Io sono un testimone, la mia testimonianza sono le mie fotografie. Voglio che siano potenti ed eloquenti, oneste e senza censure, voglio che riflettano l’esperienza delle persone che sto fotografando. Quando qualcuno soffre non significa che non abbia dignità, anzi, sopportare la sofferenza può essere una forma elevata di dignità. Avere paura non significa mancare di coraggio, anzi, superare la paura è la definizione stessa di coraggio. La speranza è diversa dalla pia illusione, che non richiede sforzo ma è fatta di sacrificio e perseveranza.
Ogni singola fotografia di questa mostra è un frammento della mia memoria catturato lungo il continuum della storia che ho vissuto. Ogni immagine è stata scattata con lo scopo di raggiungere un vasto pubblico all’epoca in cui gli eventi ritratti hanno avuto luogo per scuoterne la coscienza ed essere un contributo tra tanti al cambiamento. ... Condividere questi ricordi ci rende tutti testimoni. Non dimentichiamo.
Scrive Wim Wenders (Laudatio per J. Nachtwey ,Dresda, 2012):
Se lui si fa testimone, partecipe, non richiama anche noi alla condizione di testimoni? Se così è, allora, James Nachtwey fa delle persone fotografate e di noi una comunità, cui non possiamo sottrarci tanto facilmente. […] E se si spinge così vicino alla guerra, lo fa al nostro posto, per costringerci a guardare, e quasi offrendosi alle vittime, come un testimone oculare, che cerca di deporre in loro favore e di smentire così la guerra e la sua propaganda.
Dovremmo smettere di definirlo un “fotografo di guerra”.
Bisogna vedere in lui un uomo di pace, uno che per desiderio di pace va in guerra e si espone…per creare la pace, partendo da un odio sconfinato per la guerra e da un amore sconfinato per gli esseri umani.
Se le tue fotografie non sono buone, vuole dire che non sei abbastanza vicino, diceva Robert Capa.
quelle di James Nachtwey (mostra a Palazzo Reale, Memoria) sono abbastanza vicine.
anche troppo, per chiunque.
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