Oh! Capitano, mio Capitano, il tremendo viaggio è compiuto,
La nostra nave ha rotto tutte le tempeste: abbiamo conseguito il premio desiderato.
Il porto è prossimo; odo le campane, il popolo tutto esulta.
Mentre gli occhi seguono la salda carena,
La nave severa ed ardita.
Ma o cuore, cuore, cuore,
O stillanti gocce rosse
Dove sul ponte giace il mio Capitano.
Caduto freddo e morto.
O Capitano, mio Capitano, levati e ascolta le campane.
Levati, per te la bandiera sventola, squilla per te la tromba;
Per te mazzi e corone e nastri; per te le sponde si affollano;
Te acclamano le folle ondeggianti, volgendo i cupidi volti.
Qui Capitano, caro padre,
Questo mio braccio sotto la tua testa;
È un sogno che qui sopra il ponte
Tu giaccia freddo e morto.
Il mio Capitano tace: le sue labbra sono pallide e serrate;
Il mio padre non sente il mio braccio,
Non ha polso, né volontà;
La nave è ancorata sicura e ferma ed il ciclo del viaggio è compiuto.
Dal tremendo viaggio la nave vincitrice arriva col compito esaurito,
Esultino le sponde e suonino le campane!
Ma io con passo dolorante
Passeggio sul ponte, ove giace il mio Capitano caduto freddo e morto.
l'ho visto, al cinema, "Lincoln" di Spielberg, e mi sono annoiata a tratti, pur apprezzando alcuni aspetti cinematografici che potrei definire accattivanti.
un aspetto che mi ha affascinato, e resa sopportabile quel po' di noia che mi ha colto, è la voce di Lincoln, la voce italiana del doppiaggio. è Pierfrancesco Favino a doppiarlo, con questa voce inaspettata, particolare, questo intervenire nel discorso discontinuo, questa specie di spezzatura nel tono. la voce è un tratto personalissimo unico, inequivocabile, quello adottato per Lincoln in questo film ha sicuramente il suo fascino, delinea un personaggio anomalo, lucido ma sofferente, geniale ma fortemente in conflitto, quieto ma a tratti stizzoso.
so che sono l'unica a sostenerlo, l'interpretazione di Favino è stata stroncata ovunque, pare che in confronto alla voce di Daniel Day Lewis ci sia un abisso intollerabile.
le scene del film sono tendenzialmente buie, o io mi ricordo solo quelle?, descrivono una Casa Bianca che potrebbe essere una casa di campagna, le cucine sporche che somigliano più a delle cantine, le stanze in legno alle sale di una fattoria. è un'America agli albori, un'America grezza, contadina, eppure emerge evidente un'aura di solennità, di luoghi universali della storia, quasi mitici. nelle riunioni private o nelle sessioni pubbliche, segretari, funzionari, senatori mi sono sembrati dei dell'olimpo, con barbe lunghe argentate, capelli lunghi e ricci e selvaggi, corporature imponenti e maestose, come figure mitologiche che appartengono alla storia del mondo.
ora, in verità, la storia della liberazione dalla schiavitù del popolo nero d'America mi colpisce solo fino a un certo punto, ed è probabilmente per questo che il film mi è piaciuto solo fino a quel certo punto, ovvero quello descritto sopra, penso che la storia americana abbia fatto e faccia tuttora schiavi in tutto il mondo, francamente non ci saranno più state catene in patria -ma sappiamo molto bene che l'uguaglianza dei neri è tardata molto a venire, forse è arrivata solo con Barack Obama presidente- ma per gli ospiti stranieri ci sono Guantànamo e le guerre di conquista nel mondo. profeticamente quel che si è verificato nella guerra di secessione si è poi ripetuto per tutta l'intera storia dell'America, intraprendere e proseguire ad oltranza guerre sanguinarie sostenute dalla delirante e arrogante e onnipotente convinzione di portare la libertà nel mondo; quel che ha fatto Lincoln, di proseguire lo stato di guerra con ulteriori massacri per ottenere l'approvazione di un mandato altrimenti non proponibile in condizioni di pace, mi sembra una dannazione di non poco conto, una modalità che poi si è ripresentata nella storia d'America, fare morti per portare libertà.
giusto ieri mi è venuto incontro, leggendo la Lettura del Corriere della Sera, un bell'articolo di Giulio Giorello, che fa un parallelismo davvero intrigante tra la posizione di Darwin e quella di Lincoln -contemporanei-, tra il film di Spielberg e quello di Tarantino. ne riporto alcuni tratti.
