posso dire che L'opera al nero mi è piaciuto di più?
quel libro mi aveva dato i brividi, così oscuro, così alchemico, così cupo, così magico e tormentoso, così misterioso.
forse non è un buon modo per iniziare a parlare de Le memorie di Adriano di Marguerite Yourcenar, ma l'impatto del libro è stato meno potente rispetto all'altro, seppure questo libro abbia un grandissimo valore letterario.
a proposito degli dei acclamati da Alceo nella poesia che ho postato ieri, ecco un mondo, il primo mondo, la prima volta nel mondo, in cui gli dei perdono in potere e potenza e ancora Cristo non si è elevato a salvezza dell'umanità.
ecco l'uomo, solo, come accennava la stessa Yourcenar nei sui appunti sul libro, ritrovando questa frase nella corrispondenza di Flaubert: Quando gli dèi non c'erano più e Cristo non ancora, tra Cicerone e Marco Aurelio, c'è stato un momento unico in cui è esistito l'uomo, solo.
Scrive l'Adriano della Yourcenar:
Fu verso quell'epoca che cominciai a sentirmi dio. Non mi fraintendere: ero sempre, ero più che mai lo stesso uomo, nutrito dei frutti e degli animali della terra, che rende al suolo i resti dei suoi alimenti, sacrifica al sonno a ogni rivoluzione degli astri, irrequieto sino alla follia quando gli manca troppo a lungo la calda presenza dell'amore. La mia forza, la mia agilità fisica e mentale erano conservate accuratamente intatte, attraverso una ginnastica completamente umana. Ma che altro dirti, se non che tutto ciò io lo vivevo divinamente? Erano cessate le avventure temerarie della giovinezza, e quella urgenza di godere il tempo che passa. A quarantaquattro anni, mi sentivo senza impazienze, sicuro di me, perfetto quanto me lo consentiva la mia natura: eterno. E, comprendimi bene, si trattava d'un'ideazione dell'intelletto: i deliri, se devo assegnar loro questo nome, vennero più tardi. Ero dio, semplicemente, perché ero uomo. I titoli divini che la Grecia mi accordò in seguito non fecero che proclamare ciò che da te mi sarebbe stato possibile sentirmi dio anche nelle prigioni di Domiziano o nelle viscere d'una miniera. Se ho l'audacia di pretenderlo, vuol dire che questo sentimento mi appare assai poco straordinario, e per nulla raro. Anche altri, oltre che io stesso, l'hanno provato, o lo proveranno in avvenire.
bella scrittura, scrittura esemplare, scrittura di vita. vita di un imperatore di Roma, vita di Adriano, vita di un uomo, vita di tutti noi. l'universale si fa uomo.
Scrive l'Adriano della Yourcenar:
Fu verso quell'epoca che cominciai a sentirmi dio. Non mi fraintendere: ero sempre, ero più che mai lo stesso uomo, nutrito dei frutti e degli animali della terra, che rende al suolo i resti dei suoi alimenti, sacrifica al sonno a ogni rivoluzione degli astri, irrequieto sino alla follia quando gli manca troppo a lungo la calda presenza dell'amore. La mia forza, la mia agilità fisica e mentale erano conservate accuratamente intatte, attraverso una ginnastica completamente umana. Ma che altro dirti, se non che tutto ciò io lo vivevo divinamente? Erano cessate le avventure temerarie della giovinezza, e quella urgenza di godere il tempo che passa. A quarantaquattro anni, mi sentivo senza impazienze, sicuro di me, perfetto quanto me lo consentiva la mia natura: eterno. E, comprendimi bene, si trattava d'un'ideazione dell'intelletto: i deliri, se devo assegnar loro questo nome, vennero più tardi. Ero dio, semplicemente, perché ero uomo. I titoli divini che la Grecia mi accordò in seguito non fecero che proclamare ciò che da te mi sarebbe stato possibile sentirmi dio anche nelle prigioni di Domiziano o nelle viscere d'una miniera. Se ho l'audacia di pretenderlo, vuol dire che questo sentimento mi appare assai poco straordinario, e per nulla raro. Anche altri, oltre che io stesso, l'hanno provato, o lo proveranno in avvenire.
e Adriano è un uomo, di potere, grande, grandissimo nelle cose di stato, e piccolo o piccolissimo, come tutti, nelle cose della vita. un uomo, amante dell'arte e delle grandi opere, della natura e del mistero, pacificatore e conquistatore, equo ma anche spietato, amato, anche venerato, e molto solo.
la pagine più belle sono quelle sull'amore e quelle sulla morte, ovvero quelle sulla solitudine dell'uomo, anche di un uomo come l'Imperatore Adriano, davanti alle grandi questioni della vita.
