bianco e nero

come una foto. in bianco e nero. nessuna concessione al colore, alla spettacolarita', ai nuovi barbari. bianco e nero colori vividi dell'essenziale, solo l'autenticita' della forma. della sostanza. l'occhio vede e non si inganna.
"questo e' il mio segreto.
veramente semplice.
si vede bene solo con il cuore.
L'essenziale e' invisibile agli occhi."
Il piccolo principe. A.d.S-E.

venerdì 29 maggio 2020

il cielo estivo, le strade che scolorivano sotto le tinte della polvere e della noia, avevano il medesimo significato minaccioso del centinaio di morti di cui ogni giorno si appesantiva la città

Cominciarono i calori, si era ormai alla fine del mese di giugno. Il giorno dopo le piogge tardive che avevano contraddistinto la domenica della predica, l’estate scoppiò di colpo nel cielo e al di sopra delle case. Un gran vento si levò e soffiò torrido per un giorno, asciugando i muri. Dal sole immoto, flutti ininterrotti di caldo e di luce inondarono la città per tutta la giornata. All’infuori delle strade ad archi e degli appartamenti, sembrava che non ci fosse un solo punto della città sottratto al più accecante riverbero. Il sole perseguitava i nostri concittadini in tutti gli angoli di strada, e se si fermavano, allora li colpiva. Siccome questi primi calori coincisero con un vertiginoso aumento del numero delle vittime, che si contarono a quasi settecento per settimana, una sorta d’abbattimento s’impadronì della città. Nei sobborghi, tra le vie piatte e le case con terrazza, l’animazione calò, e nel quartiere in cui la gente viveva sempre sull’uscio, tutte le porte erano chiuse e le persiane serrate, senza che si potesse sapere se in tal modo ci si voleva proteggere dalla peste o dal sole. Da alcune case, tuttavia, uscivano dei gemiti. Prima, quando accadeva questo, si vedevano sovente dei curiosi in ascolto nella strada; ma dopo quei lunghi allarmi sembrava che il cuore di ciascuno si fosse indurito e tutti camminavano o vivevano accanto ai lamenti come se fossero stati il naturale linguaggio degli uomini.  
I tumulti alle porte, durante i quali i gendarmi avevano dovuto far uso delle armi, crearono una sorda agitazione. C’erano stati certamente dei feriti, ma si parlava di morti in città, e tutto si esagerava a causa del caldo e della peste. È vero, in ogni caso, che il malcontento non cessava di crescere, che le nostre autorità avevano temuto il peggio e prospettato seriamente le misure da prendere nel caso che la popolazione, tenuta sotto il flagello, fosse giunta alla rivolta. I giornali pubblicarono decreti che rinnovarono il divieto di uscire e minacciavano di prigione i contravventori. Le pattuglie percorsero la città; sovente, nelle vie deserte e surriscaldate si vedevano venire, preannunciate dal rumore degli zoccoli sul selciato, le guardie a cavallo, che passavano tra due file di finestre chiuse. Di tanto in tanto echeggiavano le fucilate di squadre speciali incaricate, con recente ordinanza, di uccidere i cani e i gatti che avrebbero potuto trasmettere le pulci. Le secche detonazioni contribuivano a mettere nella città un’aria d’allarme. 
Nel caldo e nel silenzio, e per il cuore atterrito dei nostri concittadini, tutto assumeva, d’altronde, una maggiore importanza. I colori del cielo e gli odori della terra, determinati dal passaggio delle stagioni, erano per la prima volta sensibili a tutti. Ciascuno capiva con spavento che i calori avrebbero favorito il contagio e, nello stesso tempo, ciascuno vedeva che l’estate si stabiliva. Il grido dei rondoni diventava più flebile sopra la città; non era più commisurato a quei crepuscoli di giugno che allontanano l’orizzonte nel nostro paese. I fiori sui mercati non arrivavano più in boccio, erano ormai aperti, e dopo la vendita della mattina i loro petali coprivano qua e là i marciapiedi polverosi. Si vedeva chiaramente che la primavera si era estenuata, prodigata nelle migliaia di fiori sbocciati tutto all’intorno e che stava adesso per assopirsi, schiacciata lentamente sotto il duplice peso della peste e del caldo. Per tutti i nostri concittadini, il cielo estivo, le strade che scolorivano sotto le tinte della polvere e della noia, avevano il medesimo significato minaccioso del centinaio di morti di cui ogni giorno si appesantiva la città. Il sole incessante, le ore dedicate al sonno e alle vacanze, non invitavano più come prima alle feste dell’acqua e della carne; suonavano vuote, invece, nella città chiusa e silenziosa; avevano perduto il metallico splendore delle stagioni felici. Il sole della peste stingeva tutti i colori e fugava ogni gioia.

