Una sera di nebbia e di sirene al Lido di Venezia una signora
sola tornava a casa: aveva settant’anni, era vedova e nella sua
vita aveva avuto poca compagnia salvo una serie di gatti siamesi
una ventina d’anni prima, poi un bassotto che era morto
prestissimo in seguito al suo troppo zelo nel nutrirlo (mangiava
solo tagliatelle al burro e fegatini di pollo) e il marito. Ma anche
quello era morto due anni prima e di lui restava soltanto il
ricordo vago, come di un’ombra alta e un po’ curva con due
baffetti che ora, a ricordarlo nella nebbia, si perdevano nella
nebbia. Da poco aveva un canarino.
La figura di questa donna era insieme infantile e animale:
rotonda, con una pellicciotta interna che l’arrotondava ancora di
più, aveva un colbacco rotondo e tutta la sua persona, sostenuta
da gambe come colonnine fragili, si muoveva nella nebbia con
l’incertezza di un bambino di due o tre anni che impara a
camminare. Procedeva lentamente, come portata avanti dalla
collottola, che aveva grassa e robusta come una piccola gobba
tra il collo corto e l’inizio della spina dorsale: quel punto, tra
testa e schiena, racchiudeva nella sua convessità una forza
animale e suina che era il segreto della sua prepotenza e del suo
egoismo. Ma, come accade in nature così composite tra animalità
e umanità, la signora aveva occhi celesti chiari di bambina
bizzosa, capricciosa e infinitamente ingenua, sempre pronta a
ridere. Così, con tutte queste cose nel corpo, fragilità, animalità,
bizzosità e allegria procedeva lentamente (ma inesorabilmente)
nella nebbia dei vialetti deserti del Lido. Pensava, ma in modo
anche quello composito, come in sogno, a metà tra la sensazione
e il pensiero.
Pensava a una pentola a pressione che aveva visto usare
proprio quella sera e che avrebbe voluto comprare senza essere
certa di saperla usare e dunque con un po’ di paura per
l’accumulo di pressione e lo scoppio. Quella pentola però
mancava alla sua collezione di pentole, tutte nuove, che teneva
insieme ad altre pentole vecchie, in grandissima quantità, dentro
un magazzino affittato in un convento di suore: nel magazzino,
oltre le pentole, aveva coperte, materassi, un baule pieno di
biancheria, qualche mobile, e alcuni scatoloni di cui non riusciva
in quel momento a ricordare il contenuto: forse le statuine di
gesso di un vecchio presepio e i ninnoli per l’albero di Natale.
Tutta roba che non aveva mai più tirata fuori essendo sola. Un
tempo, quando aveva il marito e il figlio, quando era piccolo,
costruiva l’uno e l’altro per Natale. E a questo pensiero, quello
della sua solitudine, si perdette un poco tra commozione e il nulla
delle cose e delle persone. Ma il pensiero non tardò a mutare e a
concentrarsi, come sempre accade nei vecchi, nei particolari che
riguardavano direttamente e immediatamente la propria vita:
una macchia di umidità che pareva allargarsi ogni giorno di più
nell’angolo del soffitto della sua camera da letto. Perché
l’amministratore non provvedeva, dopo essere stato sollecitato
mille volte? La signora si arrabbiò, la forza che stava tutta nella
nuca parve come raggrinzirsi in un profondo senso di ingiustizia
e di dispetto provocato ai suoi danni e accusò dentro di sé il figlio
lontano, di cui non sapeva se era vivo o morto anche lui.
Camminava lentamente in quel modo infantile e un po’ pesante,
come avviene quando lo spirito così vicino ai muscoli, ai tendini e
ai nervi, ha già ceduto alle illusioni del passato e non resta altro
che procedere un po’ alla deriva come una barca. Infatti, si udì
per tre volte la sirena bassa e lunga di un rimorchiatore o
addirittura una nave, un transatlantico che usciva dal Bacino di
San Marco. Qui lo spirito della signora, come sempre quando
udiva quelle sirene, si risvegliò, e anche il passo.
«Se potessi, se avessi le possibilità, andrei in crociera
d’inverno. Prima di morire vorrei andare anch’io in una piccola
crociera» pensò la signora e all’idea del viaggio parve
risvegliarsi: non temeva i viaggi, anzi era sempre pronta a farli e
il momento in cui tutto il suo spirito si risvegliava e accendeva
era quello in cui metteva piede, il più agilmente possibile data la
sua corporatura e la sua età, sul predellino di un treno o di una
corriera. Sarebbe salita anche in aeroplano. Ma ora aveva
davanti a sé, fittissima, la nebbia del Lido. Sentiva gocciolare gli
alberi, qualche scarico nei canali, e lo sciacquio della laguna non
lontana ma invisibile.
