meriterebbe la tragedia come finale, la meriterebbe perchè verosimile e veritiera, sfiorare l'abisso e non avere nessuno che ci strattoni prima del salto è esperienza plausibile in molti contesti.
l'adolescenza è il luogo dell'esigenza di separazione per eccellenza in cui l'aspetto cruciale è l'orientamento sull'asse del desiderio, in bilico tra eros e morte. spesso in adolescenza si riscontra il trauma, il trauma del non-senso, il trauma della morte. uno sbandamento innominabile, un cedimento senza nome e senza collocazione. il velo, necessario a creare il mistero e l'enigma, deve poter svolgere la sua funzione di mediazione, il velo mostra e cela, senza velo gli occhi si bruciano. e gli occhi di questi adolescenti sembrano ustionati, almeno fino al momento in cui di nuovo, un adulto, consentirà di celare l'inguardabile.
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domenica 17 aprile 2011
poesia che mi guardi
O lasciate lasciate che io sia
una cosa di nessuno
per queste vecchie strade
in cui la sera affonda -
non esistesse l'amore non esisterebbe nemmeno il dolore.
invece il dolore esiste.
non faccio che leggerla, Antonia Pozzi.
quel che mi prende, del suo grido di dolore, è l'umiltà.
ha scattato anche foto limpidissime, non le trovo da nessuna parte, se non queste.
La vita sognata
Chi mi parla non sa
che io ho vissuto un'altra vita -
come chi dica
una fiaba
o una parabola santa.
Perchè tu eri
la purità mia,
tu cui un'onda bianca
di tristezza cadeva sul volto
se ti chiamavano con labbra impure,
tu cui lacrime dolci
correvano nel profondo degli occhi
se guardavano in alto -
e così ti parevo più bella.
O velo
tu - della mia giovinezza,
mia veste chiara,
verità svanita -
o nodo
lucente - di tutta una vita
che fu sognata - forse -
oh, per averti sognata,
mia vita cara,
benedico i giorni che restano -
il ramo morto di tutti i giorni che restano,
che servono
per piangere te.
Ritorno serale
Giungere qui - tu lo vedi -
dopo un qualunque dolore
è veramente
tornare al nido, trovare
le ginocchia materne,
appoggiarvi la fronte -
mentre le rocce, in alto,
sui grandi libri rosei del tramonto
leggono ai boschi e alle case
le parole della pace -
mentre le stanche campane discordi
interrogano il silenzio - sui misteri
della sera, dei cimiteri
dischiusi, dell’inverno
che si avvicina -
ed il silenzio allarga,
impallidendo, le braccia -
trae nel suo manto le cose
e persuade
la quiete -
una cosa di nessuno
per queste vecchie strade
in cui la sera affonda -
non esistesse l'amore non esisterebbe nemmeno il dolore.
invece il dolore esiste.
non faccio che leggerla, Antonia Pozzi.
quel che mi prende, del suo grido di dolore, è l'umiltà.
ha scattato anche foto limpidissime, non le trovo da nessuna parte, se non queste.
Portofino, 1938
La vita sognata
Chi mi parla non sa
che io ho vissuto un'altra vita -
come chi dica
una fiaba
o una parabola santa.
Perchè tu eri
la purità mia,
tu cui un'onda bianca
di tristezza cadeva sul volto
se ti chiamavano con labbra impure,
tu cui lacrime dolci
correvano nel profondo degli occhi
se guardavano in alto -
e così ti parevo più bella.
O velo
tu - della mia giovinezza,
mia veste chiara,
verità svanita -
o nodo
lucente - di tutta una vita
che fu sognata - forse -
oh, per averti sognata,
mia vita cara,
benedico i giorni che restano -
il ramo morto di tutti i giorni che restano,
che servono
per piangere te.