Di tutti i nostri giochi, questo [l'amore] è il solo che
rischi di sconvolgere l'anima, il solo altresì nel quale chi vi partecipa deve abbandonarsi al delirio dei sensi. Non è necessario per un bevitore abdicare all'uso
della ragione, ma l'innamorato che conservi la sua non obbedisce fino in fondo al suo
demone. In qualsiasi altro caso, l'astinenza o la sregolatezza non impegnano che
l'individuo; ogni atto sensuale ci pone in presenza dell'ALTRO, ci coinvolge
nelle esigenze e nelle servitù della scelta. Non ne conosco altre ove l'uomo sia spinto
a risolversi da motivi più elementari e ineluttabili, ove l'oggetto della scelta venga
valutato con maggiore esattezza per il peso di piaceri che offre, ove chi ama il vero
abbia maggiori possibilità di giudicare la creatura umana nella sua nudità. Stupisco
nel veder formarsi di nuovo ogni volta - nonostante un abbandono che tanto eguaglia
quello della morte, un'umiltà che supera quella della sconfitta e della preghiera - quel
complesso di dinieghi, di responsabilità, di promesse: povere confessioni, fragili
menzogne, compromessi appassionati tra i nostri piaceri e quelli dell'ALTRO, legami
che sembra impossibile infrangere e che pure si sciolgono così rapidamente. Questo
gioco misterioso che va dall'amore di un corpo all'amore d'un essere umano, m'è
sembrato tanto bello da consacrarvi tutta una parte della mia vita. Le parole
ingannano: la parola piacere, infatti, nasconde realtà contraddittorie, implica al tempo
stesso i concetti di calore, di dolcezza, d'intimità dei corpi, e quelli di violenza,
d'agonia, di grida. La piccola frase oscena di Poseidonio - che t'ho visto ricopiare sul
tuo quaderno di scuola con una diligenza da primo della classe - a proposito
dell'attrito di due piccole parti di carne, non definisce il fenomeno dell'amore, così
come la corda toccata dal dito non rende conto del miracolo infinito dei suoni. Più
ancora che alla voluttà, essa reca ingiuria alla carne, a questo strumento di muscoli,
di sangue, di epidermide, a questa rossa nube di cui l'anima è la folgore.
parte mia un maggior silenzio.
Dice l'autrice: non ho tardato molto ad accorgermi che scrivevo la vita d'un grand'uomo; e di conseguenza, un maggior rispetto della verità, un maggiore attenzione, e, da parte mia un maggior silenzio. In un certo senso, ogni vita raccontata è esemplare; si scrive per attaccare o per difendere un sistema del mondo, per definire un metodo che ci è proprio. Ma non è meno vero che le biografie in genere si squalificano per una idealizzazione o una denigrazione a qualunque costo, per particolari esagerati senza fine o prudentemente omessi; anziché comprendere un essere umano, lo si costruisce. Non perder mai di vista il grafico di una esistenza umana, che non si compone mai, checché si dica, d'una orizzontale e di due perpendicolari, ma piuttosto di tre linee sinuose prolungate all'infinito, ravvicinate e divergenti senza posa: che corrispondono a ciò che un uomo ha creduto di essere, a ciò che ha voluto essere, a ciò che è stato.
come per l'Opera al nero, la parte del libro che si avvicina e arriva a toccare il mistero della morte è particolarmente toccante, vera, autentica, sorprendente. la Yourcenar, come altri pochi scrittori, scrive senza avere paura.
Sono quel che ero: muoio senza mutarmi. A
prima vista, l'adusto fanciullo dei giardini
di Spagna, l'ufficiale ambizioso che rientra
nella tenda scrollandosi dalle
spalle i fiocchi di neve,
sembrano tanto cancellati
quanto lo sarò io dopo che sarò
passato attraverso il rogo; ma
essi son qui; io ne sono
inseparabile. L'uomo che ha urlato sul petto d'un morto continua a gemere in un
angolo di me stesso, a onta della calma più e meno che umana alla quale partecipo
già; il viaggiatore racchiuso nel corpo del malato ormai sedentario per sempre
s'interessa alla morte perché
essa rappresenta una partenza. Quella forza ch'io fui
sembra capace ancora di animare parecchie a
ltre vite, di sollevare dei mondi. Se, per
miracolo, qualche secolo venisse aggiunto ai
pochi giorni che mi
restano, rifarei le
stesse cose, persino gli stessi errori, frequent
erei gli stessi Olimpi e i medesimi Inferi.