Albert Camus
La peste

giovedì 28 maggio 2020

l'ultimo giorno

ma si, certo, l'ultimo giorno di scuola, in quinta elementare, o in terza media, a maggior ragione nell'ultimo anno di scuola superiore, è un giorno da ricordare.
sebbene io non lo ricordi affatto.
ricordo la maturità, certo, è stampata nella memoria, e nell'inconscio, mi viene spesso a trovare di notte.
motivo per cui è irrinunciabile, la maturità.
e se qualcuno l'ha cancellata, Gran Bretagna e Olanda, avrà avuto, immagino, i suoi seri motivi.
ma leggo questi accorati appelli di editorialisti del Corriere, Paolo di Stefano e Massimo Gramellini, che proprio non ce la fanno, a rinunciare a questo giorno, e si rivolgono alle autorità, rievocando traumi dell'infanzia o toni sarcastici, per permettere il compiersi di questo fatidico ultimo giorno, nei parchi, quindi non a scuola, nei cortili, ovunque, basta che si faccia.
anche qui, mi dico, avranno i loro reconditi personali motivi, probabilmente anche semplicemente quello di avere un figlio in età scolare, per pensare che, in fondo, se si consente un happy hour si potrà ben fare un Ultimo Giorno.
ma quel che colpisce me, per come sono abituata ormai a ragionare sulle cose del mondo, quel che mi colpisce, e mi preoccupa, è questa impossibilità del mondo adulto di poter anche solo accettare per un attimo la frustrazione nel mondo infantile, o adolescenziale.
i nostri figli non possono soffrire.
non possono.
il rischio, della sofferenza e frustrazione, è di traumi irrisolvibili nell'età adulta, dicono.
se togliamo l'ultimo giorno di scuola come mai ne verranno fuori?
come faranno senza quella gioia?
come possiamo infliggere loro una rinuncia?
e che rinuncia!!
amici, abbracci, gavettoni, urla, saluti, allegria.
posso io adulto, sebbene cosciente più di loro dei rischi attuali, farmi carico di dire NO, non si fa, non si può, dovrai tollerare questa profondissima perdita?
no, oggi gli adulti non possono, padri madri si affannano nel fornire esistenze sempre felici mai macchiate dall'infamia della rinuncia, della frustrazione, della perdita, dell'insuccesso, del fallimento.
i nostri figli devono sempre essere felici.
altrimenti, io, "adulto", ne muoio.
perché mai farmi carico -se poi è necessario farlo e non credo- della loro infelicità mi è letteralmente impossibile.
da dove cominciare?

niente di nuovo

i fiori più fotografati in città
ma speciali per me
come per ognuno che li ha
trovati
o
ritrovati
in questa splendente crudele primavera
in cui
il bosco è verticale
ma
il prato ancora sorprendentemente orizzontale
c'è speranza allora

lunedì 25 maggio 2020

fare vuoto

credo di aver capito cosa mi ha reso felice.
sono stata bene, benissimo.
ho goduto di buona salute, il mio corpo è tornato silente.
a breve, da lunedì scorso, il corpo di nuovo parla, la schiena grida, lo stomaco brucia, il risveglio si affretta, prima del tempo.
io sono stata bene, sulla mia nave.
io non ho più sentito il bisogno.
questa è la differenza.
il bisogno si è annullato, tacitato, perchè è scomparso.
non ho avuto bisogno di nulla, e la mia vita si è pacificata.
né di oggetti, né di affetti, né di pieno.
son rimasta nel vuoto, senza riempirlo troppo
e non ho sentito il bisogno degli altri su di me.
la pressione della voce richiedente dell'altro si è smorzata, non è scomparsa, ho lavorato, ma si è rarefatta.
e io ho respirato, facendo yoga, anche, ho respirato.
ascoltavo una bella lezione di Marcello Ghilardi, filosofo, insegnante di estetica, esperto di oriente, alla rinata casa degli artisti.
fare vuoto.
si, fare vuoto.
perchè nella cultura cinese non appare l'angoscia o il dolore per il vuoto.
appare per il troppo pieno.
nella tradizione occidentale il termine "vuoto" ha in genere indicato qualcosa di non esistente, o ciò che - contrapponendosi al pieno - è inerte, privo di efficacia. in Cina e in Giappone invece le tradizioni taoista e buddhista hanno conferito al vuoto (wu in cinese, mu in giapponese) un valore positivo e attivo, come matrice di ogni compossibilità, luogo di relazione e di generazione.
il mio vuoto è stato assenza di bisogno e ho navigato bene in questo mare.
ecco, ora è già finito e io sento forte la nostalgia.

