una macchina brucia, avvolta dalle fiamme, sul lato della tangenziale.
fumo, molta coda, tantissimo ritardo.
un segnale autostradale lampeggia 1 km prima e segnala: veicolo in fiamme.
lo vedo, il fumo, avvicinarsi nell'estenuante cambio tra prima e seconda che la coda impone.
tra ieri e oggi sarò stata in auto 3 ore, almeno. anche di più. gli audiolibri mi salvano la vita dall'inedia e dalla disperazione.
passo vicino, l'auto è completamente avvolta dal fuoco, il finestrino del guidatore è aperto, le fiamme escono voraci dallo scheletro della macchina, il mio pensiero va alla dinamica, non c'è incidente, solo una macchina a lato, quasi parcheggiata, e va a chi guidava: dov'è?
sono certamente sconvolta dalla lettura che mi salva la vita di questi tempi, da quell'uomo che si domanda della natura umana. sono certamente avvolta dalle fiamme, come quella macchina, sono tormentata da domande e immagini di repertorio, e da immagini che mi vengono dalle parole del libro.
l'ho finito proprio questa mattina, proprio mentre il fuoco saliva nero sul cielo terso gelido implacabile di queste mattine di dicembre.
leggo Saviano che commenta l'audiolibro da lui stesso raccontato in un opuscolo di accompagnamento, e mi trovo d'accordo su tutto, e scopro che anche Saviano legge audiolibri a manetta, parla dei lunghi viaggi in auto con la sua scorta accompagnati dalla lettura a voce alta, e questa sintonia mi riempie di un sentimento di vicinanza. assurdo, penso assurdo, vicina a un uomo che non conosco e lontana da persone che vedo tutti i giorni, un sentimento falso, una balla che mi racconto.
questo libro mi sgomenta:
26 gennaio.
Noi giacevamo in un mondo di morti e di larve. L’ultima traccia di civiltà era sparita intorno a noi e dentro di noi. L’opera di bestializzazione, intrapresa dai tedeschi trionfanti, era stata portata a compimento dai tedeschi disfatti. È uomo chi uccide, è uomo chi fa o subisce ingiusti- zia; non è uomo chi, perso ogni ritegno, divide il letto con un cadavere. Chi ha atteso che il suo vicino finisse di morire per togliergli un quarto di pane, è, pur senza sua colpa, più lontano dal modello dell’uomo pensante, che il più rozzo pigmeo e il sadico più atroce. Parte del nostro esistere ha sede nelle anime di chi ci accosta: ecco perché è non-umana l’esperienza di chi ha vissuto giorni in cui l’uomo è stato una cosa agli occhi dell’uomo. Noi tre ne fummo in gran parte immuni, e ce ne dobbiamo mutua gratitudine; perciò la mia amicizia con Charles resisterà al tempo.
nella visione di Primo Levi la condizione del lager in cui un uomo, un salvato, sopravviverà a un altro, un sommerso, sarà anche l'esito di una capacità di sopravvivenza, ma sarà anche inesorabilmente la condanna di un essere umano a sfavore di un altro. non c'è, di fatto, salvezza possibile sul piano morale, perchè la vicinanza con la morte, la strenua lotta per sopravvivere, la condivisione di fame, diperazione, sopruso, malattia, deprimento, abruttimento, percosse, condurrà un essere umano a privare un altro di un respiro, di una briciola, di una coperta seppure imbrattata di sangue, escrementi e pulci. il non-umano è un'esperienza di degradazione che colpisce tutti, senza speranza, e chi si sottrae, per scelta o incapacità di fare altrimenti, sarà il primo a morire.