Una constatazione simile è un argomento ec
cellente in favore dell'
utilità della morte,
ma nello stesso tempo m'ispira dubb
i sulla totale efficacia di essa.
...
Piccola anima smarrita e soave, compagna
e ospite del corpo, ora t'appresti a
scendere in luoghi incolori, ardui e spogli,
ove non avrai più gli
svaghi consueti. Un
istante ancora, guardiamo insieme le rive familiari, le cose che certamente non
vedremo mai più... Cerchiamo d'en
trare nella morte a occhi aperti.. Dice l'autrice: non ho tardato molto ad accorgermi che scrivevo la vita d'un grand'uomo; e di conseguenza, un maggior rispetto della verità, un maggiore attenzione, e, da parte mia un maggior silenzio. In un certo senso, ogni vita raccontata è esemplare; si scrive per attaccare o per difendere un sistema del mondo, per definire un metodo che ci è proprio. Ma non è meno vero che le biografie in genere si squalificano per una idealizzazione o una denigrazione a qualunque costo, per particolari esagerati senza fine o prudentemente omessi; anziché comprendere un essere umano, lo si costruisce. Non perder mai di vista il grafico di una esistenza umana, che non si compone mai, checché si dica, d'una orizzontale e di due perpendicolari, ma piuttosto di tre linee sinuose prolungate all'infinito, ravvicinate e divergenti senza posa: che corrispondono a ciò che un uomo ha creduto di essere, a ciò che ha voluto essere, a ciò che è stato.
TRAHIT SUA QUEMQUE VOLUPTAS: ciascuno la sua china; ciascuno il suo
fine, la sua ambizione se si vuole, il gusto più segreto, l'ideale più aperto. Il mio era
racchiuso in questa parola: IL BELLO, di così ardua definizione a onta di tutte le evidenze dei sensi e della vista. Mi sentivo responsabile della bellezza del mondo.
Volevo che le città fossero splendide, piene di luce, irrigate d'acque limpide, popolate
da esseri umani il cui corpo non fosse deturpato né dal marchio della miseria o della
schiavitù, né dal turgore d'una ricchezza volgare; che gli alunni recitassero con voce
ben intonata lezioni non fatue; che le donne al focolare avessero nei loro gesti una
sorta di dignità materna, una calma possente; che i ginnasi fossero frequentati da
giovinetti non ignari dei giochi né delle arti; che i frutteti producessero le più belle
frutta, i campi le messi più opime. Volevo che l'immensa maestà della pace romana si
estendesse a tutti, insensibile e presente come la musica del firmamento nel suo
moto; che il viaggiatore più umile potesse errare da un paese, da un continente
all'altro, senza formalità vessatorie, senza pericoli, sicuro di trovare ovunque un
minimo di legalità e di cultura; che i nostri soldati continuassero la loro eterna danza
pirrica alle frontiere; che ogni cosa funzionasse senza inciampi, l'officina come il
tempio; che il mare fosse solcato da belle navi e le strade percorse da vetture
frequenti; che, in un mondo ben ordinato, i filosofi avessero il loro posto e i danzatori
il proprio. A questo ideale, in fin dei conti modesto, ci si avvicinerebbe abbastanza
spesso se gli uomini vi applicassero una parte di quell'energia che van dissipando in
opere stupide o feroci. E durante l'ultimo quarto di secolo, la sorte propizia mi ha
consentito di realizzarlo in parte. Arriano di Nicomedia, uno degli spiriti più eletti del
nostro tempo, si compiace di rammentarmi i bei versi nei quali il vecchio Terpandro
ha definito in tre parole l'ideale di Sparta, il "modus vivendi" perfetto, sognato, e mai
raggiunto, da Lacedemone: la FORZA, la GIUSTIZIA, le MUSE. La Forza stava alla
base, e senza il suo rigore non può esserci Bellezza, senza la sua stabilità non v'è
Giustizia. La Giustizia componeva l'equilibrio delle parti, le proporzioni armoniose
che nessun eccesso deve turbare. Ma la Forza e la Giustizia non erano che uno
strumento agile e duttile nelle mani delle Muse: consentivano di tener lontane tutte le
miserie e le violenze come altrettante offese al bel corpo dell'umanità. Ogni nequizia
era come una nota falsa da evitare nella armonia delle sfere.
come per l'Opera al nero, la parte del libro che si avvicina e arriva a toccare il mistero della morte è particolarmente toccante, vera, autentica, sorprendente. la Yourcenar, come altri pochi scrittori, scrive senza avere paura.
bella scrittura, scrittura esemplare, scrittura di vita. vita di un imperatore di Roma, vita di Adriano, vita di un uomo, vita di tutti noi. l'universale si fa uomo.
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