parco agricolo sud



un vero atto di libertà
in bici
tra i campi
una attimo prima è città, quello dopo è campagna
aria sulla faccia (senza mascherina)
luce
ancora aria
polmoni
respiro
gambe
movimento
uccelli pesci
grano in crescita
risaie
rogge campi cascine
suoni della natura
silenzio
bellissimo
dalla Barona, Cascina Bazzana fino ad Assago e ritorno.









venerdì 22 maggio 2020

tu che sei in viaggio, non hai una strada, ma solo scie nel mare

Tu che sei in viaggio,
sono le tue orme
la strada, nient’altro;
tu che sei in viaggio,
non sei su una strada,
la strada la fai tu andando.
Mentre vai si fa la strada
e girandoti indietro
vedrai il sentiero che mai
più calpesterai.
Tu che sei in viaggio,
non hai una strada,
ma solo scie nel mare.


Antonio Machado

giovedì 21 maggio 2020

i miserabili

di Ladj Ly

intanto ho pagato il biglietto.
ed è stato un piacere.
seppure l'abbia visto, come tutto, da casa.
e poi l'ho trovato potente.
accomuna la povertà che si associa al potere, al potere di esercitare impunemente un sopruso, alla povertà che si associa alla miseria, sociale e culturale, alla miseria delle periferie di tutto il mondo senza speranze, senza riscatto, senza storia.
narrazione di violenza, nelle sue declinazioni, emessa dallo stato, nella forma della polizia e nella forma della mancanza di politiche sociali.
storia di traumi
di abbandoni
di inguaribili ferite
crudeltà esercitata in tutte le direzioni, in una circolazione in cui non si distingue più chi la esercita e chi la subisce, perché è un esercizio con un ritorno senza fine, che non si arresta mai, che si nutre di se stesso, dell'ignoranza che la genera.
i poliziotti sono miserabili quanto le loro vittime e sono vittime a loro volta.
per chi ha lo spirito e l'acume di saper vedere può essere anche peggio perché la domanda è senza risposta, la strada senza uscita, come nella scena finale.
immagine di una condanna, con il corpo di un bambino, con in mano la bomba atomica di Hiroshima.

il posto delle fragole

no, non mi avventuro nel film di Bergman.
ma le fragole della Svezia di Bergman rappresentano la primavera, l'innocenza della prima età.
avranno avuto delle infanzie felici i nostri adolescenti?
troppo felici?
me lo domando.
queste case accoglienti con madri, e ormai purtroppo anche padri, accudenti e protettive di ogni frustrazione, guai a pensare che un dolore attraversi il corpo filiale.
un nipotino ha una nonna che dopo il festeggiamento del compleanno per evitare al piccolo la frustrazione che la torta successiva della domenica sia fonte di disagio e perdita, ormai da mesi a ogni domenica a pranzo fa trovare al suo amato nipote una candelina sulla torta. auguri auguri bambino mio, applausi e taglio amorevole della fetta.
è sempre compleanno, tutte le domeniche è compleanno, ovvero non ho più un compleanno.
troppo amore ammazza, il corpo e il simbolico.
cos'è questa roba?
che nome ha questa devianza della maternità, della genitorialità?
dalle cinghiate delle famiglie edipiche siamo passate alla perversione dei genitori oblativi.
la domanda mi sorge dall'osservazione degli adolescenti.
ho scoperto che gli adolescenti vivono un mondo piccolo, piccolissimo, minuto, microscopico.
invisibile.
uno spazio angusto, e non ne escono più.
all'apertura dello spazio consentito non è seguita una riappropriazione dello stesso.
è rimasto quello di sempre, quella della dimora in cui ogni bisogno viene soddisfatto.
cibo, letto, e cellulare.
il mondo finisce qui.
nasce il dubbio che il bisogno sia poco, che la curiosità sia azzerata, che la pulsione vitale sia addomesticata, che il desiderio sia morto.
tra aprile e maggio ciò che è cambiato è che in stanza non è più da solo, l'adolescente, sono in due, lui e l'altra.
la chiusura non ha stimolato nessuna apertura, l'orizzonte non si è ampliato, nulla è stato inventato, nessuna soluzione nuova e inedita è stata avviata, nessun futuro è stato immaginato.
un timido approccio alla lettura è morto in due settimane, subito esaurito.
il vuoto è colmato dalla tecnologia, saturato dalla virtualità, ogni giorno è l'eterna ripetizione del rituale di you tube, dalla colazione alla luce spenta di notte.
sto ferma, non faccio nulla, forse il mondo adolescenziale è sempre stato piccolo e io sono una demente infervorata dalla mie convinzioni desideranti, forse non è colpa di infanzie fagocitanti, di genitori devastanti iperpresenti senza limite simbolico, di case suoperaccessoriate, di bisogni eternamente soddisfatti, no, magari no.
ditemi che mi sto sbagliando.