Noi giacevamo in un mondo di morti e di larve. L’ultima traccia di civiltà era sparita intorno a noi e dentro di noi. L’opera di bestializzazione, intrapresa dai tedeschi trionfanti, era stata portata a compimento dai tedeschi disfatti. È uomo chi uccide, è uomo chi fa o subisce ingiusti- zia; non è uomo chi, perso ogni ritegno, divide il letto con un cadavere. Chi ha atteso che il suo vicino finisse di morire per togliergli un quarto di pane, è, pur senza sua colpa, più lontano dal modello dell’uomo pensante, che il più rozzo pigmeo e il sadico più atroce. Parte del nostro esistere ha sede nelle anime di chi ci accosta: ecco perché è non-umana l’esperienza di chi ha vissuto giorni in cui l’uomo è stato una cosa agli occhi dell’uomo. Noi tre ne fummo in gran parte immuni, e ce ne dobbiamo mutua gratitudine; perciò la mia amicizia con Charles resisterà al tempo.
nella visione di Primo Levi la condizione del lager in cui un uomo, un salvato, sopravviverà a un altro, un sommerso, sarà anche l'esito di una capacità di sopravvivenza, ma sarà anche inesorabilmente la condanna di un essere umano a sfavore di un altro. non c'è, di fatto, salvezza possibile sul piano morale, perchè la vicinanza con la morte, la strenua lotta per sopravvivere, la condivisione di fame, diperazione, sopruso, malattia, deprimento, abruttimento, percosse, condurrà un essere umano a privare un altro di un respiro, di una briciola, di una coperta seppure imbrattata di sangue, escrementi e pulci. il non-umano è un'esperienza di degradazione che colpisce tutti, senza speranza, e chi si sottrae, per scelta o incapacità di fare altrimenti, sarà il primo a morire.
Qui è diverso. Di fronte alle ragazze del laboratorio,
noi tre ci sentiamo sprofondare di vergogna e di imbarazzo. Noi sappiamo qual è il nostro aspetto: ci vediamo
l’un l’altro, e talora ci accade di specchiarci in un vetro
terso. Siamo ridicoli e ripugnanti. Il nostro cranio è calvo il lunedì, e coperto di una corta muffa brunastra il sa-
bato. Abbiamo il viso gonfio e giallo, segnato in permanenza dai tagli del barbiere frettoloso, e spesso da
lividure e piaghe torpide; abbiamo il collo lungo e nodoso come polli spennati. I nostri abiti sono incredibilmente sudici, macchiati di fango, sangue e untume; le
brache di Kandel gli arrivano a metà polpacci, rivelando
le caviglie ossute e pelose; la mia giacca mi spiove dalle
spalle come da un attaccapanni di legno. Siamo pieni di
pulci, e spesso ci grattiamo spudoratamente; siamo costretti a domandare di andare alla latrina con umiliante
frequenza. I nostri zoccoli di legno sono insopportabilmente rumorosi, e incrostati di strati alterni di fango e
del grasso regolamentare.
E poi, al nostro odore noi siamo ormai avvezzi, ma le
ragazze no, e non perdono occasione per manifestarcelo.
Non è l’odore generico di mal lavato, ma l’odore di
Häftling, scialbo e dolciastro, che ci ha accolti al nostro
arrivo in Lager ed esala tenace dai dormitori, dalle cucine, dai lavatoi e dai cessi del Lager. Lo si acquista subito
e non lo si perde più: «così giovane e già puzzi!», così si
usa accogliere fra noi i nuovi arrivati.
A noi queste ragazze sembrano creature ultraterrene.
Sono tre giovani tedesche, più Fräulein Liczba, polacca,
che è la magazziniera, e Frau Mayer che è la segretaria.
