Scrivere di musica è come danzare di architettura», dice una massima di volta in volta attribuita a Frank Zappa, a Elvis Costello, a Thelonious Monk. Ma persino il parlare, di musica classica, è un’attività stramba. Perché la musica, quella di Beethoven, di Mahler o di Arvo Pärt, ha una socialità timida, ritrosa: non appena si manifesta, scompare. Ed è terribilmente difficile rievocarla.
Pensate, per contrasto, a quanto accade con la lettura. È un’attività intima, solitaria. Non la si pratica collettivamente. Anche quando ci si ritrova in luoghi appositi — che sia la sala di una biblioteca o una stanza matrimoniale, prima di addormentarsi — ognuno legge un proprio libro, una propria storia. Di quel libro, di quella storia, è però poi facile parlare, ed esprimiamo opinioni, formuliamo idee, consigli, discutiamo con gli amici, teniamo vive cene conviviali evocando questo o quel titolo. Ognuno letto, naturalmente, in privato.
Con la musica classica, invece, accade il contrario. La ascoltiamo in gruppo, persino in massa, affollando sale da concerto insieme ad altre centinaia di persone, che spesso sono a noi care, vicine, magari affra- tellate proprio dalla frequentazione ripetuta di quei luoghi, di quel repertorio. Eppure, quando usciamo di lì, quando l’emozione che abbiamo collettivamente provato si dissolve, i discorsi svaporano, si perdono. E, naturalmente, non va meglio con i dischi, o con un concerto visto in tv: sul momento grondiamo di felicità, di brividi, del desiderio di condividere, almeno a parole, ciò che abbiamo provato; ma poi, quando ci ritroviamo con gli altri, ogni possibile discorso sulla musica svanisce, irrimediabilmente. Racconteremo a chi ci sta di fronte i libri letti quest’estate, magari persino le mostre visitate, ma ci guarderemo bene dal provare a coinvolgerlo nel ricordo di un Allegretto, nel confronto tra due pianisti, nell’illuminazione che ci ha colto davanti alla partitura appena stesa da un compositore vivente. Non sapremmo come farlo. E le delusioni che abbiamo provato in passato, quando abbiamo tentato di tradurre quella pelle d’oca in parole, ci sconsigliano persino di provarci.
Così, una volta di più, ci ritroviamo a pensare che la musica classica sia come una camminata in montagna: puoi suggerire a un amico un percorso ma non puoi trasferirgli ciò che solo le tue gambe hanno conosciuto. Ed è bello così.
Nicola Campogrande, La lettura 27/8/17
ha ragione Campogrande, direttore artistico, da due anni, del festival MiTo.
come condividere la gioia di un ascolto musicale?
io non lo so.
e visto che non lo sa nemmeno lui, mi tranquillizzo.
io mi esalto e quest'anno ne ho avuto ben donde, 12 concerti, tra pomeriggi e sere, me la sono goduta alla grande.
MiTo mi fa da scuola, imparo la musica da poco tempo, non ne ho avuta nessuna educazione giovanile, ma piano piano mi avvicino a questa gioia e ne sono emozionatissima.
non ne so, non so dire, ma certi brani, concerti, sinfonie, quintetti, anche quest'anno, mi hammo messo in grazia di dio.
Quattro paesaggi, La natura artificiale di Vivaldi, Nord, La fabbrica tra i ciliegi, Il giorno dei cori, L'origine del mondo, Fuoco, Tramonti scandinavi, Aria, Irlanda e Scozia, American landscapes, Tempeste, ecco qua, c'è da esserne sazi in tema di "Natura", il tema del festival di quest'anno.
Vivaldi mi è piaciuto moltissimo (in particolare il bis tratto dal Farnace), il quintetto per archi in do maggiore opera 29 di Beethoven, il concerto in re minore per due violini, archi e basso continuo di Bach, la quinta sinfonia in mi minore op.64 di Cajkovskij, e, sopra ogni cosa, il Trio in mi bemolle maggiore op.100 D.929 di Franz Schubert (la musica adottata da Kubrick in Barry Lindon per capirci).
https://youtu.be/e52IMaE-3As
Nicola Campogrande, La lettura 27/8/17
ha ragione Campogrande, direttore artistico, da due anni, del festival MiTo.
come condividere la gioia di un ascolto musicale?
io non lo so.
e visto che non lo sa nemmeno lui, mi tranquillizzo.
io mi esalto e quest'anno ne ho avuto ben donde, 12 concerti, tra pomeriggi e sere, me la sono goduta alla grande.
MiTo mi fa da scuola, imparo la musica da poco tempo, non ne ho avuta nessuna educazione giovanile, ma piano piano mi avvicino a questa gioia e ne sono emozionatissima.
non ne so, non so dire, ma certi brani, concerti, sinfonie, quintetti, anche quest'anno, mi hammo messo in grazia di dio.
Quattro paesaggi, La natura artificiale di Vivaldi, Nord, La fabbrica tra i ciliegi, Il giorno dei cori, L'origine del mondo, Fuoco, Tramonti scandinavi, Aria, Irlanda e Scozia, American landscapes, Tempeste, ecco qua, c'è da esserne sazi in tema di "Natura", il tema del festival di quest'anno.
Vivaldi mi è piaciuto moltissimo (in particolare il bis tratto dal Farnace), il quintetto per archi in do maggiore opera 29 di Beethoven, il concerto in re minore per due violini, archi e basso continuo di Bach, la quinta sinfonia in mi minore op.64 di Cajkovskij, e, sopra ogni cosa, il Trio in mi bemolle maggiore op.100 D.929 di Franz Schubert (la musica adottata da Kubrick in Barry Lindon per capirci).
https://youtu.be/e52IMaE-3As
certamente l'associazione con Barry Lindon, uno dei migliori film di sempre, conferisce al brano musicale fama e una connotazione figurativa forte, ma allora parliamo di Barry Lindon e non del trio di Schubert.
rimane l'inafferabilità narrativa della musica, quella sua fruizione immediata e irripetibile nella parola, d'altronde, "we live in minutes, and not in years".
rimane l'inafferabilità narrativa della musica, quella sua fruizione immediata e irripetibile nella parola, d'altronde, "we live in minutes, and not in years".
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