Angelus della sera, Pasturo, estate 1938
Ritorno serale
Giungere qui - tu lo vedi -
dopo un qualunque dolore
è veramente
tornare al nido, trovare
le ginocchia materne,
appoggiarvi la fronte -
mentre le rocce, in alto,
sui grandi libri rosei del tramonto
leggono ai boschi e alle case
le parole della pace -
mentre le stanche campane discordi
interrogano il silenzio - sui misteri
della sera, dei cimiteri
dischiusi, dell’inverno
che si avvicina -
ed il silenzio allarga,
impallidendo, le braccia -
trae nel suo manto le cose
e persuade
la quiete -
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sabato 16 aprile 2011
filastrocca di primavera/ come tarda a venire la sera...
con l'aria ancora frizzantina
è cosi che di sabato mattina
mi si presenta una sorpresina
con faccia molto biricchina:
ma di Rodari una filastrocca
vale almeno un bacio in bocca!
IL VENTO
Il vento è un viaggiatore:
viaggia e viaggia
dal monte alla spiaggia
e mai non sa trovare
un posto per riposare.
Il vento è un pastorello,
le sue pecore e il suo agnello
sono le foglie morte.
Il vento è un musicista:
il suo pianoforte
è il bosco intero,
con la betulla bianca
e il pino nero.
Suona, suona e non si stanca...
Suona una musica senza parole,
ma - chi la sa capire -
la sua canzone vuol dire:
”Fuori le nuvole! Fuori il sole!”
gelataio, cambia il carretto!
Metti da parte i rosei coni,
la crema, la fragola, i lamponi.
Viene l'autunno dalla montagna
ed ha già odore di castagna.
Fatti dunque caldarrostaio,
cambia il carretto, o gelataio.
Ad ogni stagione tu cambi il pelo
e cambi colore come fa il cielo.
è cosi che di sabato mattina
mi si presenta una sorpresina
con faccia molto biricchina:
ma di Rodari una filastrocca
vale almeno un bacio in bocca!
Il vento è un viaggiatore:
viaggia e viaggia
dal monte alla spiaggia
e mai non sa trovare
un posto per riposare.
Il vento è un pastorello,
le sue pecore e il suo agnello
sono le foglie morte.
Il vento è un musicista:
il suo pianoforte
è il bosco intero,
con la betulla bianca
e il pino nero.
Suona, suona e non si stanca...
Suona una musica senza parole,
ma - chi la sa capire -
la sua canzone vuol dire:
”Fuori le nuvole! Fuori il sole!”
IL GELATAIO CAMBIA COLORE
Viene dai monti un vento fraschetto:gelataio, cambia il carretto!
Metti da parte i rosei coni,
la crema, la fragola, i lamponi.
Viene l'autunno dalla montagna
ed ha già odore di castagna.
Fatti dunque caldarrostaio,
cambia il carretto, o gelataio.
Ad ogni stagione tu cambi il pelo
e cambi colore come fa il cielo.
domenica 10 aprile 2011
big cities and mental health
intanto a milano c'è un luogo che si chiama la casa dell'energia.
scopro che nasce da un’idea AEM, la società energetica milanese, che ha fondato questo centro permanente di comunicazione dedicato all’energia.
direi che il nome porta in sè una promessa di vita, di vitalità.
struttura moderna, molto attrezzata, avveniristica, oggi sede di un piccolo convegno milanese di psichiatria: big cities and mental health.
un convegno che ha, in verita', poco da dire, e, se dice, dice in linea di massima cose scontate, se dice fa elenchi di strutture e prestazioni sanitarie.
se dice qualcosa lo fa per bocca di uno psichiatra indiano, Dinesh Bughra, che almeno, oltre agli elenchi, dice, e dice citando Marmot: "Lungo il percorso della metropolitana che attraversa Washington, dai quartieri poveri e neri a sud-est della città fino alla ricca e bianca contea di Montgomery, si guadagna un anno e mezzo di vita ogni miglio percorso; per un totale, ai due estremi della linea, di vent'anni di differenza nella speranza di vita. In altre parole, secondo il quartiere in cui si vive e le risorse economiche e culturali di cui si dispone, l'arco dell'esistenza nella capitale degli Stati Uniti varia da 53-58 anni a 73-78"(M. Marmot Status Syndrome, JAMA 2006)
se dice lo fa per bocca dei sociologi, soprattutto Alfredo Alietti, che presenta scenari urbani con spirito osservativo, narrando la nostra società senza qualità -parafrasando Musil- e l'intermittenza della cittadinanza sociale.