mercoledì 20 maggio 2020

Living liqueurs & delights















insomma, c'è proprio da ben sperare, tra liquori e delizie.
scampati al contagio nella fase acuta la gente sfida il corona ansiosissima di riprendersi a buon diritto il suo godimento liquido in una dimensione non proprio letteralmente a distanza di un metro (o erano 2? ma no forse 4...)
brindiamo alla salute dell'anziana signora che si espone a un rischio quadruplicato in uno spazio angusto tra gente diciamo leggera e irresponsabile, al contempo coraggiosa, che, di fronte a tavolini che rasentano lo struscio, non alza i tacchi e saluta cortesemente il padrone che serve ai tavoli augurandogli meritate future fortune, ma si appresta contenta con grandi sospiri di sollievo a inneggiare: ce l'abbiamo fatta!
prosit, cento di questi giorni.
le immagini di ieri di giovani napoletani palermitani padovani e bolognesi, ma non giovanissimi, diciamo 30enni, scanzonatissimi e furbissimi che si accalcano felici di aver finalmente vestito i loro travestimenti di gaudenti alcolici e di aver raggiunto l'agognata meta vitale di successo del bancone del bar destano preoccupazione ma di certo non stupiscono più di tanto.
direi invece che la foto del gruppetto di audaci attempati nel bel aerato spazioso a regola locale dell'arco della pace di Milano personalmente mi interroga molto di più.
e la domanda è :
ma le signore come possono presentarsi alle divoranti e seduttive fauci del corona senza essere ancora passate dal parrucchiere per tinta e piega?

P.S. una nota di merito alla tintoria di fiducia del gestore, accorto, del locale di cui sopra che con estrema tenacia, lava e rilava, lava e rilava le 7 e oltre camicie sudate nella fatica di mettere a norma il suo delightful luogo di ritrovo.

venerdì 15 maggio 2020

tutto, dentro o fuori, sempre tutto

c'è un'inerzia, credo comune, alla ripresa.
ce ne siamo lamentati in molti ma la chiusura domestica è stata per molti una salvezza o un ritrovarsi.
ieri, dopo mesi di sola tangenziale milano-cologno e ritorno, ho cambiato strada.
ho rifatto quello che ho fatto per anni, di ritorno dal cps passaggio a milano per commissioni.
ieri ho infranto il rito del rientro velocissimo in tempi di chiusura per pandemia, in cui il bisogno di tornare subito a casa era diventato una necessità e sono andata da Eataly.
una botta di vita, lo so.
sono passata da una sfolgorante biblioteca degli alberi. sono arrivata senza traffico, nemmeno ai semafori, ho parcheggiato agevolmente, sono entrata nell'edificio senza fare coda, dentro gli spazi sono stati adattati, ampliati, c'era decisamente poca gente.
apparentemente era tutto come sempre, la città è quella, la strada immodificata, gli spazi verdi riconoscibili e Eataly non si è spostato, quel che ho comprato è quello che acquisto di solito.
eppure niente era come prima e io ho provato una percezione di spaesamento.
ero nel solito posto ma non ero lì.
ma credo che io volessi fortemente che non fosse la stessa cosa. 
ho avuto la sensazione di non avere tempo, che stavo sprecando tempo, che avrei fatto tardi, perchè dovevo tornare a casa e il tempo passava. pensavo: non ce la faccio. cosa? cosa non riesco a fare? TUTTO.
faccio notare che io ho corso tutta la vita e ho il fiatone ancora adesso per quanto ho corso.
ho lavorato scritto e letto e mi sono aggiornata cresciuto dei figli andata a cinema teatri concerti conferenze mostre e a tutti gli eventi milanesi da Mito settembre in musica alla art week. per anni.
ebbene si, penso che non ce la faccio più a fare tutto.
lo penso ora e poi ricomincerò a farlo?
non lo so perchè il timore di non farcela che ho ora potrebbe svanire e potrei non avere più paura di affannarmi.
mi è piaciuto svegliarmi alle 5 perchè gli uccelli cantavano così forte nel silenzio della città muta da risultarmi assordanti, paradisiacamente assordanti.
e ieri ho sentito il temporale con una forza così scuotente che ho pensato che sarebbe venuta giù la casa. mi sono svegliata di continuo, forse non volevo perdermela sta sfuriata della natura.
forse passo semplicemente da un'ossessione a un'altra, da quella di fare tutto fuori a quella di non perdere niente dentro, ma pur sempre di controllo si tratta.
tutto, dentro o fuori, pur sempre tutto.

