invece il 6 marzo è andato tutto bene.
lunedì, giornata tranquilla.
di solito faccio cose, vedo gente.
Marco Eugenio mi invita alla sua mostra, vado.
l'elemento perturbante è che la sua mostra è in via Savona.
ci sono nata.
ci ho abitato.
c'è ancora la casa dei miei genitori, non più mia.
parcheggio sotto casa.
guardo.
spio.
la storia è lunga e triste, come quella della coda del topo di Alice del Paese delle Meraviglie: la persona alla quale io e mio fratello l'abbiamo venduta, amica di famiglia, con dentro tutti i libri di mio padre, l'ha affittata ad altri. con dentro tutti i libri di mio padre? chissà. magari sono finiti in discarica. ogni tentativo di parlare con costei, non più amica di famiglia, sono stati inutili.
l'errore è stato nostro, un'ingenuità degna di due deficienti.
stai lì a menartela su quanto sei bravo, intelligente, quanto siamo colti, figli degni di nostro padre, gran dotto della sua sfera, e poi, i due cretini vendono la casa con dentro i libri di una vita convinti che siano in buone mani. due deficienti.
primo risultato: non faccio che pensarci, a quei libri, con un senso di colpa cosmico, con una voragine che mi mangia, una nostalgia colpevole che non si placa.
secondo risultato: una casa non più mia la sento ancora mia per via di quel che contiene(va).
dunque, guardo, spio.
le finestre sono alzate al massimo. fastidio: io amo la penombra, non le terrei mai così.
il terrazzo, quante foto da bambini, è stracolmo di piante. bello, mi fa piacere.
in un angolo vedo un mobiletto bianco, sembra un mobile da cucina, cosa ci fa li? la casa era tutta in legno, quello era il soggiorno, cosa è successo?
sono messa così. cioè, male.
mi avvio, pensierosa, verso la sede della mostra.
uno shock.
un altro.
dov'è finita la fabbrica d'angolo con via Tolstoi?
non c'è più. c'è una piazza, no dico, una piazza. piazza Enrico Berlinguer.
sono già in rianimazione.
c'è una struttura, nuova, il centro Seicentro.
e dentro il centro Seicentro, gestito dal municipio 6 della città di Milano, c'è la mostra di Marco Eugenio.
intubata.
dovevano avvisarmi, mandarmi una lettera, tenermi aggiornata, forse anche chiedermi l'autorizzazione per questi cambiamenti.
chiaro, l'avrei negata.
da anni passo vicino, sulla circonvallazione, ma mi tengo lontana da via Savona. ho fatto bene, ho fatto male,
chissà.
certo ora, in rianimazione intubata e ventilata artificialmente, rischio pericolosamente la mia vita, appesa a un filo.
detto ciò la mostra di Marco Eugenio è bella, piacevole, un salotto in cui si parla e si incontrano persone, faccio cose e vedo gente, e le foto mi piacciono, intonate sulla musica, musica di strada, e poi, al di là del mio giudizio, è sempre bello vedere una passione che trova anche il modo di essere apprezzata da un pubblico. è un riconoscimento, una celebrazione.
capisco che Marco è malato di fotografia, gira con la macchina, o con il cellulare, scatta, incornicia, sviluppa quando usa l'analogico (encomio speciale). non solo, è malato di musica, orchestra La Verdi, jazz, generazioni a venire che si dedicano alla stessa passione.
che dire, quando si incontra il desiderio si respira sempre aria buona.
2 commenti:
grazie, Giovanna.
Hai incrociato un pezzettino della tua vita con la mia.
Sono stato, con le mie foto, catalizzatare per un tuo sofferto ritorno.
A una realtà di cui dovevi riprendere atto, si vede, soffrendo e andando avanti.
E poi, siccome nel nostro mestiere non si smette mai, nemmeno in borghese, nemmeno per la strada, mi hai fatto la diagnosi giusta.
Si, la mia dev'essere proprio una malattia, cronica e piacevole, ma per favore, non voglio guarire !
E' stato un piacere conoscerti di persona, ed è stata una conferma, dopo aver letto tanto dei tuoi pensieri e considerazioni su questo blog.
Ancora una parola per terminare:
grazie.
Buongiorno Marco, grazie a te.
a presto.
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