mi sono indubbiamente ritrovata, ateatro, tra le note immagini cinematografiche di Noi credevamo e de Il Giovane Favoloso.
l'impronta di Martone è inconfondibile.
la storia è il luogo della sua scena. al cinema come a teatro.
scena che si svolge tra spazi che si aprono e si chiudono mossi e separati da tendaggi rossi, scena che va ben oltre il palcoscenico tra la platea e la galleria, il popolo di Danton siamo noi.
si sente il rumore sinistro e spaventoso della ghigliottina che scende vorticosa al suo traguardo.
gli attori gesticolano molto, le mani si muovono vorticose a sottolineare le parole, hanno le pose della propaganda, della messa in scena del potere, del comizio, dell'arringa in tribunale, della sentenza.
il movimento di scena è molto ampio, è spazioso, arioso, sembra in effetti di essere al cinema, Martone amplifica il teatro, lo allarga, lo espande, con la concitazione di scene di gruppo che hanno la potenza della fisicità, della voce, del movimento, dello sguardo.
gli attori sono tanti, direi che una massa di uomini e donne si muove sulla scena.
anche questo è un evento, si, direi un evento teatrale.
abituati da tempo a un teatro minimale, stilizzato, negli allestimenti e nei personaggi, qui siamo nella pienezza, nella moltitudine, nel corpo scenico.
non mi capitava da anni, o forse mai, di vedere una tale quantità di personaggi a teatro, l'effetto è veramente poderoso, a tratti sembra di assistere davvero a quacosa che sta accadendo in quel momento. il mondo è tutto ciò che accade.
il personaggio più interessante è quello di Robespierre e il suo interprete è molto convincente, Paolo Pierobon.
il personaggio più accattivante è quello di Danton e il suo interprete è molto bravo, Giuseppe Battiston.
due personaggi e due attori diversi, due versioni del mondo e della recitazione diverse, e, proprio per questo, che bei momenti di vita e di arte, ieri, al Piccolo Teatro di Milano.
il testo è ricchissimo, lo cerco disperatamente sul web e non trovo nemmeno una riga, vorrei riportarlo, così carico di dramma e di storia, di parole piene e vigorose, di testimonianza dell'epoca del terrore, della paranoia erudita di Robespierre, dell'intelligenza gogliardica di Danton.
emerge la megalomania messianica di Robespierre, che si declamava uomo virtuoso, incorruttibile, inflessibile, chiamato a creare uno «Stato della virtù»: doveva rigenerare completamente il mondo, formando un nuovo popolo. «Noi — scriveva — vogliamo un ordine di cose in cui tutte le passioni basse e crudeli sono incatenate, e tutte le passioni generose e benefiche sono risvegliate dalle leggi. Noi vogliamo sostituire la morale all’egoismo, la probità all’onore, i princìpi agli usi, l’impero della ragione alla tirannide della moda, tutte le virtù e tutti i miracoli della Repubblica a tutti i vizi e al ridicolo della monarchia».
si delinea, contrapposta, la stanchezza di Danton, abbandonata la foga omicida della rivoluzione, lontano dal manicheismo giacobino di Robespierre e dall'idea che il terrore sia giustizia, pronta, severa, inflessibile giustizia, la disillusione della praticabilità di una rivoluzione permanente che cerca conforto nel godimento e nei piaceri l’unica soluzione alla limitatezza della della conoscenza delle cose e degli uomini: “Conoscersi? Dovremmo scoperchiarci il cranio e strapparci vicendevolmente i pensieri dalle fibre del cervello”.
incapace di distinguere tra dissenso e tradimento, il Robespierre di Paolo Pierobon è già febbricitante, austero, quasi monacale, in preda alle sue paranoie complottiste e ai suoi deliri sul regime assoluto della Verità e della Virtù, ormai vittima condannata dalla storia il Danton di Battiston non può liberarsi dalle maglie del delirio dell'antico compagno, l'onda forte e ancora inarrestabile di una rivoluzione che avrebbe voluto trasformare in ipotesi politica lo travolge, progressivamente sfatto e trasandato, al suo terrore finale.
splendido spettacolo teatrale.
onore a Büchner, onore a Martone.
si delinea, contrapposta, la stanchezza di Danton, abbandonata la foga omicida della rivoluzione, lontano dal manicheismo giacobino di Robespierre e dall'idea che il terrore sia giustizia, pronta, severa, inflessibile giustizia, la disillusione della praticabilità di una rivoluzione permanente che cerca conforto nel godimento e nei piaceri l’unica soluzione alla limitatezza della della conoscenza delle cose e degli uomini: “Conoscersi? Dovremmo scoperchiarci il cranio e strapparci vicendevolmente i pensieri dalle fibre del cervello”.
incapace di distinguere tra dissenso e tradimento, il Robespierre di Paolo Pierobon è già febbricitante, austero, quasi monacale, in preda alle sue paranoie complottiste e ai suoi deliri sul regime assoluto della Verità e della Virtù, ormai vittima condannata dalla storia il Danton di Battiston non può liberarsi dalle maglie del delirio dell'antico compagno, l'onda forte e ancora inarrestabile di una rivoluzione che avrebbe voluto trasformare in ipotesi politica lo travolge, progressivamente sfatto e trasandato, al suo terrore finale.
splendido spettacolo teatrale.
onore a Büchner, onore a Martone.
2 commenti:
grazie per l' entusiastica recensione, io andrò la settimana prossima.
Se ti interessa io ho il testo sotto forma di ebook (EPUB) e posso mandartelo via mail
Saluti
Marco
Marco buongiorno. è una bella coincidenza...vai e fammi sapere, io l'ho trovato entusiasmante. mi piacerebbe molto avere il testo, ti lascio la mia mail, che poi cancellerò, mi fai un piacere enorme.
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