macchine come me

di Ian McEwan.
ho iniziato piano, il passaggio da un romanzo all'altro è sempre faticoso.
venivo dal romanzo musicale di Rebecca West, dall'Inghilterra degli anni 20. una prosa non facilissima ma al contempo molto ricca.
sono rimasta in Inghilterra, Londra, ma sono finita nel 1982, un altro 1982. nelle isole Falkland si perde la guerra contro l’Argentina, i Beatles si sono da poco ricostituiti e la voce di John Lennon continua a diffondersi via radio. anche il genio della decifrazione del codice Enigma, Alan Turing, è scampato alla morte precoce e ingiusta che conosciamo, e i suoi studi hanno reso possibili alcune delle conquiste tecnologiche di questi diversi anni Ottanta, dalle automobili autonome ai primi esseri umani artificiali.
nella storia che parla di Adam, un androide, e di Charlie, che lo compra, sebbene molto costoso, con l'eredità della madre. la vita descritta è quella che conosciamo, quella che facciamo o facevamo, negli anni 2000. è un libro di fantascienza retrodatato, ma senza distopie macroscopiche. quel che fa la differenza è la spinta che l'intelligenza artificiale imprime al tempo, e la sua collocazione precoce nella recente passata storia dell'uomo.
al solito quel che leggo su prefazioni e quarta di copertina mi lascia un po' basita.
e mi trovano completamente in disaccordo.
la funzione di Adam, che si manifesta lentamente all'inizio e poi invece con una fortissima accelerazione nel finale, è quella di smascheramento. Adam abbraccia l'amore per la verità, dichiara che nulla è più importante della verità, e nel momento in cui lo fa definisce la sua fine. 
perchè, al contrario di ciò che si dichiara anche nei più diffusi luoghi comuni tra le creature umane che popolano la terra, l'uomo di tutto fa pur di mascherare la verità.
la verità dell'essere è quotidianamente mascherata dalla coscienza, l'io manovra la nostra vita ai fini di una sopravvivenza che si rende possibile solo grazie alla persistente censura della nostra intima verità. la nostra vita è un costante arrangiamento e manipolazione della nostra verità, è la persistente costruzione di sintomi, a volte non necessariamente gravi, per colmare la divisione che ci abita. 
la verità atterisce l'essere umano, ma non una macchina.
può forse tollerare il protagonista narrante di venire smascherato nella sua modalità di sopravvivenza, che è una comoda sistemazione che con la fatica del vivere una passione non ha niente a che fare? non è che Charlie non lo sappia che quel modo che ha di procurarsi il pane è vergognoso. manipola azioni dal suo pc, ci si dedica qualche ora al giorno dalla sua cucina, non sa cosa sia la passione e il sacrificio per una causa, evita qualsiasi coinvolgimento, si annoia e passeggia qua e là, unica occupazione: trovare il modo di tornare a letto con la sua donna.
lui lo sa, la verità, ma non è che faccia qualcosa per modificarla, si arrangia, sapendo bene di coltivare una noia e un parassitaggio meschini.
e non sa forse la sua fidanzata che il suo silenzio e le sue menzogne sono macigni sulla coscienza, non ha forse operato un modo per attuare una vendetta ma non una forma di giustizia in onore, o meglio in virtù, di un'amica morta suicida per l'angoscia di uno stupro, non sa forse di aver manipolato la verità convinta di aver fatto l'unica cosa possibile? 
eppure questa è la modalità attraverso cui noi tutti conduciamo le nostre vite, più o meno consapevoli di quel che andrebbe fatto per uscire dalla modalità nevrotica del compromesso, ma incapaci di abbracciarla, la verità.
lo dice Turing, gran genio del 900 cui dobbiamo molto moltissimo e solo McEwan si è ricordato di omaggiarlo, a Charlie che gli restituisce l'androide danneggiato:
- Senza sapere un gran che della mente, decidi di provare a introdurne una artificiale nel mondo delle relazioni. Il machine learning non può arrivare molto lontano. Dovrai fornire a questa mente alcune regole di vita cui attenersi. Perchè quella di non poter mentire? Secondo quello che si legge nell'Antico Testamento, nel libro dei Proverbi, mentire è un abominio contro dio. Ma il mondo delle relazioni pullula di menzogne innocue, per non dire preziose. Come facciamo a distinguerle? Chi scriverà l'algoritmo della bugia generosa che risparmia l'imbarazzo a un amico? O di quella che spedisce in galera uno stupratore  che altrimenti l'avrebbe fatta franca? Ancora non sappiamo come insegnare a mentire a una macchina. E che dire della vendetta? Secondo lei è ammissibile, qualche volta, quando si ama la persona che la reclama. Ma per il suo Adam no, non lo è mai.

