bianco e nero

come una foto. in bianco e nero. nessuna concessione al colore, alla spettacolarita', ai nuovi barbari. bianco e nero colori vividi dell'essenziale, solo l'autenticita' della forma. della sostanza. l'occhio vede e non si inganna.
"questo e' il mio segreto.
veramente semplice.
si vede bene solo con il cuore.
L'essenziale e' invisibile agli occhi."
Il piccolo principe. A.d.S-E.

venerdì 25 ottobre 2019

quanto più è dura l'oppressione, tanto più è diffusa tra gi oppressi la disponibilità a collaborare con il potere

ho visto Se questo è un uomo, al Parenti, regia e interpretazione di Valter Malosti, scenografia di Margherita Palli.
non mi è piaciuto, direi di no.
non ho condiviso il tono rabbioso di Malosti.
non c'è rabbia in Levi, non è la sua modulazione.
la sua è una quieta e ferma disperazione.
non ho ritrovato il messaggio di Levi.
la sua è una valutazione filosofica dell'uomo, quello che emerge da questo libro, e forse ancora di più, ne I sommersi e i salvati , è una constatazione sull'uomo che non ci da molta speranza.
nella condizione strema del lager quello che è emerge è che nell'uomo c'è qualcosa di guasto.
c'è una predisposizione - individuabile nella "zona grigia"- alla corruzione interna che è immedicabile, inguaribile, ineliminabile. e non stiamo parlando dei carnefici, parliamo delle vittime.
il lager, nella sua perfetta macchinazione verte non tanto alla distruzione di massa, quanto piuttosto alla desertificazione dell'uomo, alla sua nullificazione. è questo il vero ideale del nazismo, che ha constatao Levi: il lager si costruisce come un dispositivo infallibile, in ogni sua manifestazione e declinazione, per condurre l'uomo all'estremo limite dell'umanità, all'eviscerazione del nocciolo.
e chi ha manifestato umanità è morto, chi è sopravvissuto ha certamente messo in atto alleanze con il male. senza scampo, vivere o morire, in entrambi i casi l'uomo ne esce senza speranza, annientato.
nulla ti tutto questo emerge nello spettacolo che si limita a una narrazione sopra le righe dell'esperienza concentrazionaria.



  • E' ingenuo, assurdo e storicamente falso ritenere che un sistema infero, qual era il nazionalsocialismo, santifichi le sue vittime: al contrario, esso le degrada, le assimila a sé, e ciò è tanto più quanto più esse sono disponibili, bianche, prive di un'ossatura politica o morale. Da molti segni, pare che sia giunto il tempo di esplorare lo spazio che separa (non solo nei Lager nazisti!) le vittime dai persecutori. (p. 27)
  • In secondo luogo, ed a contrasto con una certa stilizzazione agiografica e retorica, quanto più è dura l'oppressione, tanto più è diffusa tra gi oppressi la disponibilità a collaborare con il potere. (p. 30)
  • Chi diventava Kapo? Occorre ancora una volta distinguere. In primo luogo, coloro a cui la possibilità veniva offerta, e cioè gli individui in cui il comandante del Lager o i suoi delegati (che spesso erano buoni psicologi) intravedevano la potenzialità del collaboratore: rei comuni tratti dalle carceri, […] Ma molti, come accennato, aspiravano al potere spontaneamente: lo cercavano i sadici […]. Lo cercavano i frustrati […] Lo cercavano, infine, i molti fra gli oppressi che subivano il contagio degli oppressori e tendevano inconsciamente ad identificarsi con loro. (p. 33)
  • Non so, e non mi interessa sapere, se nel mio profondo si annidi un assassino, ma so che vittima incolpevole sono stato ed assassino no; so che gli assassini sono esistiti, non solo in Germania, e ancora esistono, e che confonderli con le loro vittime è una malattia morale o un vezzo estetistico o un sinistro segnale di complicità; soprattutto, è un prezioso servigio reso (volutamente o no) ai negatori della verità. […] Rimane vero che, in Lager e fuori, esistono persone grigie, ambigue, pronte al compromesso. La tensione estrema del Lager tende ad accrescerne la schiera. (p. 35)
  • La vergogna che i tedeschi non conobbero, quella che il giusto prova davanti alla colpa commessa da altrui, e gli rimorde che esista, che sia stata introdotta irrevocabilmente nel mondo delle cose che esistono, e che la sua volontà sia stata nulla o scarsa, e non abbia valso a difesa. (p. 55)
  • I "salvati" del Lager non erano i migliori, i predestinati al bene, i latori di un messaggio: quanto io avevo visto e vissuto dimostrava l'esatto contrario. Sopravvivevano di preferenza i peggiori, gli egoisti, i violenti, gli insensibili, i collaboratori della "zona grigia", le spie. Non era una regola certa (non c'erano, né ci sono nelle cose umane, regole certe), ma era pure una regola. Mi sentivo sì innocente, ma intruppato tra i salvati, e perciò alla ricerca permanente di una giustificazione, davanti agli occhi miei e degli altri. Sopravvivevano i peggiori, cioè i più adatti; i migliori sono morti tutti. (p. 63)
  • 3 commenti:

    Unknown ha detto...

    Grazie Rouge

    Rossa ha detto...

    ma sei corte sconta? risulti come uno "sconosciuto"...

    Unknown ha detto...

    leggo solo ora.. sì Rouge sono io, non so perché unknown, anche se in fondo lo sono;ti leggo sempre con interesse e con la maggior apertura mentale di cui dispongo.
    un abbraccio, prima della classe.. (esente da ironia)