un convegno allietato dall'improvvisa comparsa della Moratti, ...bravi bravi complimenti a voi che parlate di depressione nelle grandi citta' (non si parla affatto di depressione) io me ne sono occupata con i CUSTODI DI QUARTIERE... Splendida, entra scortata da 10 burattini in divisa, fa la sua propaganda interrompendo la presentazione del mio esimio primario e se ne va, lasciando la scia del suo profumo. splendore dell'aura pre elettorale.
ma chissenefrega, alcune considerazioni le penso e le dico io, ho visto e sentito angolature curiose altrimenti a me sconosciute e mi sono portata a casa il mio piccolo bottino, egualmente.
lo spazio dell'energia si avvale di sale espositive, appena rinnovate di un look moderno all'avanguardia, e, per l'accasione, espone quadri di un signor pittore di nome Carlo Cane, che scopro, nell'indifferenza totale dei miei colleghi, durante il coffee break, pausa caffe' per gli italiani, assaggiando pain au chocolat (pane al cioccolato o giu' di li') caldi, fumanti, irresistibili.
ecco , Carlo Cane rappresenta le Big Cities, ecco l'attinenza al tema del convegno, e lo fa in un modo che mi ha colpito da subito.
guardate.
le trovo fantastiche e fantasmatiche, queste città, un po' Blade Runner, un po' Matrix, un po' Brazil, come delle Metropolis alla Friz Lang dei nostri tempi. insomma mi piacciono un mondo.
mentre ascolto mi colpisce, nel marasma degli elenchi, la ricorrenza delle parole attinenti alle problematicità (eccone una!) dell'urbanità patologica.
urbanizzazione
ruralizzazione
settorializzazione
specializzazione
posizionamento
segregazione
separazione
aggregazione
isolamento
disintegrazione
contestualizzazione
migrazione
istituzione
acculturamento
selezione
inquinamento
soffocamento
deprivazione
accessibilità
multiculturalismo
traduzione
interpretazione
frammentazione
marginalità
criticità
problematicità
disabilità
precarietà
ogni professione parla il suo linguaggio, e questo in fondo non è poi univocamente psichiatrico, è certamente orientato all'"urbanesimo" dei giorni nostri.
il linguaggio sociologico mi ha certamente conquistata di più, con le sue riflessioni sulla società senza benessere sociale, sull'individualismo, elemento fondante della società occidentale, che, alla sua esasperazione attuale, ha condotto all'eclissi del sociale. la solidarietà è scomparsa, l'unico elemento di condivisione tra individui è il consumismo, peraltro orientato solo in senso performante, coltivato nei centri commerciali. la cultura terapeutica, che fa uso sfrenato di manuali per ogni cosa e delega all'esperto ogni decisione, ha sostituito la cultura dei rapporti sociali. Il counselling spinto, osceno, ha sostituito la comunicazione tra soggetti ed è un indicatore inequivocabile dell'individuo "insufficiente", ovvero un individiuo che fonda il suo vivere sulla presunta libertà individuale svincolata da ogni legame con l'altro, relegata alla scrittura della propria biografia, solamente.
le città diventano arcipelaghi, strutture a mosaico. dopo aver rinunciato al welfare state, ai principi universalistici, alla rappresentanze sociali, la città si ritira nel privato: i super ricchi si barricano in comunità chiuse, fortificate autosufficienti e sorvegliate, i super poveri si autosegregano in quartieri fantasma con elevatissima concentrazione di disagio sociale.
gli uomini soffrono, le città anche.
L'homo sapiens è un cacciatore-assassino i cui appetiti depravati, che un tempo gli consentivano di sopravvivere, sono stati corretti. E' stato parzialmente riabilitato in una prigione aperta, le prime società agricole, e adesso si ritrova in libertà vigilata nei sobborghi perbene della città-stato.
Gli impulsi devianti codificati nel suo sistema nervoso centrale sono stati spenti. Non è più in grado di fare del male, nè a se stesso nè a chiunque altro. Ma la natura, in modo molto sensato, lo ha dotato del gusto della crudeltà e di un'intensa curiosità per il dolore e la morte. Senza di loro, è intrappolato in un eterno pomeriggio nei centri commerciali dell'infinita mediocrità. Noi abbiamo il compito di resuscitarlo, di restituirgli il suo occhio assassino e i suoi sogni di morte. Insieme gli hanno permesso di dominare questo pianeta.