dice Charlie:
- cerchiamo di ricordarci di Mariam, per favore. Quello che Gorringe le ha fatto e  a cosa l'ha portata. Miranda ha dovuto mentire per ottenere giustizia. Ma non sempre la verità è tutto.
Adam risponde:
- Questa è un'affermazione davvero straordinaria. Ma certo che la verità è tutto.
Miranda , la fidanzata:
- So che prima o poi cambierai idea.
Adam:
- Temo di no. Che razza di mondo volete? La vendetta o la legge. La scelta è semplice.

per una macchina, per l'intelligenza artificiale lo è. ma non per l'uomo per il quale vige il paradosso che per ottenere giustizia serve mentire, per vivere serve rimuovere.

Macchine come me. 
di Ian McEwan.


martedì 12 maggio 2020

Encargo

Non mi dar tregua, non perdonarmi mai.
Fustigami nel sangue, che ogni cosa crudele sia tu che ritorni.
Non mi lasciar dormire, non darmi pace!
Allora conquisterò il mio regno,
nascerò lentamente.
Non mi perdere come una musica facile, non essere carezza né guanto;
intagliami come una selce, disperami.
Conserva il tuo amore umano, il tuo sorriso, i tuoi capelli. Dalli pure.
Vieni da me con la tua collera secca, di fosforo e squame.
Grida. Vomitami arena nella bocca, rompimi le fauci.
Non mi importa ignorarti in pieno giorno,
sapere che tu giochi, faccia al sole e all’uomo.
Dividilo.

Io ti chiedo la crudele cerimonia del taglio,
ciò che nessuno ti chiede: le spine
fino all’osso. Strappami questa faccia infame,
obbligami a gridare finalmente il mio vero nome.

Incarico
di Julio Cortázar

Te ofrezco

Ti offro strade difficili,
tramonti disperati
la luna di squallide periferie.
…Ti offro le amarezze di un uomo
che ha guardato a lungo la triste luna.
Ti offro i miei antenati,
i miei morti,
i fantasmi a cui i viventi hanno reso onore col marmo:
il padre di mio padre ucciso sulla frontiera
di Buenos Aires
due pallottole attraverso i suoi polmoni,
barbuto e morto,
avvolto dai soldati nella pelle di una mucca
il nonno di mia madre – appena ventiquattrenne –
a capo di trecento uomini in Perù,
ora fantasmi su cavalli svaniti.
Ti offro qualsiasi intuizione sia nei miei libri,
qualsiasi virilità o vita umana.
Ti offro la lealtà di un uomo
che non è mai stato leale.
Ti offro quel nocciolo di me stesso
che ho conservato, in qualche
modo – il centro del cuore che
non tratta con le parole, nè coi
sogni e non è toccato dal tempo,
dalla gioia, dalle avversità.
Ti offro il ricordo di una
rosa gialla al tramonto,
anni prima che tu nascessi.
Ti offro spiegazioni di te stessa,
teorie su di te, autentiche e
sorprendenti notizie di te.
Ti posso dare la mia tristezza,
la mia oscurità, la fame del mio cuore
cerco di corromperti con l’incertezza,
il pericolo, la sconfitta.

