E a un tratto si ricordò dell’uomo schiacciato al suo primo
incontro con Vronskij e capì quello che doveva fare.
Dopo essere scesa con passo veloce, leggero, per i gradini
che andavano verso le rotaie, si fermò accanto al
treno che le passava vicinissimo. Guardava la parte sottostante
dei carri, le viti e le catene e le ruote alte di ghisa
del primo carro che scivolava lento, e cercava di stabilire
con l’occhio il punto mediano fra le ruote anteriori
e le posteriori e il momento in cui questo punto mediano
sarebbe stato di fronte a lei.
“Là — si diceva, guardando nell’ombra del carro la sabbia
mista a carbone di cui erano sparse le traverse — là,
proprio nel mezzo, e lo punirò, e mi libererò da tutti e da
me stessa”.
Voleva cadere sotto il primo vagone che giungesse alla
sua altezza nel punto mediano; ma la sacca rossa che
aveva preso a togliere dal braccio, la trattenne, ed era
già tardi; il punto mediano le era passato accanto. Bisognava
aspettare il vagone seguente. Un sentimento simile
a quello che provava quando, facendo il bagno, si preparava
a entrar nell’acqua, la prese, ed ella si fece il segno
della croce. Il gesto abituale della croce suscitò nell’anima
sua tutta una serie di ricordi verginali e infantili,
e a un tratto l’oscurità che per lei copriva tutto si lacerò,
e la vita le apparve per un attimo con tutte le sue luminose
gioie passate. Ma ella non staccava gli occhi dalle
ruote del secondo vagone che si avvicinava. E proprio
nel momento in cui il punto mediano fra le ruote giunse
alla sua altezza, ella gettò indietro la sacca rosso, ritirò
la testa fra le spalle, cadde sulle mani sotto il vagone
e con movimento leggero, quasi preparandosi a rialzarsi
subito, si lasciò andare in ginocchio. E in quell’attimo
stesso inorridì di quello che faceva. “Dove sono?
che faccio? perché?”. Voleva sollevarsi, ripiegarsi all’indietro,
ma qualcosa di enorme, di inesorabile la colpì alla testa e la trascinò per la schiena. “Signore, perdonami
tutto!” ella disse, sentendo l’impossibilità della
lotta. Un contadino, dicendo qualcosa, lavorava su del
ferro. E la candela, alla cui luce aveva letto il libro pieno
di ansie e di inganni, di dolore e di male, avvampò di
una luce più viva che mai, le schiarì tutto quello che prima
era nelle tenebre, crepitò, prese ad oscurarsi e si
spense per sempre.
continuo a pensare alla dinamica del suicidio di Anna e cerco di immaginarmela. non capisco tutti i passi e faccio fatica a visualizzare la scena. non so pechè qualcosa mi si oscura nel cervello e perdo la lucidità per capire. questo passo è pieno di dettagli inquietanti, come la sacca rossa, il contadino che lavora sul ferro (soggetto presente negli incubi di Anna che presagise la tragedia) e la candela che si spegne (riferimento a un passo i cui Anna pensa “Sì, mi agita molto, e la ragione è data per liberarsene;
perciò bisogna liberarsene. E perché non spegnere la
candela, quando non c’è più nulla da guardare, quando
fa ribrezzo guardare tutto? Ma come? Perché questo capotreno
è passato di corsa sulla traversa? perché gridano
quei giovani, in quello scompartimento? Perché parlano,
perché ridono? Tutto è menzogna, tutto inganno, tutto
malvagità...”.).
leggo e rileggo, ascolto all'audiolibro, e qualcosa mi sfugge e mi inquieta. Anna muore per vendetta, sapendo, e godendo, e sperando che lui soffrirà, verrà punito, e si pentirà del male che, lei pensa, lui le ha fatto. ciò che Anna desidera è una dedizione assoluta che preveda solo il suo nome scritto nella mente dell'altro, auspica un possedimento completo dell'altro: lei deve essere l'unico motivo di vita dell'altro, e niente di meno è accettabile, e per avere questo assoluto è disposta a perdere la sua vita, dimentica che poi non ne potrà godere. la passione senza velo, che alza il velo dell'impossibile, è solo l'anticamera della morte.
questo libro, nei passi su Anna rasenta davvero l'assoluto, nulla può andare più vicino alla narrazione dell'eros che si fonde con la morte di questo romanzo.
mi inquieta che nulla di simile si possa mai più scrivere, ma almeno una volta è stato scritto.
leggo e rileggo, ascolto all'audiolibro, e qualcosa mi sfugge e mi inquieta. Anna muore per vendetta, sapendo, e godendo, e sperando che lui soffrirà, verrà punito, e si pentirà del male che, lei pensa, lui le ha fatto. ciò che Anna desidera è una dedizione assoluta che preveda solo il suo nome scritto nella mente dell'altro, auspica un possedimento completo dell'altro: lei deve essere l'unico motivo di vita dell'altro, e niente di meno è accettabile, e per avere questo assoluto è disposta a perdere la sua vita, dimentica che poi non ne potrà godere. la passione senza velo, che alza il velo dell'impossibile, è solo l'anticamera della morte.
questo libro, nei passi su Anna rasenta davvero l'assoluto, nulla può andare più vicino alla narrazione dell'eros che si fonde con la morte di questo romanzo.
mi inquieta che nulla di simile si possa mai più scrivere, ma almeno una volta è stato scritto.
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