la voce di Franco Loi, 88 anni, non la dimenticherò.
la sua poesia non l'ho sentita, nessuno credo, ma la sua anziana voce si.
e la poesia della Dickinson.
e quella della Szymborska
Il cielo
Da qui si doveva cominciare: il cielo.
Finestra senza davanzale, telaio, vetri.
Un'apertura e nulla più,
ma spalancata.
Non devo attendere una notte serena,
né alzare la testa,
per osservare il cielo.
L'ho dietro a me, sottomano e sulle palpebre.
Il cielo mi avvolge ermeticamente
e mi solleva dal basso.
Perfino le montagne più alte
non sono più vicine al cielo
delle valli più profonde.
In nessun luogo ce n'è più
che in un altro.
La nuvola è schiacciata dal cielo
inesorabilmente come la tomba.
La talpa è al settimo cielo
come il gufo che scuote le ali.
La cosa che cade in un abisso
cade da cielo a cielo.
Friabili, fluenti, rocciosi,
infuocati e aerei,
distese di cielo, briciole di cielo,
folate e cumuli di cielo.
Il cielo è onnipresente
perfino nel buio sotto la pelle.
Mangio cielo, evacuo cielo.
Sono una trappola in trappola,
un abitante abitato,
un abbraccio abbracciato,
una domanda in risposta a una domanda.
La divisione in cielo e terra
non è il modo appropriato
di pensare a questa totalità.
Permette solo di sopravvivere
a un indirizzo più esatto,
più facile da trovare,
se dovessero cercarmi.
Miei segni particolari:
incanto e disperazione.
e la disperazione della Valduga, tremante.
e la mia paura.
i primi 15 minuti al buio sono stati difficili.
ho avuto paura di non farcela, ho sentito il panico che saliva.
in un attimo ho capito tutti i miei pazienti.
mi sono sentita senza scampo, senza via di uscita, prigioniera, annientata.
non sapevo dov'ero, non sapevo dove andare, ero seduta, paralizzata.
ho toccato la sedia vicina e quella davanti, chiudere gli occhi è stato peggio, piegare la testa in basso, come suggerito dai non vedenti che gestivano la rappresentazione, è stato utile.
ho cercato la luce e non c'era, il buio era assoluto, i miei occhi per molto tempo hanno avuto lampi di luce, vedevo forme luminose muoversi sulle mie pupille.
i miei occhi erano inutili, non mi davano nessun conformo, quell'oscurità era senza soluzione.
la mia domanda era: come resisto qui dentro per un'ora.
il silenzio era intollerabile, mi faceva navigare nella morte, nel nulla, e c'era un violino, terribile, la sua musica straziante mi metteva angoscia, ma il silenzio era peggio.
la mia vicina parlava e io anche, ho detto cose a caso, senza senso, l'importante era sentire la voce.
mi sono toccata il corpo e la faccia per tutto il tempo, in qualche modo dovevo esistere.
le prime poesie sono andate via così, poi piano mi sono adattata, ho respirato e ho ascoltato le voci.
quelle dei poeti presenti, 10, tra cui alcuni molto noti, mi inchiodavano alla finzione, quella dei non vedenti, soprattutto quella maschile, mi rassicuravano moltissimo.
pensavo: lui ci vive così, sa quel che dice, sa quel che fa, di lui mi posso fidare.
le ultime poesie sono quelle che ho ascoltato di più, fino alle lacrime.
ho pianto spesso, un senso di disperazione mi ha accecato.
alla fine, uscita, ero stremata, ho avuto mal di testa tutto il pomeriggio restante e un senso di estraniamento potentissimo.
ero a Book City, poesia al buio.
non lo so se la poesia ci salverà, forse non dal buio, non me.