Una tormenta paurosa s’era scatenata e fischiava fra le
ruote della vettura, lungo le colonne, al di là dell’angolo
della stazione. Vetture, colonne, uomini; tutto quello che
si poteva scorgere veniva ricoperto da un sol lato di
neve e sempre di più se ne ricopriva. Per un attimo la
tormenta parve calmarsi, ma poi di nuovo si sferrò con
raffiche tali che sembrava non si potesse resisterle. Nel
frattempo alcune persone corsero e, scambiando allegramente
qualche parola, fecero scricchiolare le assi della
banchina aprendo e richiudendo continuamente la porta
grande. L’ombra contorta di un uomo scivolò sotto i piedi
di lei e si udì il rumore di un martello sul ferro... «Telegrafa!»
echeggiò una voce irritata dall’altra parte nel
buio della tormenta. «Favorite qua, n. 28!» gridarono
ancora altre voci e delle persone imbacuccate corsero,
ricoperte di neve. Due signori, con le sigarette accese in
bocca, le passarono accanto. Ella respirò ancora una
volta per prendere aria a sazietà e aveva già tirato fuori
la mano dal manicotto per afferrarsi alla colonnina e
rientrare in vettura, quando accanto a lei un individuo
dal cappotto militare le intercettò la luce vacillante del
fanale. Si voltò e in quell’attimo riconobbe il viso di
Vronskij. Portando la mano alla visiera, egli s’inchinò e
domandò se avesse bisogno di qualcosa e se potesse esserle
utile. Anna lo fissò a lungo senza rispondere nulla
e, malgrado l’ombra in cui era, vedeva, o le sembrava di vedere, anche l’espressione del viso e degli occhi di lui.
Ancora quell’espressione di reverente ammirazione che
la sera prima l’aveva tanto impressionata. Più di una
volta in quei giorni, e fino a pochi momenti prima, era
andata ripetendo a se stessa che Vronskij era per lei uno
dei cento giovanotti eternamente identici che s’incontrano on sapevo che foste in viaggio. Perché viaggiate? — disse, abbassando la mano con la quale stava aggrappata alla colonnina. E un’irrefrenabile gioia e animazione le illuminarono il viso.
— Perché viaggio? — ripeté lui, guardandola dritto negli occhi.
— Voi sapete che io viaggio per essere dove siete voi — disse — e non posso fare altrimenti.
Nello stesso tempo, come se avesse superato degli ostacoli, il vento spazzò via la neve dai tetti delle vetture, strascinò una lamiera di ferro ch’era riuscito a strappare, e il fischio della locomotiva ruggì, lugubre e cupo. A lei ora tutto l’orrore della tormenta pareva ancora più bello. Egli aveva detto proprio quello che l’anima sua desiderava, ma che la sua ragione temeva. Ella non rispondeva nulla, e sul viso di lei egli scorgeva la lotta interiore.
— Perdonatemi se vi spiace quello che ho detto — disse umilmente.
Parlava con cortesia, con rispetto, ma con tanta fermezza e ostinazione che per molto tempo ella non poté rispondere nulla.
— È male quello che dite, e vi prego, se siete un gentiluomo, dimenticate quello che avete detto; anch’io dimenticherò — disse infine.
— Non una vostra parola, non un vostro gesto dimenticherò mai, e non posso...
— Basta, basta! — gridò lei, cercando invano di dare un’espressione severa al viso che egli andava scrutando avidamente. E afferratasi con la mano alla colonnina gelida, montò sul predellino ed entrò in fretta nel corridoio della vettura. Ma nel piccolo ingresso si fermò per riflettere a quello che era accaduto. Non ricordava né le parole proprie, né quelle di lui, ma ebbe la sensazione che quella conversazione di pochi istanti li avesse terribilmente avvicinati e ne era spaventata e felice. Dopo esser rimasta in piedi per qualche secondo, entrò nello scompartimento e sedette al proprio posto. Quello stato di tensione che l’aveva tormentata poco prima non solo si rinnovò, ma aumentò sino a farle temere che da un momento all’altro si spezzasse in lei qualcosa di troppo teso. Non dormì tutta la notte. Ma in quella tensione e in quel vaneggiamento che le riempivano la mente, non c’era nulla di spiacevole e di tetro, al contrario, c’era qualcosa di gioioso e di eccitante. All’alba si assopì nella poltrona, e quando si svegliò era giorno chiaro e il treno si avvicinava a Pietroburgo. Il pensiero della casa, del marito, del figlio, le faccende di quel giorno e dei seguenti s’impossessarono subito di lei.dovunque, e che ella mai avrebbe concesso a se stessa
di pensare a lui; ma ora, in quel primo attimo dell’incontro,
fu presa da un senso di orgoglio gioioso. Non
c’era bisogno di chiedere perché fosse là. Lo sapeva
così sicuramente come s’egli avesse detto che si trovava
là perché voleva essere dov’era lei.
che dire, sono ammaliata.
non so dure esattamente.
a volte penso che Tolstoj non sia un campione di eleganza formale della scrittura.
ma questa descrizione incombente della figura di Vronskij, la cui ombra ricade su Anna in modo così minaccioso e potente, circondata da una tempesta di neve che scoperchia le lamiere, da rumori violenti ma ovattati dalla neve, in cui la bellezza e l'orrore convivono, la sottomissione e la furia dell'amore anche, insomma, mi dico: che incontro fatale! che bella la letteratura! come vorrei essere lì!
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