sono stata bene, benissimo.
ho goduto di buona salute, il mio corpo è tornato silente.
a breve, da lunedì scorso, il corpo di nuovo parla, la schiena grida, lo stomaco brucia, il risveglio si affretta, prima del tempo.
io sono stata bene, sulla mia nave.
io non ho più sentito il bisogno.
questa è la differenza.
il bisogno si è annullato, tacitato, perchè è scomparso.
non ho avuto bisogno di nulla, e la mia vita si è pacificata.
né di oggetti, né di affetti, né di pieno.
son rimasta nel vuoto, senza riempirlo troppo
e non ho sentito il bisogno degli altri su di me.
la pressione della voce richiedente dell'altro si è smorzata, non è scomparsa, ho lavorato, ma si è rarefatta.
e io ho respirato, facendo yoga, anche, ho respirato.
ascoltavo una bella lezione di Marcello Ghilardi, filosofo, insegnante di estetica, esperto di oriente, alla rinata casa degli artisti.
fare vuoto.
si, fare vuoto.
perchè nella cultura cinese non appare l'angoscia o il dolore per il vuoto.
appare per il troppo pieno.
nella tradizione occidentale il termine "vuoto" ha in genere indicato qualcosa di non esistente, o ciò che - contrapponendosi al pieno - è inerte, privo di efficacia. in Cina e in Giappone invece le tradizioni taoista e buddhista hanno conferito al vuoto (wu in cinese, mu in giapponese) un valore positivo e attivo, come matrice di ogni compossibilità, luogo di relazione e di generazione.
il mio vuoto è stato assenza di bisogno e ho navigato bene in questo mare.
ecco, ora è già finito e io sento forte la nostalgia.
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