ALBERTO
Mo' volete sapere perché siete assassini? E che v' 'o dico a ffa'? Che
parlo a ffa'? Chisto, mo', è 'o fatto 'e zi' Nicola... Parlo
inutilmente? In mezzo a voi, forse, ci sono anch'io, e non me ne rendo
conto. Avete sospettato l'uno dell'altro: 'o marito d' 'a mugliera, 'a
mugliera d' 'o marito... 'a zia d' 'o nipote... 'a sora d' 'o frate...
Io vi ho accusati e non vi siete ribellati, eppure eravate innocenti
tutti quanti... Lo avete creduto possibile. Un assassinio lo avete messo
nelle cose normali di tutti i giorni... il delitto lo avete messo nel
bilancio di famiglia! La stima, don Pasqua', la stima reciproca che ci
mette a posto con la nostra coscienza, che ci appacia con noi stessi,
l'abbiamo uccisa... E vi sembra un assassinio da niente? Senza la stima
si può arrivare al delitto. E ci stavamo arrivando. Pure la cameriera
aveva sospettato di voi... La gita in campagna, la passeggiata in
barca... Come facciamo a vivere, a guardarci in faccia? (Esaltato,
guardando in alto verso il mezzanino) Avive ragione, zi' Nico'! Nun
vulive parla' cchiù... C'aggia ffa', zi' Nico'? (Più esaltato che mai,
implorante) Tu che hai campato tanti anni e che avevi capito tante cose,
dammi tu nu cunziglio... Dimmi tu: c'aggia ffa'? Parlami tu... (Si
ferma perché ode come in lontananza la solita chiacchierata pirotecnica
di zi' Nicola, questa volta prolungata e più ritmata) Non ho capito, zi'
Nico'! (Esasperato) Zi' Nico', parla cchiù chiaro! (Silenzio. Tutti lo
guardano incuriositi). Avete sentito?
TUTTI E che cosa?
ALBERTO Comme, non avete sentito sparare da lontano?
TUTTI No.
ALBERTO (ormai
calmo e sereno) M'ha parlato e nun aggio capito. (Amaro, fissando lo
sguardo in alto) Non si capisce! (Poi rivolto al brigadiere) Brigadie',
possiamo rimandare questa formalità in questura a più tardi? Me voglio
arrepusa'.
BRIGADIERE Vuol dire che vi vengo a prendere nel pomeriggio.
ALBERTO (affranto siede) Grazie.
PASQUALE Andiamo, va'... tante emozioni... 'o zio muorto... Andiamo.
Parlottando fra loro escono. Rimangono in iscena Alberto, Carlo e Michele.
MICHELE (dopo
una lunga pausa) Io non mi sogno mai niente. 'A sera mi corico stanco
che Iddio lo sa. Quando ero ragazzo, mi facevo un sacco di sogni... ma
belli. Certi sogni che mi facevano svegliare così contento... Mi
parevano spettacoli di operette di teatro. E quando mi svegliavo, facevo
il possibile di addormentarmi un'altra volta per vedere di sognarmi il
seguito. Me ne scendo, perché ci ho il palazzo solo... (Va per andare,
poi come ricordando qualche cosa) Ah! il mezzo portone, poi, l'ho
chiuso... Perché De Ferraris ha detto che la madre non esce, sta poco
bene. È sempre un rispetto... Permettete. (Ed esce).
I due fratelli sono
rimasti soli, l'uno di spalle all'altro. Alberto seduto al tavolo, in
primo piano a sinistra, col capo chino sulle braccia. Carlo, accasciato
su di una sedia, in fondo allo stanzone. Alberto, dopo una piccola
pausa, solleva il capo lentamente, e con uno sguardo pietoso cerca il
fratello. Dopo averlo fissato per un poco, per non prorompere in
lacrime, con gesto che ha della disperazione, comprime fortemente le
mani aperte sul suo volto. Il sole inaspettatamente, dal finestrone in
fondo, taglia l'aria ammorbata dello stanzone e, pietosamente, vivifica
le striminzite figure dei due fratelli e quelle povere, sgangherate
sedie, le quali, malgrado tutto, saranno ancora provate dalle ormai
svogliate «feste» e «festicciolle» dei poveri vicoli napoletani.
l'ho visto, al Piccolo teatro Strehler sfidando la mia sordità (che perdura anche se meno grave).
mi è piaciuto tanto.