(JG Ballard: Super-Cannes)
scopro che nasce da un’idea AEM, la società energetica milanese, che ha fondato questo centro permanente di comunicazione dedicato all’energia.
direi che il nome porta in sè una promessa di vita, di vitalità.
struttura moderna, molto attrezzata, avveniristica, oggi sede di un piccolo convegno milanese di psichiatria: big cities and mental health.
un convegno che ha, in verita', poco da dire, e, se dice, dice in linea di massima cose scontate, se dice fa elenchi di strutture e prestazioni sanitarie.
se dice qualcosa lo fa per bocca di uno psichiatra indiano, Dinesh Bughra, che almeno, oltre agli elenchi, dice, e dice citando Marmot: "Lungo il percorso della metropolitana che attraversa Washington, dai quartieri poveri e neri a sud-est della città fino alla ricca e bianca contea di Montgomery, si guadagna un anno e mezzo di vita ogni miglio percorso; per un totale, ai due estremi della linea, di vent'anni di differenza nella speranza di vita. In altre parole, secondo il quartiere in cui si vive e le risorse economiche e culturali di cui si dispone, l'arco dell'esistenza nella capitale degli Stati Uniti varia da 53-58 anni a 73-78"(M. Marmot Status Syndrome, JAMA 2006)
se dice lo fa per bocca dei sociologi, soprattutto Alfredo Alietti, che presenta scenari urbani con spirito osservativo, narrando la nostra società senza qualità -parafrasando Musil- e l'intermittenza della cittadinanza sociale.
un convegno allietato dall'improvvisa comparsa della Moratti, ...bravi bravi complimenti a voi che parlate di depressione nelle grandi citta' (non si parla affatto di depressione) io me ne sono occupata con i CUSTODI DI QUARTIERE... Splendida, entra scortata da 10 burattini in divisa, fa la sua propaganda interrompendo la presentazione del mio esimio primario e se ne va, lasciando la scia del suo profumo. splendore dell'aura pre elettorale.
ma chissenefrega, alcune considerazioni le penso e le dico io, ho visto e sentito angolature curiose altrimenti a me sconosciute e mi sono portata a casa il mio piccolo bottino, egualmente.
lo spazio dell'energia si avvale di sale espositive, appena rinnovate di un look moderno all'avanguardia, e, per l'accasione, espone quadri di un signor pittore di nome Carlo Cane, che scopro, nell'indifferenza totale dei miei colleghi, durante il coffee break, pausa caffe' per gli italiani, assaggiando pain au chocolat (pane al cioccolato o giu' di li') caldi, fumanti, irresistibili.
ecco , Carlo Cane rappresenta le Big Cities, ecco l'attinenza al tema del convegno, e lo fa in un modo che mi ha colpito da subito.
guardate.
le trovo fantastiche e fantasmatiche, queste città, un po' Blade Runner, un po' Matrix, un po' Brazil, come delle Metropolis alla Friz Lang dei nostri tempi. insomma mi piacciono un mondo.
mentre ascolto mi colpisce, nel marasma degli elenchi, la ricorrenza delle parole attinenti alle problematicità (eccone una!) dell'urbanità patologica.
urbanizzazione
ruralizzazione
settorializzazione
specializzazione
posizionamento
segregazione
separazione
aggregazione
isolamento
disintegrazione
contestualizzazione
migrazione
istituzione
acculturamento
selezione
inquinamento
soffocamento
deprivazione
accessibilità
multiculturalismo
traduzione
interpretazione
frammentazione
marginalità
criticità
problematicità
disabilità
precarietà
ogni professione parla il suo linguaggio, e questo in fondo non è poi univocamente psichiatrico, è certamente orientato all'"urbanesimo" dei giorni nostri.
