Nel Medio Oriente e sul Caucaso, in Asia e nelle Afriche degli esili, lungo i confini d’Europa, sotto i nostri occhi sta scomparendo la ricchezza della complessità, in quelle terre dove per millenni le genti hanno condiviso i santi, i gesti, i simboli, i miti, i canti, gli dei. I cristiani del Pakistan, i maestri sufi d’Etiopia e Iran, gli sciamani afghani, gli ultimi pagani del Hindu Kush e degli Urali, i nomadi tibetani, le sette gnostiche dei monti Zagros. Le ultime oasi d’incontro tra fedi, zone franche assediate dai fanatismi armati, patrie perdute dei fuggiaschi di oggi.
Luoghi dove gli dei parlano spesso la stessa lingua franca, e dove, dietro ai monoteismi, appaiono segni, presenze, gesti, danze, sguardi.
Ho viaggiato tra i confini spirituali, nei crocevia dei regni dimenticati, dove scintillano le fedi e le tradizioni dei più deboli ed indifesi, con la loro resistenza fragile ed inerme, la loro capacità al dialogo e all’incontro. In cammino con i nomadi, minoranze in fuga, pellegrini, cercando il bello anche nei luoghi più tremendi. La solidarietà nella guerra. La coabitazione tra fedi laddove si mettono bombe. Le crepe nella teoria del cosiddetto scontro di civiltà, dove gli dei sembrano in guerra tra di loro, evocati da presidenti, terroristi e banditi.
Al centro è il corpo. Chiave di volta e pomo della discordia nelle religioni. Iniziato e benedetto, svelato e coperto, temuto e represso, protetto e giudicato, intoccabile e impuro, intrappolato nella violenza che genera violenza, corpo-reliquia, corpo martire, corpo-trappola, corpo-bomba. Mi piace pensare il corpo come un tempio. Il corpo che contiene il segreto della memoria collettiva. Il corpo che non mente. Il sacro passa attraverso il corpo. Lo trafigge. Nell’arcaicità dei gesti, si legge la saggezza arcana del popolo, la ricerca della liberazione attraverso l’uso sapiente dei sensi.
Monica Bulaj
(buona parte delle brutte foto riportate sono mie foto delle foto, ma non sono altrimenti reperibili)
non so dire che effetto mi abbia fatto la giornta di ieri a Lodi, al festival della Fotografia Etica.
erano anni che volevo andarci, e in fondo non era difficile.
è stato esaltante, una giorna tra dolore e sorpresa.
mi inginocchio al talento di Monika Bulaj, a lei era dedicata una personale, in una chiesa sconsacrata.
e di sacro si tratta. Bulaj tratta il soggetto della foto, la foto, lo sguardo, il corpo e la sua storia al pari di un libro sacro, di una bibbia.
difficile conciliare l'estasi della sua bravura con il contesto delle foto, sebbene i suoi soggetti non siano sofferenti, come tutti quelli invece ritratti nelle altre mostre del festival, da uscirne storditi.
forse gliene sono grata, il suo soggetto è sempre dignitoso, è l'uomo nella sua dimensione sacra, nel suo corpo sacro. lo stordimento che produce Bulaj è produttivo, stimola il pensiero, altrove si esce solo accasciati, stupefatti, in colpa.
avete due settimane, andate in pellegrinaggio a Lodi.
Nessun commento:
Posta un commento