"Stefano Cucchi era a terra e lo prendevano a calci".
qualcuno parla.
il muro, dicono, è caduto.
il muro, dicono, è caduto.
a fare le spese di questa immonda storia di silenzi, di coperture, di violenza, di irresposabilità, di omertà siamo tutti noi. non è solo sulla pelle di Stefano Cucchi che si è svolta questa immondizia, è sulla pelle di tutti noi.
quello stato carente, corrotto, marcio, incapace, inefficiente che non solo non ti protegge ma ti lascia morire, è il nostro stato italiano.
il film, si, ha fatto la sua parte.
ne sono certa.
certissima. per una volta un film, quella grande meravigliosa avventura che è il cinema e che ci regala pensieri ed emozioni, ha mostrato qualcosa che ha smosso la coscienza.
l'ho visto, Sulla mia pelle, di Alessio Cremonini. non so nemmeno se ho visto un film o un documentario. senza giudizi, senza partigianerie, una presentazione cruda di eventi scuotenti.
ad Alessandro Borghi darei una medaglia, non so come si faccia ad entrare nella pelle, nel corpo di un altro, eppure, c'è riuscito. nessuno, nel film, appare bello, migliore, nessuno appare solo vittima, ognuno ha fatto la sua parte. Cucchi si vedeva come uno scarto, un oggetto degno dei maltrattamenti ricevuti al punto da non denunciarli, al punto di dirli sottovoce ma anche negarli più volte. solo chi pensa di meritarsele, quelle botte, non le denuncia, e Cucchi si vedeva così, indegno, una vergogna per i suoi genitori.
ad Alessandro Borghi darei una medaglia, non so come si faccia ad entrare nella pelle, nel corpo di un altro, eppure, c'è riuscito. nessuno, nel film, appare bello, migliore, nessuno appare solo vittima, ognuno ha fatto la sua parte. Cucchi si vedeva come uno scarto, un oggetto degno dei maltrattamenti ricevuti al punto da non denunciarli, al punto di dirli sottovoce ma anche negarli più volte. solo chi pensa di meritarsele, quelle botte, non le denuncia, e Cucchi si vedeva così, indegno, una vergogna per i suoi genitori.
ho pensato a quei posti, le celle, i tribunali, le caserme di polizia, le stanze delle questure, l'area detenuti dell'Ospedale Pertini di Roma, sono luoghi dello stato in cui ognuno di noi potrebbe finire, perchè aggredito, perchè coinvolto suo malgrado, oppure per dolo. in quei luoghi emerge un'area di miseria dello stato italiano, abitata da tanta gente che fa il proprio lavoro senza consapevolezza, senza responsabilità, con i "torni domani", "io non ne so niente, non è qui che deve venire", "per entrare ci vuole la sentenza del giudice", "a quest'ora siamo chiusi", meandri infiniti, di stanze fisiche e stanze della mente, che portano al nulla, al rigetto della domanda, al rimando ad altri, luoghi in cui si può essere dimenticati, lasciati cadere o, peggio, aggrediti e maltrattati.
sono luoghi comuni, eppure senza struttura, solidi ma vuoti, luoghi dello stato, eppure senza alcuna legge.
sono luoghi comuni, eppure senza struttura, solidi ma vuoti, luoghi dello stato, eppure senza alcuna legge.
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