la mostra, Milano, Palazzo Reale, ormai almeno un paio di mesi fa, mi è piaciuta moltissimo.
Pollock era un genio disturbato, alcolizzato, instabile, imprevedibile, matto.
ho anche visto il film di Ed Harris e mi è piaciuto andare a guardare, a sbirciare, la sregolatezza e impulsività dell'artista più innovativo del XX secolo. è morto, ubriaco, uscendo di strada ad alta velocità e portandosi dietro due giovani fanciulle, una delle quali era la sua amante. Pollock era una di quelle persone che hanno in mente solo la sopravvivenza quotidiana, come arrivare e andare oltre il tramonto per poi eventualmente risvegliarsi dopo l'alba, poco tempo da dedicare all'altro, e il poco tempo sobrio concentrato solo alla cura, all'autoterapia di sé, con la pittura, in questo caso.
« Una tela coperta di colore ancora fresco occupava tutto il pavimento... Il silenzio era assoluto... Pollock guardò il quadro, quindi, all'improvviso, prese un barattolo di colore e un pennello e iniziò a muoversi attorno al quadro stesso. Fu come se avesse capito di colpo che il lavoro non era ancora finito. I suoi movimenti, lenti all'inizio, diventarono via via più veloci e sempre più simili ad una danza mentre gettava sulla tela i colori. Si dimenticò completamente che Lee ed io eravamo lì; sembrava non sentire minimamente gli scatti della macchina fotografica... Il mio servizio fotografico continuò per tutto il tempo in cui lui dipinse, forse una mezz'ora. In tutto quel tempo Pollock non si fermò mai. Come può una persona mantenere un ritmo così frenetico? Alla fine disse semplicemente: "E' finito"». (1950, Hans Namuth, fotografo)
dipingeva, a terra, sviluppando quella che venne in seguito definita la tecnica del dripping (in italiano sgocciolatura), si muoveva frenetico e invasato sulla tela, danzando, beveva, fumava, se non beveva fumava e viceversa. uno squartamento corporale, una scissione perpetua dal reale. se reale deve essere che almeno sia dipingendo o bevendo, altrimenti è intollerabile.
la mostra è stata dedicata a Pollock, ma direi in minima parte, e, soprattutto, ai cosiddetti "Irascibili". chi sono? uno stile e insieme un fenomeno unico che dette vita alla "Scuola di New York". era il maggio del 1950 quando il Metropolitan Museum of Art di New York annunciò l’organizzazione di un’importante mostra dedicata all’arte contemporanea americana. assenti dal parterre degli invitati furono proprio i pittori che a partire dalla seconda metà degli anni Trenta avevano mosso i primi passi verso un linguaggio pittorico nuovo, rivolto all’Espressionismo Astratto. nel movimento emersero le personalità di Jackson Pollock, Willem de Kooning, Mark Rothko, Robert Motherwell, Barnett Newman, che si fecero promotori di un codice stilistico più attuale. sono proprio questi i principali nomi che composero il gruppo degli "Irascibili", così definiti dal quotidiano "Herald Tribune", perché firmatari della lettera inviata al presidente del Metropolitan, e presentata al “New York Times”, in cui dichiararono il totale dissenso nei confronti delle posizioni assunte dal museo. nel gennaio del 1951 la rivista "Life"
pubblicò l’emblematica fotografia di Nina Leen che ritrasse quindici degli "Irascibles" vestiti da banchieri. (tratto dal sito della mostra)
Negli anni in cui J.D. Salinger, Jack Kerouac, Allen Ginsberg, William S. Burroughs - ma anche Elvis Presley e Miles Davis, Marlon Brando e James Dean - interpretano a loro modo il nuovo spirito della nazione, loro "pittori gestuali e pittori del campo di colore", per bussola i nativi americani (ma anche consci della lezione di Picasso e "dei francesi"), faranno grande la storia dell'arte americana, anche se ognuno con uno stile suo proprio. (dal Sole 24 ore)
Jackson Pollock, Number 17, 1950
Ad Reinhardt, Number 18
Willem de Kooning, Door to the River
Helen Frankenthaler, Blue Territory
Lee Krasner, The Guardian
Willem de Kooning, Landscape
Hans Hofmann, Orchestral Dominance in Yellow
Clyfford Still, Untitled, 1945
Mark Rothko, Untitled (Blue, Yellow, Green on Red), 1954
Arshile Gorky, The Betrothal
"Quando sono "dentro" i miei quadri, non sono pienamente
consapevole di quello che sto facendo. Solo dopo un momento di "presa di
coscienza" mi rendo conto di quello che ho realizzato. Non ho paura di
fare cambiamenti, di rovinare l'immagine e così via, perché il dipinto
vive di vita propria. Io cerco di farla uscire. È solo quando mi capita
di perdere il contatto con il dipinto che il risultato è confuso e
scadente. Altrimenti c'è una pura armonia, un semplice scambio di dare
ed avere e il quadro riesce bene. "
riprodotti qui, i lavori di Pollock, non rendono quel che sono quando visti dal vero. qui, sullo schermo, o su una pagina, tutto è piatto, a un centimentro dal naso tutto è spesso, mosso, vivo, sollevato, vibrante. fisico.
probabilmente sono opere che non possono sottrarsi, per vivere, per restituire emozione, dal movimento corporale di chi le ha prodotte, forse sono opere che hanno avuto il senso, il dono, della bellezza nel momento stesso della loro nascita artistica, nella loro ideazione e formulazione carnale, corporea, sono l'esito di una forza fisica, sono corpi viventi che solo a guardarli non restituiscono la loro potenza formativa. forse bisogna guardarli pensando al gesto pittorico, alla danza che li ha accompagnati , alla gravidanza che li ha sviluppati, al parto che li ha generati, alla fatica che li ha sorretti.
"Non dipingo sul cavalletto. Preferisco fissare le tele sul muro
o sul pavimento. Ho bisogno dell'opposizione che mi dà una superficie
dura. Sul pavimento mi trovo più a mio agio. Mi sento più vicino al
dipinto, quasi come fossi parte di lui, perché in questo modo posso
camminarci attorno, lavorarci da tutti e quattro i lati ed essere
letteralmente "dentro" al dipinto. Questo modo di procedere è simile a
quello dei "Sand painters" Indiani dell'ovest. "
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