la morte
Mentre il prete leggeva la preghiera, il morente non dava alcun segno di vita; gli occhi erano chiusi. Levin, Kitty e Mar’ja Nikolaevna stavano in piedi accanto al letto.
Mentre il prete leggeva la preghiera, il morente non dava alcun segno di vita; gli occhi erano chiusi. Levin, Kitty e Mar’ja Nikolaevna stavano in piedi accanto al letto.
Il prete non aveva ancora finito di leggere, che il
morente si stirò, sospirò e aprì gli occhi. Il prete, finita
la preghiera, appoggiò sulla fronte fredda la croce, poi
la ravvolse lentamente nella stola e, dopo aver sostato
ancora due minuti in silenzio, toccò la mano enorme, divenuta
fredda ed esangue.
— È finito — disse il prete e voleva andar via; ma improvvisamente i baffi sottili del morente si mossero, e
con chiarezza nel silenzio, emessi dal profondo del petto,
si sentirono i suoni netti e precisi:
— Non del tutto.... Presto.
Dopo un istante il viso si rischiarò, sotto i baffi apparve
un sorriso, e le donne, raccoltesi, si diedero a vestire il
morto, affaccendandosi.
La vista del fratello e la presenza della morte rinnovarono
nell’animo di Levin quel senso di paura dinanzi all’inesplicabile
inevitabilità della morte, che lo aveva sconvolto
quella sera d’autunno, quando il fratello era giunto
da lui. Questo senso, adesso, era ancora più forte; ancora
meno di prima egli si sentiva in grado di capire il senso
della morte, e ancora più terribile gliene appariva l’inevitabilità;
ma ora, grazie alla vicinanza della moglie,
questo senso non lo gettava nella disperazione: malgrado
la morte, egli sentiva la necessità di vivere e di amare.
Sentiva che l’amore lo salvava dalla disperazione e
che l’amore, sotto la minaccia della disperazione, diveniva
ancora più forte e puro.
Dinanzi ai suoi occhi si era appena compiuto un mistero
di morte, rimasto sempre inesplicabile, che ne sorgeva
un altro, altrettanto inesplicabile, che richiamava all’amore
e alla vita.
Il medico confermò le sue supposizioni riguardo a Kitty.
Il suo malessere era dovuto alla gravidanza.
la nascita
Fuori di sé, entrò di corsa nella stanza da letto. La prima
cosa che vide fu il viso di Lizaveta Petrovna. Esso era
ancora più agitato e più severo. Il viso di Kitty non c’era
più. Nel posto dov’era prima, c’era qualcosa di mostruoso
e per l’aspetto di tensione e per il suono che ne usciva.
Egli cadde con la testa sul legno del letto, sentendo
che il cuore gli si spezzava. L’orribile grido non finiva,
s’era fatto ancora più orribile, ma poi, come se fosse
giunto al limite estremo dell’orrore, si calmò a un tratto.
Levin non credeva al proprio udito, ma non si poteva
dubitare: il grido s’era calmato e si sentiva un silenzioso
affaccendarsi, un fruscio, un respirare ansioso, e la voce
di lei felice e affannata, viva e tenera che pronunciava
piano: “È finito”.
Egli sollevò il capo. Abbassate sulla coperta le braccia
senza forza, straordinariamente bella e calma, ella lo
guardava senza parole e voleva, ma non poteva sorridere.
E a un tratto da quel mondo misterioso e orribile, estraneo,
in cui aveva vissuto in quelle ventidue ore, Levin si
sentì trasportato in un attimo nel mondo solito di prima,
ma splendente, adesso, d’una tale luce nuova di felicità,
ch’egli non la sopportò. Le corde tese si strapparono tutte.
Singhiozzi e lacrime di gioia, ch’egli non aveva in
nessun modo preveduto, si sollevarono in lui con una
forza tale, agitando tutto il suo corpo, che per lungo
tempo gli impedirono di parlare.
Caduto in ginocchio davanti al letto, egli teneva dinanzi
alle labbra la mano della moglie e la baciava, e questa
mano con un debole movimento delle dita rispondeva ai
suoi baci. E intanto, là, ai piedi del letto, nelle abili mani
di Lizaveta Petrovna, come la fiammella d’una lampada,
oscillava la vita d’un essere umano che prima non c’era
mai stato e che avrebbe vissuto e creato degli altri esseri
nello stesso modo, con lo stesso diritto, con la stessa importanza
di sé.
— Vivo! vivo! È pure un maschio! Non vi agitate! —
Levin sentì la voce di Lizaveta Petrovna, che batteva
con la mano tremante la schiena del bambino.
— Mamma, è vero? — disse la voce di Kitty.
Le risposero
i singhiozzi della principessa.
E in mezzo al silenzio, come una risposta indubitabile
alla domanda della madre, si sentì una voce affatto diversa
da tutte le voci che parlavano nella camera. Era il
grido ardito, temerario, che non voleva considerare nulla,
d’un nuovo essere umano, che non si capiva donde
fosse venuto fuori.
Prima, se avessero detto a Levin che Kitty era morta e
che lui era morto insieme con lei, e che avevano per
bambini gli angeli, e che Dio era lì dinanzi a loro, non si
sarebbe stupito di nulla; ma adesso, tornato nel mondo
della realtà, faceva grandi sforzi per capire ch’ella era
viva, sana e che l’essere che strideva in modo così disperato
era suo figlio. Kitty era viva, le sofferenze erano
finite. Ed egli era inesprimibilmente felice. Questo lo
capiva e ne era pienamente soddisfatto. Ma il bambino?
Donde veniva, perché, chi era? Non poteva in nessun
modo abituarsi a questo pensiero. Gli sembrava qualcosa
di superfluo, una sovrabbondanza a cui per lungo
tempo non poté abituarsi.
...
Quello ch’egli provava per quel piccolo essere era proprio
tutt’altra cosa da quello che si aspettava. Non c’era
nulla di allegro e di gioioso in questo sentimento; al
contrario, un nuovo senso di paura. Era la coscienza di
un nuovo campo di vulnerabilità. E questa coscienza era
così tormentosa nei primi tempi, il terrore che quell’essere
impotente soffrisse era così forte, che proprio per
questo non avvertiva lo strano sentimento di spensierata
gioia e perfino di orgoglio ch’egli aveva provato proprio
nel momento in cui il bambino aveva starnutito.
(Anna Karenina, Lev Tolstoj)
la morte, la vita, l'inizio e la fine del nulla.
2 commenti:
Eh, i classici!
A ogni rilettura si comprende e si prova sempre qualcosa di più e di nuovo.
Un saluto.
Marco
hai ragione, hai veramente ragione. per certi aspetti lo leggo ora per la prima volta. magari lo rileggerò ancora.
Posta un commento