Dal 5 febbraio 2003 in via Giorgio Jan n. 15 è aperta al pubblico la Casa-Museo Boschi Di Stefano, che espone – nei locali abitati in vita dai coniugi Antonio Boschi (1896-1988) e Marieda Di Stefano (1901-1968) – una selezione di circa trecento delle oltre duemila opere della loro collezione, donata al Comune di Milano nel 1974.
La collezione rappresenta una straordinaria testimonianza della storia dell’arte italiana del XX secolo – comprendente pitture, sculture e disegni – dal primo decennio del Novecento alla fine degli anni Sessanta.
un luogo di meraviglia, di meraviglie e di stupore.
si parte dalla casa, anni '30, costruita e in parte arredata dal mio amato Portaluppi -inconfonbile è la sua cifra- si salgono le solite stupefacenti scale, si visita l'interno del museo, si perdono gli occhi sulle tele appese ad ogni angolo disponibile delle pareti, si ascolta la musica (giovani muscisti si esercitano al piano), si gode di questa gioia del creato, ci si domanda come dovevano essere questi due mecenati, bulimici pazzi dell'arte, ci si chiede come si viveva in questa casa, in questo museo vissuto, c'era spazio per le facezie? chi si è seduto qui a tavola? chi ha preso il te su questo divano? quanti soldi avevano questi due signori per acquistare questo impressionante numero di quadri con un'intuizione artistica e commerciale senza pari?
All’ingresso si trovano i ritratti dedicati ai coniugi Boschi e le ceramiche della stessa Marieda, indi attraverso un corridoio con tele di Severini e di Boccioni si raggiunge la “sala del Novecento italiano” con opere di Funi, Marussig, Tozzi, Carrà e Casorati. Nella “sala Sironi”, interamente dedicata all’artista, sono presenti sculture di Arturo Martini. Il successivo ambiente comprende il Gruppo di Corrente, sette Moranti e sei De Pisis. In un piccolo corridoio sono riuniti i Chiaristi, mentre proseguendo la visita si giunge nella sala degli “Italiens de Paris”: Campigli, Paresce, Savinio con L’Annunciazione (1932) e de Chirico con La scuola dei gladiatori (1928). La “sala Fontana” propone un prezioso insieme di venti lavori, mentre le ultime due stanze sono riservate ai postcubisti picassiani, agli spazialisti, ai nucleari e ai pittori informali, fra cui Piero Manzoni con i celebri Achrome.
All’ingresso si trovano i ritratti dedicati ai coniugi Boschi e le ceramiche della stessa Marieda, indi attraverso un corridoio con tele di Severini e di Boccioni si raggiunge la “sala del Novecento italiano” con opere di Funi, Marussig, Tozzi, Carrà e Casorati. Nella “sala Sironi”, interamente dedicata all’artista, sono presenti sculture di Arturo Martini. Il successivo ambiente comprende il Gruppo di Corrente, sette Moranti e sei De Pisis. In un piccolo corridoio sono riuniti i Chiaristi, mentre proseguendo la visita si giunge nella sala degli “Italiens de Paris”: Campigli, Paresce, Savinio con L’Annunciazione (1932) e de Chirico con La scuola dei gladiatori (1928). La “sala Fontana” propone un prezioso insieme di venti lavori, mentre le ultime due stanze sono riservate ai postcubisti picassiani, agli spazialisti, ai nucleari e ai pittori informali, fra cui Piero Manzoni con i celebri Achrome.
di fianco scorre Corso Buenos Aires, è stridente il contrasto, la gente pazza compra compra compra, acquista oggetti inutili consolatori, ingoia mutande di pizzo scarpe e borse per poi vomitarle un attimo dopo, di nuovo affamata ma più malata di prima, e qui si gode l'arte, l'attimo eterno della bellezza. certo, anche i signori suddetti erano affannati, ma la loro malattia ha lasciato qualcosa, nulla che si possa distruggere o digerire, buttare o vomitare, ma godere, e sentire, e ammirare. con grande senso civico, comunitario e sociale Antonio Boschi ha lasciato la sua immensa opera al Comune di Milano. in seguito alla sua morte è stata istituita la Fondazione, che ha per scopo promuovere iniziative culturali orientate allo studio e alla diffusione del collezionismo d’arte e al recupero d’archivi storici, la comunicazione e l’organizzazione di manifestazioni, oltre ad un servizio di consulenza per studenti universitari e studiosi.
Come affermò lo stesso Boschi la collezione porta di diritto i nomi di entrambi i coniugi: “non è un omaggio reso alla memoria della mia compagna” – morta nel 1968 – “ma corrisponde alla realtà. Opera comune nel senso totale: in quello materiale con le implicazioni di decisioni, di applicazione, di sacrifici finanziari e conseguenti rinunce in altri campi; e in quello artistico come concordanze di gusti, di indirizzi, di scelte”.
(http://www.fondazioneboschidistefano.it)