Da alcuni piccoli sintomi, da certe voci che corrono, da certe facce che
s'incontrano, viene quasi da pensare che il suo reggimento si prepari
alla partenza, e magari partirà fra un mese, fra un anno, fra dieci anni,
ma già si prepara.
E una giornata bellissima di primavera, il 9 maggio, un sabato,
dinanzi alle case della città uomini, donne e bambini si affaccendano
intorno alle automobili, caricano valigie, pacchi, giocattoli, sci, battelli;
sono vestiti per la gita, è l'amore, la giovinezza, la speranza, la vita.
Anche nei grandi cortili del suo reggimento, chissà dove, batte lo
splendido sole ma portaordini vanno e vengono, la tromba dà segnali
insoliti che nessuno o quasi conosce, si nota una diffusa
irrequietudine, il signor colonnello, il capo di stato maggiore e gli altri
ufficiali importanti stanno lavorando nei loro uffici benché sia sabato
di primavera e la gente della città si prepari al sollievo, alla libertà, alla
gioia, perché forse il reggimento deve partire. È il reggimento suo?
Non è che lui sia militare di mestiere. a tutti senza eccezione nella sua città e anche fuori nelle campagne, valli, rive del mare, per quanto è esteso il mondo, tutti in certo modo appartengono a un reggimento e i reggimenti sono innumerevoli, nessuno sa quanti sono, e nessuno sa neanche quale sia il suo reggimento, eppure i reggimenti sono accantonati qui intorno, anche nel cuore della città, benché nessuno se ne accorga e ci pensi. Però quando un reggimento parte, chi gli appartiene, pure lui deve partire. Altri dicono invece che si tratta di navi. Ciascuno è iscritto come passeggero di una nave, senza sapere dove sia né il nome. E sono navi strane, capaci di salpare dal centro di un arido deserto o dalla precipitosa gola di una montagna. Ma reggimento o bastimento è lo stesso, il fatto è che un bel giorno ciascuno di noi deve partire.
L'avviso arriva a tutti, con maggiore o minore anticipo, che talora è di ore, o di giorni, talora è di mesi o addirittura di anni: eccezioni non esistono. Senonché quasi nessuno se ne rende conto. Questo perché nella maggioranza dei casi l'annunzio non consiste in un modulo esplicito come la chiamata alle armi bensì in piccoli segni che facilmente si possono scambiare per fenomeni casuali del tutto indifferenti. Ma soprattutto perché gli uomini ripugnano selvaggiamente all'idea del loro fatale destino, arrivano ai ragionamenti più assurdi per negare gli indizi premonitori e vivono come se ciascuno di loro, per misterioso privilegio, fosse sottratto alla legge universale.
Non è che lui sia militare di mestiere. a tutti senza eccezione nella sua città e anche fuori nelle campagne, valli, rive del mare, per quanto è esteso il mondo, tutti in certo modo appartengono a un reggimento e i reggimenti sono innumerevoli, nessuno sa quanti sono, e nessuno sa neanche quale sia il suo reggimento, eppure i reggimenti sono accantonati qui intorno, anche nel cuore della città, benché nessuno se ne accorga e ci pensi. Però quando un reggimento parte, chi gli appartiene, pure lui deve partire. Altri dicono invece che si tratta di navi. Ciascuno è iscritto come passeggero di una nave, senza sapere dove sia né il nome. E sono navi strane, capaci di salpare dal centro di un arido deserto o dalla precipitosa gola di una montagna. Ma reggimento o bastimento è lo stesso, il fatto è che un bel giorno ciascuno di noi deve partire.
L'avviso arriva a tutti, con maggiore o minore anticipo, che talora è di ore, o di giorni, talora è di mesi o addirittura di anni: eccezioni non esistono. Senonché quasi nessuno se ne rende conto. Questo perché nella maggioranza dei casi l'annunzio non consiste in un modulo esplicito come la chiamata alle armi bensì in piccoli segni che facilmente si possono scambiare per fenomeni casuali del tutto indifferenti. Ma soprattutto perché gli uomini ripugnano selvaggiamente all'idea del loro fatale destino, arrivano ai ragionamenti più assurdi per negare gli indizi premonitori e vivono come se ciascuno di loro, per misterioso privilegio, fosse sottratto alla legge universale.
...
Senonché io avevo ricevuto l’avviso non ero più come gli altri che intravedevo per la strada nella buia sera di dicembre, come loro esattamente camminavo, parlavo, ridevo, fumavo, guidavo l’auto, eppure con loro non avevo più niente a che fare, loro maledetti con tutta la loro vita disponibile senza fine, loro benedetti che al mattino si svegliavano pensando con speranze al futuro.
...
...
Dovrei tremare perché quello è il mio reggimento in marcia, che è
partito prima dell'alba?
No, non aver paura. Hai fermato la macchina, sei sceso, ti sei
affiancato all'ultimo plotone del reggimento destinato, che marcia
nella gloria crudele dell'aurora, dell'alba, del principio della notte
senza fine. Meno male; non ti senti più così solo, vero che non ti senti
così disperato?
Dino Buzzati
(brani tratti da Il reggimento parte all'alba)
l'ho visto un mese fa a teatro, al Parenti, recitato e adattato da Giuseppe Nitti
non siamo nel deserto dei Tartari ma la questione si ripropone.
siamo in attesa di un evento ineluttabile, un peso incombe sulle nostre vite.
l'angoscia ci coglie, dobbiamo ricostruire, o costruire proprio all'ultimo qualcosa che ci difenda dall'inesorabile.
quasi sempre è troppo tardi per farlo.
bisogna partire.
bisogna morire.
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