mi è piaciuto Servillo, Toni, e anche il fratello, Beppe. in scena Alberto Saporito e Carlo Saporito.
coppia di fratelli, nella vita e nella finzione teatrale.
un testo semplice, una splendida intuizione, uno spettacolo teatrale classico, intenso, vivo.
da un sogno nasce un equivoco. Alberto Saporito accusa la famiglia Cimmaruta di un omicidio, orientato da una dimensione onirica che ha un trascinamento diurno. compreso l'errore la situazione non si risolve, piuttosto ne segue una sequela di accuse e delazioni intrafamiliari, emerge il sospetto, la disistima, la distanza tra persone che vivono vicine, una prossimità spaziale ma non sentimentale.
“Eduardo De Filippo è il più straordinario e forse l'ultimo rappresentante di una drammaturgia
contemporanea popolare”, spiega Toni Servillo. “Dopo di lui il prevalere dell’aspetto formale ha
allontanato sempre più il teatro da una dimensione autenticamente popolare. E’ l’autore italiano che con
maggior efficacia, all’interno del suo meccanismo drammaturgico, favorisce l'incontro e non la
separazione tra testo e messa in scena. Affrontare le sue opere significa insinuarsi in quell'equilibrio
instabile tra scrittura e oralità che rende ambiguo e sempre sorprendente il suo teatro. Il profondo spazio
silenzioso che c'è fra il testo, gli interpreti ed il pubblico va riempito di senso sera per sera sul
palcoscenico, replica dopo replica”.
"Le voci di dentro”, continua Toni Servillo, “è la commedia dove Eduardo, pur mantenendo un'atmosfera
sospesa fra realtà e illusione, rimesta con più decisione e approfondimento nella cattiva coscienza dei suoi
personaggi, e quindi dello stesso pubblico”.Si arriva ad una vera e propria "atomizzazione della coscienza sporca", di cui Alberto Saporito si sente testimone al
tempo stesso tragicamente complice, nell'impossibilità di far nulla per redimersi. Eduardo scrive questa
commedia sulle macerie della Seconda Guerra Mondiale, ritraendo con acutezza una caduta di valori che
avrebbe contraddistinto la società, non solo italiana, per i decenni a venire.
“E ancora oggi”, conclude Servillo, “sembra che Alberto Saporito, personaggio-uomo, scenda dal
palcoscenico per avvicinarsi allo spettatore dicendogli che la vicenda che si sta narrando lo riguarda,
perché siamo tutti vittime, travolte dall'indifferenza, di un altro dopoguerra morale.”
le voci di dentro sono quelle soffocate dall'ipocrisia e dalla paura, quelle voci che non possono parlare, esprimersi, perchè nessuno le ascolta. ed ecco, tra le altre, la figura di zi' Nicola, dietro le scene, che non parla, si esprime con i petardi. zi' Nicola è la saggezza inascoltata, un'altra voce di dentro soppressa, un richiamo che va interpretato, ognuno a suo modo, se la saggezza ci incontra, se la possediamo. Eduardo raccontava che lo zio Nicola esisteva davvero, non era un personaggio inventato. aveva trovato la notizia in una raccolta di articoli dove ce n’era uno che parlava di un “fuochista” napoletano e descriveva con precisione questa specialità, questa arte. era un poeta dei fuochi artificiali. è un'altra forma di mutismo, un grido della misantropia, un incarnato dell'incomunicabilità. eppure zio Nicola è presente, è un mutismo che ci perseguita con la sua presenza, anche quando, alla fine, non scoppia più.
la fusione, e la confusione, tra sogno e realtà è solo lo spunto, è l'inizio della fine, della lenta e inesorabile fuoriuscita dei cattivi umori che covavano da tempo, da sempre, inespressi e soffocati. e allora non possono che essere i petardi, a scoppiare, i fuochi dell'indignazione.