Hanno la pelle liscia e rosea, begli abiti colorati, puliti e
caldi, i capelli biondi, lunghi e ben ravviati; parlano con
molta grazia e compostezza, e invece di tenere il labora-
torio ordinato e pulito, come dovrebbero, fumano negli
angoli, mangiano pubblicamente tartine di pane e marmellata, si limano le unghie, rompono molta vetreria e
poi cercano di darne a noi la colpa; quando scopano ci
scopano i piedi. Con noi non parlano, e arricciano il naso quando ci vedono trascinarci per il laboratorio,
squallidi e sudici, disadatti e malfermi sugli zoccoli. Una
volta ho chiesto una informazione a Fräulein Liczba, e
lei non mi ha risposto, ma si è volta a Stawinoga con viso
infastidito e gli ha parlato rapidamente. Non ho inteso
la frase, ma «Stinkjude» l’ho percepito chiaramente, e
mi si sono strette le vene. Stawinoga mi ha detto che, per
ogni questione di lavoro, ci dobbiamo rivolgere a lui direttamente.
Queste ragazze cantano10, come cantano tutte le ragazze di tutti i laboratori del mondo, e questo ci rende
profondamente infelici.
Discorrono fra loro: parlano del
tesseramento, dei loro fidanzati, delle loro case, delle feste prossime...
– Domenica vai a casa? Io no: è così scomodo viaggia-
re!
– Io andrò a Natale. Due settimane soltanto, e poi sarà
ancora Natale: non sembra vero, quest’anno è passato
così presto!
... Quest’anno è passato presto. L’anno scorso a quest’ora io ero un uomo libero: fuori legge ma libero, avevo un nome e una famiglia, possedevo una mente avida
e inquieta e un corpo agile e sano. Pensavo a molte lontanissime cose: al mio lavoro, alla fine della guerra, al
bene e al male, alla natura delle cose e alle leggi che governano l’agire umano; e inoltre alle montagne, a cantare, all’amore, alla musica, alla poesia. Avevo una enorme, radicata, sciocca fiducia nella benevolenza del
destino, e uccidere e morire mi parevano cose estranee e
letterarie. I miei giorni erano lieti e tristi, ma tutti li
rimpiangevo, tutti erano densi e positivi; l’avvenire mi
stava davanti come una grande ricchezza. Della mia vita
di allora non mi resta oggi che quanto basta per soffrire
la fame e il freddo; non sono più abbastanza vivo per sapermi sopprimere.
ecco un accenno al suicidio, mai più trattato nel testo, ma quel che mi colpisce di questo brano sono le ragazze tedesche del laboratorio. mi sconvolge, ma non mi stupisce, la condivisione del popolo dell'idea di sterminio, la convivenza con i campi di annientamento a un passo dalle proprie case, l'assunzione del ruolo di crudeltà, l'adozione dell'attegiamento umiliante e denigratorio. quel che penso e non so pensare ad altro è che le tre ragazze del laboratorio sono diventate madri e nonne di uomini tedeschi teutonici contemparanei. quindi? hanno chiesto scusa? hanno rettificato l'educazione dei propri figli? hanno tramandato la disumanità della superiorità di razza? dove sono, ora quelle donne quei figli e quei nipoti? come vivono il loro passato?
questo libro mi insegna che che il primo passo per la sopravvivenza è l'annientamento del ricordo e della memoria, quindi l'annullamento della capacità di sentire e condividere. Primo levi rammenta spesso che la necessità di sopravvivere alla fame e al freddo, il bisogno di tenere insieme un corpo che si sfalda si ammala si deturpa e deperisce, annulla il ricordo del propro essere stato, altro, in un'altra storia di sè e del mondo. il momento più crudele della giornata, più insopportabile di tutto il male e lo stupro, è il ricordo, è il sogno collettivo di junghiana sapienza, di tornare a casa e di non essere ascoltati dalla propria famiglia, ormai annientati nell'essenza ancora prima che nel corpo.
questo libro è, per tutto questo, testimonianza della militanza della memoria.