Pensò al canarino e immediatamente a certi piccoli scoiattoli
che aveva visto nel giardino di Schoenbrunn, a Vienna, e
mangiavano nella mano. Ogni tanto qualche ricordo passava
rapidissimo nella sua mente, limpido, chiaro, dove poteva
distinguere nei particolari se stessa più giovane, il figlio, il marito
e i suoi baffetti (li ricordava neri), un’altra città, l’estate sulla
spiaggia, quella stessa spiaggia fredda e umida nella notte che
era lì a pochi passi: le gelaterie, le luci, e poi, di colpo, la neve e
il ghiaccio delle strade di Cortina dove per lei era necessario
camminare a minimi passi per non cadere.
Era il pensiero che aveva suggerito i passi o i passi avevano
suggerito il pensiero? Perché udì dei passi e delle voci dietro di
sé. Erano voci di ragazzi che camminavano veloci e la
raggiunsero: non li vedeva quasi perché la nebbia aveva
appannato gli occhiali, li intravedeva, uno di questi che le passò
accanto guardandola, aveva i capelli lunghi. A quel punto i
ragazzi smisero di parlare e la superarono lentamente in silenzio.
Ancora si udì la sirena del transatlantico ormai giunto quasi al
limite del mare aperto, all’altezza del faro. «Rex» fu il pensiero
della signora, per un istante pensò al fratello, commissario di
bordo del Rex, morto molti anni prima. «Il Rex non ci sarà più.
Non è affondato?» si chiese la signora, e così pensando si accorse
che i ragazzi erano ancora lì, vicino a lei, muti e con passo uguale
al suo.
Uno dei ragazzi si avvicinò e proprio sopra un ponte (si sentiva
lo sciacquio del canale sotto le tavole di legno del ponte) si fece
di fronte a lei. La signora aveva paura e, in quel modo confuso,
veloce e incredibile che l’immaginazione di una persona anziana
e assolutamente normale può avere in un momento come quello,
pensò alla morte. Era tutta lì: lo sciacquio, la nebbia, la sera,
l’affogamento dentro la pelliccia nell’acqua nera del canale, il
cimitero. Udì la voce del ragazzo, una voce bassissima da uomo
anziano e beone; il ragazzo disse:
«O mi dai la borsetta o te copo».
Le gambe della signora tremavano, ma perché, si disse, tanta
paura della morte? E quel te copo aveva tutta l’ignoranza della
verità. «Perché tanta paura della morte? Sono sola» e disse
lentamente, con un tremito, ma con voce dura:
«Còpeme».
Il ragazzo esitava:
«Dammi la borsetta» disse ancora, con
quella voce delittuosa e casuale, coperta dalla nebbia: l’alito
fumava.
«No, non te la do, còpeme, vediamo se lo sai fare».
Strinse con tutte e due le mani la borsetta ma guardò con
forza, con forza animale il ragazzo di cui vedeva solo i contorni,
lunghi e curvi, a forma di esse.
Il ragazzo le diede una spinta sulla spalla, una specie di pugno
e la signora traballò e andò a sbattere contro il parapetto del
ponte. Di nuovo disse, con la voce tremante di indignazione
questa volta, tra le labbra strette:
«Còpeme», e a questa parola il ragazzo fuggì correndo, seguito
dagli altri due.
La signora aveva il cuore in gola, stette appoggiata al
parapetto del ponte, come rannicchiata, senza arrischiarsi di
stare sulle proprie gambe che ora non la reggevano. Aveva gli
occhi pieni di lacrime e non vedeva più nulla.
«Còpeme, disgraziato, assassino» disse quasi tra sé e cominciò
a piangere con piccoli sussulti nella schiena.
Piano piano la paura passò, le gambe (fece due o tre tentativi)
la sostennero e altrettanto piano riprese la strada di casa. Un po’
di paura l’aveva ancora perché stava percorrendo la stessa via
dove erano fuggiti i ragazzi. Forse l’aspettavano da qualche parte
più avanti. Ma ormai anche lei sentiva che la sua ora non era
giunta, che poteva tornare a casa abbastanza tranquilla,
camminando però piano.
Da I sillabari, Goffredo Parise
Da I sillabari, Goffredo Parise
Nessun commento:
Posta un commento