...Darwin, ai tempi eroici in cui era tornato dal viaggio intorno al mondo, aveva annotato: «Gli animali — quelli che abbiamo reso nostri schiavi — non ci piace considerarli nostri uguali. I padroni di schiavi non vorrebbero forse attribuire l’uomo negro a un altro genere?».
La biologia non è affatto d’ostacolo all’eguaglianza degli esseri umani di fronte alla legge. Ma per spingere gli schiavisti del Sud degli Stati Uniti a rinunciare alla loro «peculiare istituzione» non poteva bastare quel fucile «nell’arsenale del liberalismo» che era il pensiero darwiniano (come l’aveva definito l’amico Thomas Huxley), ma erano stati necessari i cannoni del generale Grant. Darwin era nato il 12 febbraio 1809, lo stesso giorno di Abraham Lincoln. Non è solo coincidenza. L’emancipatore degli schiavi e il teorico dell’eguaglianza delle «razze» hanno avuto gli stessi nemici, anche se non lo stesso destino: quei tenaci negazionisti, potremmo dire con il linguaggio odierno, che rifiutano insieme le origini comuni del genere umano e la sua parentela con ogni altra specie vivente.
Uno stile assai simile unisce al «lungo ragionamento» di Darwin l’arte oratoria di Lincoln, come ha sottolineato Adam Gopnik nella sua doppia biografia, Il sogno di una vita. Lincoln e Darwin. L’avvocato del Kentucky, la cui elezione a presidente aveva innescato la secessione sudista, faceva dell’argomentazione giuridica il perno di quella che noi chiamiamo oggi «civiltà liberale» (di cui l’altro fondamento è l’impresa tecnico-scientifica).
....
Anche Lincoln è un eroe libertario alla Stuart Mill, reso ancor più umano da quella cognizione del dolore che lo accompagna per tutti i tormentati anni del conflitto. Questo tratto, a parte qualche inesattezza storica qua e là, è ben colto dallo stesso Spielberg: quando sul finire della guerra il presidente dell’Unione riceve la delegazione sudista alla ricerca del compromesso, guidata dal vicepresidente dei «ribelli» Alexander Stephens (ottimamente reso da Jackie Earle Haley nel film), si trova di fronte a uno dei quesiti chiave della democrazia: può la «città liberale» sopravvivere se proprio per salvarla si ricorre a una violenza che va oltre le garanzie democratiche? Non è stato questo il problema di molti presidenti americani costretti all’eccesso di forza e nel contempo consapevoli del carattere tragico di tutto ciò, per la causa stessa della libertà? Dal Truman di Hiroshima al Johnson del Vietnam, fino alle guerre di Obama oggi. L’attuale presidente degli Stati Uniti ha un credo politico che si riaggancia esplicitamente alle parole con cui Lincoln, sul campo di battaglia di Gettysburg, aveva giustificato tanto sangue affinché «il governo del popolo, attraverso il popolo, per il popolo non scomparisse dalla faccia della Terra». Obama avrebbe il diritto di citare anche un’altra battuta di Lincoln, ovvero l’elogio di tutti quegli «uomini neri i quali ricorderanno, quando sarà arrivata la pace, che in silenzio, denti serrati e occhio fermo, e con l’arma ben impugnata, hanno aiutato l’umanità» a raggiungere un maggior livello di giustizia e libertà.
Django di tutto il mondo, unitevi!
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