Ti offro
di Luis Borges

venerdì 8 maggio 2020

monologo per Cassandra

Monologo per Cassandra
di Wisława Szymborska

Sono io, Cassandra.
E questa è la mia città sotto le ceneri.
E questi i miei nastri e la verga di profeta.
E questa è la mia testa piena di dubbi.

E’ vero, sto trionfando.
I miei giusti presagi hanno acceso il cielo.
Solamente i profeti inascoltati
godono di simili viste.
Solo quelli partiti con il piede sbagliato,
e tutto poté compiersi tanto in fretta
come se non fossero mai esistiti.

Ora lo rammento con chiarezza:
la gente vedendomi si interrompeva a metà.
Le risate morivano.
Le mani si scioglievano.
I bambini correvano dalle madri.
Non conoscevo neppure i loro effimeri nomi.
E quella canzoncina sulla foglia verde -
nessuno la finiva in mia presenza.

Li amavo.
Ma amavo dall’alto.
Da sopra la vita.
Dal futuro. Dove è sempre vuoto
e da dove nulla è più facile del vedere la morte.
Mi dispiace che la mia voce fosse dura.
Guardatevi dall’alto delle stelle – gridavo -
guardatevi dall’alto delle stelle.
Sentivano e abbassavano gli occhi.

Vivevano nella vita.
Permeati da un grande vento.
Con sorti già decise.
Fin dalla nascita in corpi da commiato.
Ma c’era in loro un’umida speranza,
una fiammella nutrita del proprio luccichio.
Loro sapevano cos’è davvero un istante,
oh, almeno uno, uno qualunque
prima di -

E’ andata come dicevo io.
Però non ne viene nulla.
E questa è la mia veste bruciacchiata.
E questo è il mio ciarpame di profeta.
E questo è il mio viso stravolto.
Un viso che non sapeva di poter essere bello.

8 maggio

Brusaferro menagramo? scrive Gramellini.
dott Gallo fuori controllo? si legge in giro.
reazione isterica? si sente alla radio.
i medici hanno stufato?
i ristoratori vogliono aprire?
le estetiste rimettere mano agli attrezzi?
siamo sicuri?
io vedo cose da paura.
parchi darsena e navigli in stato di delirio. 
bar già spudoratamente aperti.
avvicinamenti vertiginosi, a volte penso: adesso mi bacia, e non a un metro e mezzo di distanza, ma con schiocco.
tanti, davvero tanti senza mascherina, spostata in ogni angolo del corpo, per lo più usata come mentoniera.
ma ne suggerirei l'uso come sospensorio per i testicoli.
la mettiamo direttamente lì, così garantiamo un costante rimaneggiamento delle palle, ce le tocchiamo cento volte al giorno, così come vedo fare con la mascherina degradandone l'uso a tovagliolo per il sugo di pomodoro, e facciamo gli scongiuri.

è già successo no? il 7 marzo. Milano non si ferma, tutti fuori, e vai con il contagio peggiore di tutta l'Europa.
le case già ci mancano.
già avvertiamo nostalgia della muratura viva.
già stufi dopo 4 giorni di lavoro.
abbiamo voglia di vedere risalire la curva.
e di sovvenzioni dallo stato.
le vacanze? noo, meglio il balcone e i canti della resistenza.
si sa, viviamo al di là del principio di piacere.
all'uomo piace soffrire, gode del male, per potersene lamentare. 
fuma non nonostante faccia male, ma perchè fa male.
(altra immagine epica è quella del soggetto con mascherina che la abbassa e furbamente fuma. 
con doppia esposizione al piacere, al godimento della morte, sebbene avviserei il malcapitato che ha molte più probabilità di morire per cancro al polmone che di coronavirus).

ai medici ed esperti epidemiologici la corona (ooops) già tragicamente indossata da Cassandra (mia eroina).
ai politici la fermezza responsabile delle decisioni (fermezza? ma no, anticipiamo, spingono i Matteo-coglioni e cedono i Giuseppi-centrici, così è ancora troppo poco).

