per fare un post lamentoso non ci vuole talento ma una semplice nevrosi.
i nevrotici si lamentano, sempre. oggi fa tutto schifo, il meglio, se mai arriverà, arriverà domani. ed è sempre domani.
i miei lamenti, perchè sono una nevrotica DOC, oggi si dispiegano sui ritardi, di orari e di mente.
la prassi sempre più consolidata vuole l'inizio degli spettacoli con un ritardo minimo di 15 minuti.
ma, volendo, con un po' di sana passione per l'argomento. arriviamo tranquillamente ai 20 o addirittura ai 30.
al Base, e non mi fregano più, il ritardo di 30 minuti dei pessimi concerti di musica che propinano è assolutamente standard. il primo: un concerto del Delvon Lamarr Organ Trio, a luglio 2019, davvero al minimo sindacale poi riproposto a jazz mi adesso, a novembre, iniziato con 30 e passa minuti di ritardo in cui mi sono anche ritrovata inondata dalla birra del mio vicino posteriore di fila. e vabbè. l'ultimo, una vera boiata pazzesca, è un concerto di presunta musica jazz di una bruttezza innominabile, di un'orchestra che rilegge, crede di rileggere, Birth of the Cool, capolavoro del cool jazz di fine anni 40, in cui Miles Davis esegue alcuni suoi brani bebop originali ma arrangiati per orchestra da Gil Evans. sul palco dell'agonia Biagio Coppa & The Flight Band Project. un concerto così straziante non l'ho sentito mai e l'inizio, con 35 minuti secchi di ritardo, mi è sembrato, a posteriori, un insulto ancora più imperdonabile.
ma si può andare anche a un teatrino di periferia, detto Altaluce Teatro, sull'Alzaia Naviglio Grande, un sabato sera immerso nella nebbia per ascoltare l'amata Fracassi che legge il diario di Etty Hillesum, per attendere per ben 20 minuti che i boriosi amici della padrona di casa si degnassero di arrivare a teatro, come fossero ad una cena privata, e si decidessero, una volta arrivati, di sedersi su sedie di una scomodità sconcertante ma non in muto silenzio vergognadosi di fare di un luogo per tutti, in cui però si paga, la depandance di un salottino privato privè quanto piuttosto attardandosi in spocchiosi convenevoli piccolo borghesi della peggior specie in sfregio totale di quelli che sono arrivati in orario pensando che si trattasse di un posto serio.
non parliamo poi, nella fattispecie, della conferenza a fine spettacolo di un non chiaro personaggio psicologo? agopunturista? boh, che mi e ci ha propinato la spiega dello spettacolo, inquinando irimediabilmente l'intensità emotiva della serata che esigeva un rigoroso silenzio interiore e che ha determinato l'evanescenza immediata, condita da incommensurabile fastidio, del mistero del teatro e della magia dell'incanto che si crea tra pubblico e attore.
uno strazio.
finisco lamentandomi della visita alla Biblioteca Ambrosiana per la mostra di Marina Abramovic.
un titolo che già dice molto e dovrebbe dare qualche indicazione a chi paga 12 euro di biglietto. non poco.
l’esposizione, curata da Casa Testori, presenta il ciclo di video “The Kitchen. Homage to Saint Therese”, con cui l’artista, che ha rivoluzionato il mondo della performance art in un modo ben noto a tutti, si relaziona con Santa Teresa d’Avila, una delle più importanti figure mistiche del cattolicesimo. l’opera si compone di tre video, che documentano altrettante performance tenute nel 2009 dall’artista nell’ex convento di La Laboral a Gijón.
ovviamente, trattandosi di Marina Abramovic, e trattandosi di estasi, è richiesta pazienza.
contatto con il divino.
ascensione
arte dell'attesa
della contemplazione, della meditazione, della conta dei minuti che passano.
dello scandire del tempo e della minuta variazione delle cose, che, comunque, variano, anche solo perchè respiriamo.
la gente, ma perchè?, invece entra nello spazio espositivo dopo il salato biglietto e, ma perche?, si ferma meno di un minuto, che dico, qualche secondo, davanti ai video.
una volta lì, gira, ma perchè?, ad una velocità insensata, passando, ma perchè?, da una sala all'altra in preda, ma perchè, ad un'insana milanese acefala frenesia, senza capire, lo dico, un cazzo.
ogni video richiede tempo.
e respiro.
e percezione del tempo.
e certezza del non senso.
altrimenti
perchè
sei
andato
a
vedere
un
mostra
su
Marina
Abramovic?
fine del nevrotico lamento
amen.
l’esposizione, curata da Casa Testori, presenta il ciclo di video “The Kitchen. Homage to Saint Therese”, con cui l’artista, che ha rivoluzionato il mondo della performance art in un modo ben noto a tutti, si relaziona con Santa Teresa d’Avila, una delle più importanti figure mistiche del cattolicesimo. l’opera si compone di tre video, che documentano altrettante performance tenute nel 2009 dall’artista nell’ex convento di La Laboral a Gijón.
ovviamente, trattandosi di Marina Abramovic, e trattandosi di estasi, è richiesta pazienza.
contatto con il divino.
ascensione
arte dell'attesa
della contemplazione, della meditazione, della conta dei minuti che passano.
dello scandire del tempo e della minuta variazione delle cose, che, comunque, variano, anche solo perchè respiriamo.
la gente, ma perchè?, invece entra nello spazio espositivo dopo il salato biglietto e, ma perche?, si ferma meno di un minuto, che dico, qualche secondo, davanti ai video.
una volta lì, gira, ma perchè?, ad una velocità insensata, passando, ma perchè?, da una sala all'altra in preda, ma perchè, ad un'insana milanese acefala frenesia, senza capire, lo dico, un cazzo.
ogni video richiede tempo.
e respiro.
e percezione del tempo.
e certezza del non senso.
altrimenti
perchè
sei
andato
a
vedere
un
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su
Marina
Abramovic?
fine del nevrotico lamento
amen.
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