ho visto Mommy.
ho visto Noi siamo infinito.
ho visto Timbuktu.
tre bei film.
ho visto Unbroken.
di Angelina Jolie.
di Angelina Jolie.
film mediocre, una regia pessima.
non mi piacciono la ricchezza e la fama che tentano di tutto per affermarsi, per trasformarsi in bene, per motivarsi al di là di quello che sono. sono solo fama, soldi, potere, nessun gioco di prestigio, per favore, siamo seri. la Jolie è un'attrice mediocre ed è una pessima regista. ho visto nel film delle ingenuità che non mi hanno fatto tenerezza, mi hanno dato fastidio condite di una vena sadomaso di vecchia data, ora spettacolarizzata nel più intalentuoso dei modi. un compiacimento dozzinale, volgare. leggo che la signora Jolie, che si svena in giro con opere umanitarie, ed evidentemente con film di presunta denuncia, ha la casa piena di armi, sostenitrice convinta della National Rifle Association, evidentemente ci si intenerisce con il velo sui capelli e la faccia contrita davanti ai bambini africani malnutriti o ai siriani massacrati ma intanto ci si legittima di poter ammazzare chiunque si avvicini al perimetro di casa con cattive intenzioni. che dire poi se quelle armi fanno in casa USA stragi simili a quelle per cui si si mobilita davanti ai media con la faccia addolorata? si tratta solo di trovare la causa giusta da dare in pasto ai carnivori famelici, di ipnotizzare il pubblico con la posa adatta, nel contesto giusto, it's all right baby, isn't it? che vuoi farci, gli americani sono fatti così. tanto tanto liberali, tutto è possibile, tutto è garantito, it's ok.
la stessa operazione non funziona con i film, se non sei buona si vede. e si vede.
la stessa operazione non funziona con i film, se non sei buona si vede. e si vede.
Mommy, di Xavier Dolan, è un bel film, coglie bene, anzi benissimo quel legame che se diventa indissolubile crea tanta irrimediabile sofferenza tra madre e figlio. anche nel film nessuno sembra capire che quello è il problema, non l'ADHD, non l'autocontrollo, non il disturbo di personalità, non la comunità che contiene, piuttosto un vincolo d'amore che sfiora l'incesto, che è incesto, che non prevede, e non accetta, nessuna Legge che li divida, madre e figlio, e li condanna a una indissolubilità senza limite. un corpo si fonde nell'altro, non c'è separazione possibile. lo schermo è quadrato, l'immagine è ritagliata in una gabbia, la gabbia è quella dell'amore divorante.
Noi siamo infinito, di Stephen Chbosky, è pieno di vita e di speranza. è pieno delle note e parole di We can be Heroes. e l'ho visto pochi giorni dopo la scomparsa di Bowie, un certo effetto mi è scivolato lungo la schiena. di eroi si tratta, adolescenti che si fanno eroi per superare il loro faticosissimo quotidiano, ci dimentichiamo troppo spesso di quanto dolore comporta la crescita. poetico, asciutto, realista. la spinta verso infinito ideale si complica causa la radice reale che ci tiene legati alle nostre origini, ma la meta è quella, da adolescenti la meta è quella, l'infinito. poi, dopo, nella peggiore delle ipotesi, arrivare a fine giornata.
di Timbuktu, di Abderrahmane Sissako, temevo l'asprezza delle immagini, la violenza dello jihadismo, ma il film, invece, sa parlare bene, dentro alle cose, dentro al discorso, senza enfatizzare l'apocalisse.
i paesaggi africani dello sfondo inondano lo sguardo di meraviglia, così che il contrasto con la durezza di una legge senza senso diventa ancora più drammatico: bellezza violata, violentata. una famiglia viene spezzata dalla rabbia di un momento e tutto si srotola davanti agli occhi senza poter fermare il dolore della perdita. l'amore fa da sfondo, la comunità è il contesto e la lingua araba parlata dagli invasori è muta, non comunica, rimane senza traduzione possibile, è come la partita a calcio giocata senza pallone, scena memorabile. una testimonianza tutt'altro che sanguinaria ma di grandissima eleganza narrativa.
questo è cinema.
di Timbuktu, di Abderrahmane Sissako, temevo l'asprezza delle immagini, la violenza dello jihadismo, ma il film, invece, sa parlare bene, dentro alle cose, dentro al discorso, senza enfatizzare l'apocalisse.
i paesaggi africani dello sfondo inondano lo sguardo di meraviglia, così che il contrasto con la durezza di una legge senza senso diventa ancora più drammatico: bellezza violata, violentata. una famiglia viene spezzata dalla rabbia di un momento e tutto si srotola davanti agli occhi senza poter fermare il dolore della perdita. l'amore fa da sfondo, la comunità è il contesto e la lingua araba parlata dagli invasori è muta, non comunica, rimane senza traduzione possibile, è come la partita a calcio giocata senza pallone, scena memorabile. una testimonianza tutt'altro che sanguinaria ma di grandissima eleganza narrativa.
questo è cinema.
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