6 commenti:
...Non è un paese per vecchi, titola un film, così come "Se questo è un uomo" non è un libro per tutti. I brani riportati nei post mettono angoscia, almeno a me, e credo che non potrei leggerlo senza infine chiedermi, chi sarei stato o diventato, in uno qualunque di quei luoghi, perché penso non sia possibile semplicemente attraversare un libro, senza sentirsi in qualche modo parte delle vicende narrate. Ho letto molto di Viktor Frankl, anch'egli internato ad Auschvitz e Dachau, da psichiatra Frankl cerca un significato anche in quei luoghi, e dice così: " « Che cos'è, dunque, l'uomo? Noi l'abbiamo conosciuto come forse nessun'altra generazione precedente; l'abbiamo conosciuto nel campo di concentramento, in un luogo dove veniva perduto tutto ciò che si possedeva: denaro, potere, fama, felicità; un luogo dove restava non ciò che l'uomo può "avere", ma ciò che l'uomo deve essere; un luogo dove restava unicamente l'uomo nella sua essenza, consumato dal dolore e purificato dalla sofferenza. Cos'è, dunque, l'uomo? Domandiamocelo ancora. È un essere che decide sempre ciò che è. » E purtroppo cara Rossa, ci è anche vietato appellarci al puro istinto di conservazione: Siamo Esseri coscienti.
ciao Rossa..semplicemente da incubo continuo,è angosciante sprofondare nella malvagità,in questo e in altri orrori(perchè purtroppo il nazismo ha,sotto altri nomi,avuto degli imitatori,cambiando solo geografia e metodi)è preponderante la domanda(a mio avviso senza risposta definitiva) impossibile:che cos'è l'uomo,cosa è un uomo?per come la vedo siamo in un labirinto,all'incirca come certi topi da laboratorio ma,senza ricercatore,siamo noi gli scienziati,gli esploratori,gli indagatori del nostro senso medesimo.anch'io,come il precedente commento,mi sono chiesto che parte avrei avuto in quella discesa agli inferi,e verosimilmente(per mia fortuna..)con uno scarto minimo,so cosa avrei fatto,ne ho la quasi certezza.certa è una cosa ,il tuo post,le parole di Levi,aprono ad un oceano di riflessioni profonde.e questo è importante.
monteamaro, ciao.
il libro è angosciante, indubbiamente, ma è un libro necessario. meno male che esiste.
le riflessioni dello psichiatra che citi mi sembrano, così per quel che posso capire, molto meno profonde di quelle di Levi. Levi è inesorabile, dice cose inascoltabili eppure non si può che credergli.
non so cosa vuoi dire nel dire che siamo esseri coscienti, che decidiamo sempre ciò che siamo. questo non è vero nemmeno in condizioni normali, la mia pratica me lo dice, siamo mossi anche da qualcosa che non è la nostra volontà, chissà come ci si muove quando tutti i punti di riferimento sono scardinati e si vive in fame e paura cronica.
corte sconta, io invece non so cosa sarei stata. è una domanda improponibile. non lo so.
Ciao Rossa, credo anch'io che il non dimenticare fatti terribili sia necessario, anche se l'uomo purtroppo, non è mai stato un buon allievo. (perdona il pessimismo). Per Essere cosciente, intendo che pur in condizioni estreme, e a differenza della quasi totalità degli animali che agiscono di puro istinto, l'uomo ha comunque la libertà di comportamento, perché sa benissimo che per ogni sua azione ci sarà una reazione che lo coinvolgerà, nel bene, o nel male. Certo, la volontà di un uomo non è un atto assoluto, cioè -un si o un no-, ma una somma di elementi del sé stesso interiore e dell'ambiente esteriore, che lo conducono poi -al si o al no-. In condizioni particolari estreme, l'uomo ha avuto comportamenti estremi ed opposti: C'è l'eroe e c'è il vile. Chi sarei in condizioni estreme? Domanda di riserva grazie...
è opinione molto diffusa che l'uomo scelga, decida, muova il mondo. per lo più l'uomo è agito, l'io è molto meno potente di quanto crediamo, qualcosa, eroi o vigliacchi, ci muove ben oltre la nostra volontà cosciente.
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