è strepitosa la scena della lenta costruzione di Alberto, con l'appoggio del fratello, spalla complice muta ma espressiva, dell'antefatto, del dubbio, dell'inaspettata richiesta di spostare il mobilio della stanza, fino all'esplosione della denuncia: voi avete ucciso. prima scherzava...prima faceva ridere...prima ci si domandava...e poi più.
solo il teatro, e quello di Eduardo senza dubbio, può regalare quest'arte di dire oltre le parole, con la rappresentazione. solo il teatro, e chi lo sa interpretare come Toni Servillo, può esprimere la disperazione di Alberto Saporito, che ha consapevolezza di aver portato in emersione un dramma apparentemente familiare ma universale, senza travasare nell'enfasi, con un narrazione che fa buon uso della farsa e della metafora, degli equivoci e dei rimbrotti, dell'ironia e del sarcasmo, dei fantasmi della solitudine.
le voci di dentro sono quelle soffocate dall'ipocrisia e dalla paura, quelle voci che non possono parlare, esprimersi, perchè nessuno le ascolta. ed ecco, tra le altre, la figura di zi' Nicola, dietro le scene, che non parla, si esprime con i petardi. zi' Nicola è la saggezza inascoltata, un'altra voce di dentro soppressa, un richiamo che va interpretato, ognuno a suo modo, se la saggezza ci incontra, se la possediamo. Eduardo raccontava che lo zio Nicola esisteva davvero, non era un personaggio inventato. aveva trovato la notizia in una raccolta di articoli dove ce n’era uno che parlava di un “fuochista” napoletano e descriveva con precisione questa specialità, questa arte. era un poeta dei fuochi artificiali. è un'altra forma di mutismo, un grido della misantropia, un incarnato dell'incomunicabilità. eppure zio Nicola è presente, è un mutismo che ci perseguita con la sua presenza, anche quando, alla fine, non scoppia più.
la fusione, e la confusione, tra sogno e realtà è solo lo spunto, è l'inizio della fine, della lenta e inesorabile fuoriuscita dei cattivi umori che covavano da tempo, da sempre, inespressi e soffocati. e allora non possono che essere i petardi, a scoppiare, i fuochi dell'indignazione.
è strepitosa la scena della lenta costruzione di Alberto, con l'appoggio del fratello, spalla complice muta ma espressiva, dell'antefatto, del dubbio, dell'inaspettata richiesta di spostare il mobilio della stanza, fino all'esplosione della denuncia: voi avete ucciso. prima scherzava...prima faceva ridere...prima ci si domandava...e poi più.
solo il teatro, e quello di Eduardo senza dubbio, può regalare quest'arte di dire oltre le parole, con la rappresentazione. solo il teatro, e chi lo sa interpretare come Toni Servillo, può esprimere la disperazione di Alberto Saporito, che ha consapevolezza di aver portato in emersione un dramma apparentemente familiare ma universale, senza travasare nell'enfasi, con un narrazione che fa buon uso della farsa e della metafora, degli equivoci e dei rimbrotti, dell'ironia e del sarcasmo, dei fantasmi della solitudine.
teatro. guardatelo.
http://www.rai.tv/dl/RaiTV/programmi/media/ContentItem-3b583ec2-db5b-42fb-a0cd-d5d363d2dfc0.html
In generale, se un’idea non ha significato e utilità sociali non m’interessa lavorarci sopra. Naturalmente,
mi rendo conto che quello che è vero per me può non esserlo per altri, ma io sono qui per parlarvi di me e
dato che la pietà, lo sdegno, l’amore, le emozioni, insomma, si avvertono nel cuore, in questo senso io
posso affermare che le idee mi nascono nel cuore prima che nel cervello: poi ci lavoro su con la mente, e
allora ho bisogno dei sensi per rendere le idee concrete, comunicabili, affidandole a personaggi e dando ai
personaggi parole per esprimersi. Occhi e orecchie mie sono stati asserviti da sempre – e non esagero – a
uno spirito di osservazione instancabile, ossessivo, che mi ha tenuto e mi tiene inchiodato al mio
prossimo e che mi porta a lasciarmi affascinare dal modo d’essere e di esprimersi dell’umanità.
Un’idea, in fondo, non è tanto difficile averla; difficilissimo è invece comunicarla, darle forma. Solo
perché ho assorbito avidamente, e con pietà, la vita di tanta gente, ho potuto creare un linguaggio che,
sebbene elaborato teatralmente, diventa mezzo di espressione dei vari personaggi e non del solo autore.
Quando parenti e amici si meravigliano che io possa restare così a lungo solo, appartato e apparentemente
inoperoso, non sanno che è con quella gente che io continuo a parlare e a ragionare, ascoltando i loro casi,
le loro aspirazioni, seguite troppo spesso da delusioni e immancabili proteste.
Il teatro e il mio lavoro
di Eduardo De Filippo
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