aggiungerei, dopo questa profezia di sventura, un invito alla speranza, che non ripongo negli uomini ma nell'adattamento ambientale del virus, che magari, tessssoro, abbia "capito" (non pensa ma evolve) che è meglio convivere con l'uomo, come ha fatto con il pipistrello, piuttosto che ammazzarlo.
se lo ammmmmazzzzzza muoreeeee. se lo grazia, sopravvive.
e questo fa il virus, ci usa per vivere.

buon fine settimana a tutti.

giovedì 7 maggio 2020

4 maggio

il 5 era già famoso.
il 4 lo è dal 2020.
quello che noto dalla mia finestra:
le voci dei bambini, sono rinati,
i rumori di sottofondo del lavoro, sono ripartiti.

il flusso di macchine è quadruplicato in tangenziale e, lo devo dire, ho avvertito una stretta al cuore.
di ciò che è ripartito qualcosa mi restituisce una percezione di stritolamento senza speranza.
un meccanismo vorticoso mi sta trascinando di nuovo verso il movimento afinalistico delle nostre vite, di cui non solo ho fatto a meno volentieri, ma ho vagheggiato potesse tornare mai più.



lunedì 4 maggio 2020

dieci righe mentre non morivo

molte campane, non mi dispiacciono, invece non mi piacciono i richiami religiosi dall'altoparlante.
non ho chiesto di sentire la voce di dio.
molte ambulanze, ma sempre meno.
nulla mi da più gioia del mio balconcino fiorito e del sole che inonda la stanza.
sono pronta per la pensione, posso smettere di lavorare adesso.
non sarò più quella di prima? non dovrò più esserlo, forse nemmeno potrò. il ritmo del mio respiro è diventato più importante, non credo di volerlo accelerare di nuovo, non credo. nemmeno Milano potrà, e io con la mia città.
e la mià città con il resto del mondo.
la mia specie è in me, come dice Mariangela Gualtieri, io la conservo in me. se mi conservo, se mi tutelo, tutelo tutti, io sono tutti.
chi era generoso, generoso è rimasto e forse anche si è espresso, chi era meschino, lo sarà stato anche in questa occasione.
io, come sempre, avrei voluto essere generosa, forse avrei voluto essere qualcosa, ma non lo sono stata. come sempre non posso essere ciò a cui aspiro. ho fatto domanda in Regione Lombardia, e in Protezione Civile, avrei voluto, con paura, andare a fare quel medico che non sono, ma non mi hanno chiamata. come sempre ho un buon motivo per non essere ciò che dovrei, vorrei. come sempre non accade. e come sempre non è ciò che non accade la causa del non accadere. la causa è in me.
niente di nuovo. diventa ciò che sei.
non vorrei sentire ciò che sento dai miei figli, ma è inutile, non saranno mai ciò che mi aspetto. non ci somigliamo, a volte non ci piacciamo. se ne vanno, è giusto così. rimarrà solo il bene.
non mi piacciono i "speriamo", i "vediamo", i "aspettiamo", espressione passiva del futuro che incombe. come racconta Galimberti il cristianesimo ci ha insegnato, per sempre, che il passato è male, il presente è attesa, il futuro migliore.
il futuro non è migliore, il futuro è adesso, non possiamo sperare vedere aspettare che sia qualcosa. 
la vita non è garantita, il futuro non è garantito. lo avremo capito?
non mi piace ascoltare Bertallot, per quanto bravo DJ e bella la sua trasmissione Fiesta Immobile, che la reazione è stata isterica. abbiamo esagerato? ce lo siamo inventato? abbiamo messo in scena la mancanza? abbiamo inscenato l'insanità? lo possiamo dire, con arroganza e presupponenza, noi che siamo vivi, e non mi piace.
la natura non ha anima, non si vendica, non fa ritorsioni. la natura è, noi siamo parte della natura, esseri intelligenti all'interno della natura, insieme a molti altri, virus compresi. andiamo veloci e costruiamo il mondo in nostra funzione. l'uomo è diventato cultura, e il mondo costruito è troppo veloce, più veloce di noi, la nostra evoluzione non è al passo con il mondo che abbiamo costruito, siamo rimasti evolutivamente indietro. la natura non ci aspetta. la natura è. la natura vince sulla nostra fretta, detta il ritmo. la natura canta ogni mattina alle 5, nell'ora blu, la natura cresce sul mio piccolo davanzale.