il linguaggio sociologico mi ha certamente conquistata di più, con le sue riflessioni sulla società senza benessere sociale, sull'individualismo, elemento fondante della società occidentale, che, alla sua esasperazione attuale, ha condotto all'eclissi del sociale. la solidarietà è scomparsa, l'unico elemento di condivisione tra individui è il consumismo, peraltro orientato solo in senso performante, coltivato nei centri commerciali. la cultura terapeutica, che fa uso sfrenato di manuali per ogni cosa e delega all'esperto ogni decisione, ha sostituito la cultura dei rapporti sociali. Il counselling spinto, osceno, ha sostituito la comunicazione tra soggetti ed è un indicatore inequivocabile dell'individuo "insufficiente", ovvero un individiuo che fonda il suo vivere sulla presunta libertà individuale svincolata da ogni legame con l'altro, relegata alla scrittura della propria biografia, solamente.
le città diventano arcipelaghi, strutture a mosaico. dopo aver rinunciato al welfare state, ai principi universalistici, alla rappresentanze sociali, la città si ritira nel privato: i super ricchi si barricano in comunità chiuse, fortificate autosufficienti e sorvegliate, i super poveri si autosegregano in quartieri fantasma con elevatissima concentrazione di disagio sociale.
gli uomini soffrono, le città anche.
L'homo sapiens è un cacciatore-assassino i cui appetiti depravati, che un tempo gli consentivano di sopravvivere, sono stati corretti. E' stato parzialmente riabilitato in una prigione aperta, le prime società agricole, e adesso si ritrova in libertà vigilata nei sobborghi perbene della città-stato.
Gli impulsi devianti codificati nel suo sistema nervoso centrale sono stati spenti. Non è più in grado di fare del male, nè a se stesso nè a chiunque altro. Ma la natura, in modo molto sensato, lo ha dotato del gusto della crudeltà e di un'intensa curiosità per il dolore e la morte. Senza di loro, è intrappolato in un eterno pomeriggio nei centri commerciali dell'infinita mediocrità. Noi abbiamo il compito di resuscitarlo, di restituirgli il suo occhio assassino e i suoi sogni di morte. Insieme gli hanno permesso di dominare questo pianeta.
(JG Ballard: Super-Cannes)
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domenica 3 aprile 2011
taccuino di una vecchia psichiatra
il fiore nel deserto (http://nuovateoria.blogspot.com/2011/02/sto-morendo-sulla-grandiosita-di-un.html) mi ha raccontato della fine di una relazione.
una persona che non le piaceva poi molto, aspettava solo l'occasione per troncare. l'occasione è arrivata ma l'interruzione l'ha affondata con malcelata cattiveria e anche un po' di goduta ridicolizzazione dello sventurato.
un po' di egoismo, mi dice lei.
un po' di sfrontatezza dettata dalla vicinanza della morte, penso io.
a fronte dell'ennesino episodio di scontro con i suoi medici curanti mi spiega, e sono d'accordo con lei, che un medico non deve voler bene. e questa è una perla di di saggezza dettata dalla mente di qualcuno che i medici ormai li conosce molto bene.
a quanti pazienti si dovrebbe spiegare che un medico deve essere comprensivo, non coinvolto, attento, ma non affettuoso. è una regola fondamentale per fare ed esigere un buon lavoro da un medico. la sua oncologa, dice, l'ascolta ma la capisce solo fino a un certo punto, perchè...le vuole bene. avverte il suo coinvolgimento emotivo e ne è molto disturbata, moltissimo: "non è lucida, non sa scegliere il meglio per me, sceglie in base al cuore e all'emozione, è non è questo ciò di cui ho bisogno."
lunedì è morta una mia paziente. bipolare, l'ho vista per almeno nove anni almeno ogni tre mesi. anche nel suo caso una recidiva di tumore alla mammella le è stato fatale. l'ultima volta che l'ho vista ho capito che era l'ultima, non perchè sono intelligente, solo perchè la morte le albergava dentro, nel respiro, nello sguardo, nei gesti, nella disperazione lucida, anche se a parole parlava del suo canone d'affitto a partire dal 2012. le parole dicono una cosa, l'alone e lo spirito affermano il contrario, senza speranza, senza inganno.
mi hanno telefonato: L. le voleva bene, volevamo avvisarla.
e ho pensato...anche io. le volevo bene.
e allora? allora non l'ho mai pensato fino a quel momento, me lo sono concesso solo nel momento della sua morte. il mio bene non si è tradotto in un accudimento amorevole fraterno, piuttosto, credo, in un atteggiamento terapeutico. prendeva gli stabilizzatori dell'umore ma, francamente lo penso, il suo stabilizzatore ero io. almeno spero di avere agito così, ad ogni modo ci ho pensato, ho collegato la considerazione di una con la dichiarazione dell'altra.
ora mi chiedo se nel mio voler bene alle persone che amo c'e', viceversa, un che di terapeutico. se nel mio voler bene c'è una tendenza alla cura, alla presa in carico che alla fine fa male ai rapporti.
i pazienti ci disvelano i loro fantasmi e noi portiamo loro i nostri.
charles bukowski:
"...sono un freak. il corpo umano non lo reggo, ho bisogno di farmi ingannare. gli psichiatri hanno un termine specifico per questo, e io ho un termine specifico per gli psichiatri."
( taccuino di un vecchio sporcaccione)
sembra a volte ubriaco, bukowski, ma non è così. è costantemente fuori di testa quindi, di psichiatri, ci capisce.
una persona che non le piaceva poi molto, aspettava solo l'occasione per troncare. l'occasione è arrivata ma l'interruzione l'ha affondata con malcelata cattiveria e anche un po' di goduta ridicolizzazione dello sventurato.
un po' di egoismo, mi dice lei.
un po' di sfrontatezza dettata dalla vicinanza della morte, penso io.
a fronte dell'ennesino episodio di scontro con i suoi medici curanti mi spiega, e sono d'accordo con lei, che un medico non deve voler bene. e questa è una perla di di saggezza dettata dalla mente di qualcuno che i medici ormai li conosce molto bene.
a quanti pazienti si dovrebbe spiegare che un medico deve essere comprensivo, non coinvolto, attento, ma non affettuoso. è una regola fondamentale per fare ed esigere un buon lavoro da un medico. la sua oncologa, dice, l'ascolta ma la capisce solo fino a un certo punto, perchè...le vuole bene. avverte il suo coinvolgimento emotivo e ne è molto disturbata, moltissimo: "non è lucida, non sa scegliere il meglio per me, sceglie in base al cuore e all'emozione, è non è questo ciò di cui ho bisogno."
lunedì è morta una mia paziente. bipolare, l'ho vista per almeno nove anni almeno ogni tre mesi. anche nel suo caso una recidiva di tumore alla mammella le è stato fatale. l'ultima volta che l'ho vista ho capito che era l'ultima, non perchè sono intelligente, solo perchè la morte le albergava dentro, nel respiro, nello sguardo, nei gesti, nella disperazione lucida, anche se a parole parlava del suo canone d'affitto a partire dal 2012. le parole dicono una cosa, l'alone e lo spirito affermano il contrario, senza speranza, senza inganno.
mi hanno telefonato: L. le voleva bene, volevamo avvisarla.
e ho pensato...anche io. le volevo bene.
e allora? allora non l'ho mai pensato fino a quel momento, me lo sono concesso solo nel momento della sua morte. il mio bene non si è tradotto in un accudimento amorevole fraterno, piuttosto, credo, in un atteggiamento terapeutico. prendeva gli stabilizzatori dell'umore ma, francamente lo penso, il suo stabilizzatore ero io. almeno spero di avere agito così, ad ogni modo ci ho pensato, ho collegato la considerazione di una con la dichiarazione dell'altra.
ora mi chiedo se nel mio voler bene alle persone che amo c'e', viceversa, un che di terapeutico. se nel mio voler bene c'è una tendenza alla cura, alla presa in carico che alla fine fa male ai rapporti.
i pazienti ci disvelano i loro fantasmi e noi portiamo loro i nostri.
charles bukowski:
"...sono un freak. il corpo umano non lo reggo, ho bisogno di farmi ingannare. gli psichiatri hanno un termine specifico per questo, e io ho un termine specifico per gli psichiatri."
( taccuino di un vecchio sporcaccione)
sembra a volte ubriaco, bukowski, ma non è così. è costantemente fuori di testa quindi, di psichiatri, ci capisce.
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