stiamo parlando, qui ed ora, della più bella fiaba mai scritta, Alice nel paese delle Meraviglie.
nel caso specifico stiamo navigando in Attraverso lo specchio e quel che Alice vi trovò.
il gioco di Lewis Carrol è raffinatissimo, questo dialogo, tra le seccature di Unto Dunto (Humpy Dumpty) e la superbia di Alice, tra le argomentazioni irritanti e irritate del primo e la logica stretta e ristretta della seconda, è magistrale, divertentissimo e geniale. chi dei due si offende di più per l'ignoranza dell'altro?
la questione è: il dono ingenetliaco e la sua evidente superiorità (anche solo numerica, 364 doni potenziali contro il solo del giorno del compleanno) rispetto a quello genetliaco.
Walt Disney, nel suo film, l'aveva semplificata, affidandola al Cappellaio Matto, la Lepre Marzolina e il Ghiro, celebrandola, appunto, nell'occasione mai paga della festa di NON-compleanno.
propongo ufficialmente di abolire il genetliaco, di santificare il non-compleanno -adoro il te con i pasticcini e agogno di passare freneticamente e golosamente da un posto all'altro alla ricerca di una tazza pulita lungo il lunghissimo tavolo addobbato per la festa- e di istituire per legge l'obbligo dei doni ingenetliaci.
probabilmente perché detesto l'idea che domani sia il mio compleanno. è tardi lo so ma c'è sempre tempo...
...
— È molto seccante, — disse Unto Dunto, dopo un lungo
silenzio, guardando da un’altra parte, mentre parlava, — sentirsi dar
dell’uovo. Molto, molto seccante!
— Ho detto che rassomigliavate ad un uovo, signore, — spiegò
Alice gentilmente. — E alcune uova sono graziosissime, veramente, — ella
aggiunse, sperando di fare accettare la sua frase come un complimento.
— Certi, — disse Unto Dunto, sempre guardando, come il
solito, da un’altra parte, — non hanno più intelligenza di un fantolino.
Alice non sapeva che rispondere: si disse che quella non era
una conversazione, perchè egli non le rivolgeva mai la parola; l’ultima
osservazione infatti l’aveva rivolta evidentemente ad un albero. Così ella se
ne stette muta, ripetendo dolcemente a sè stessa:
Unto Dunto sedea sul muro
Unto Dunto cascò sul duro;
Tutti i fanti che accorsero tosto
Non sepper alzarlo e rimetterlo a posto.
Quest’ultimo verso è troppo lungo per una poesia; — ella
aggiunse, quasi ad alta voce, dimenticando che Unto Dunto la sentiva.
— Non chiacchierare così sola, — le disse Unto Dunto,
guardandola per la prima volta, — ma dimmi come ti chiami e che fai.
— Mi chiamo Alice, ma...
— Hai un nome molto sciocco! — la interruppe con impazienza
Unto Dunto. — Che cosa significa?
— Forse che un nome deve significare qualche cosa? — domandò
Alice dubbiosa.
— Altro che! — disse Unto Dunto con una breve risata: Il mio
nome significa la forma che ho io... fra parentesi una forma graziosa e bella.
Con un nome come il tuo si può avere qualunque forma o quasi.
— Perchè ve ne state lì seduto solo solo? chiese Alice che
non voleva cominciare una discussione.
— Perchè non v’è nessuno con me! — gridò Unto Dunto. —
Credevi che non ti sapessi rispondere? Domanda un’altra cosa.
— Non pensate che in terra stareste più sicuro? — Alice
continuò; non con l’idea di proporre un altro indovinello, ma semplicemente per
simpatia verso la strana creatura. — Lassù dovete stare così scomodo.
— Che facili indovinelli mi dai a indovinare! — brontolo
Unto Dunto. — Io no, non la penso così. Ebbene, se mai cadessi... non c’è
pericolo...; ma se cadessi... — e qui egli gonfiò le labbra, e prese un aspetto
così solenne e maestoso che Alice non potè, per quanto facesse, trattenersi dal
ridere. — Se cadessi, — egli continuo, — "Il Re mi ha promesso..."
puoi anche diventar pallida, se ti dispiace. Tu non credevi che dovessi dir
questo? Il Re mi ha promesso... con la sua stessa bocca... di... di...
— Di mandarvi tutti i suoi fanti, — Alice interruppe,
piuttosto imprudentemente.
— Ora io ti dico che sta malissimo, — gridò Unto Dunto,
montando improvvisamente in collera. — Tu hai origliato alla porta... e dietro
gli alberi... e sotto i camini... se no, non l’avresti saputo.
Ma no, — disse Alice molto umilmente, — c’è in un libro.
— Ah, sì, si scrivono simili cose nel libri? disse Unto
Dunto con tono più calmo. — Forse è nella storia. Ora guardami. Io sono uno che
ha parlato col Re: forse non vedrai mai un altro, che abbia parlato al Re, e
per mostrarti che io non sono orgoglioso, ti permetto di stringermi la mano. (E
ghignò quasi da un orecchio all’altro, mentre si sporgeva più che gli era
possibile, da quel muro) e stese la mano ad Alice. Ella lo guardava con qualche
ansia, mentre la prendeva.
"Se egli sorridesse un po’ più, le estremità della
bocca gli si incontrerebbero sulla nuca, ella pensava: — e chi sa che potrebbe
accadere alla sua testa. Temo che si spaccherebbe."
— Si, mi manderebbe tutti i suoi fanti, continuò Unto Dunto.
— In un minuto mi raccoglierebbero, altro che! Però questa conversazione va
troppo rapidamente innanzi, ritorniamo alla penultima osservazione.
— Non credo di ricordarla, — disse Alice con molta cortesia.
— Se è così, cominceremo da capo, — disse Unto Dunto, — ed
ora spetta a me scegliere un soggetto. ("Egli parla come se si trattasse
di un giuoco," pensava Alice). Ecco una domanda per te. Quanti anni dicevi
di avere?
Alice fece un breve calcolo e disse:
— Sette anni e sei mesi.
— Che c’entra? — esclamo Unto Dunto con accento di trionfo.
— Tu non avevi mai detto niente di simile.
— Io credevo che voi intendeste: "Quanti anni
hai," — spiego Alice.
— Se avessi inteso questo, l’avrei detto, disse Unto Dunto.
Alice, non volendo incominciare un’altra discussione, non
disse nulla.
— Sette anni e sei mesi! — ripetè Unto Dunto pensoso. —
Un’età molto scomoda. Se tu ti fossi consigliata con me, t’avrei detto:
"fermati a sette"... ma ora è troppo tardi.
— Non mi consiglio con nessuno sull’età, disse Alice
indignata.
Così orgogliosa sei? — chiese l’altro.
Alice si sentì ancora più indignata a questa domanda.
— Voglio dire che uno non può fare a meno dal crescere.
— Uno forse non può, — disse Unto Dunto, — ma due sì.
Efficacemente aiutata, avresti potuto rimanere a sette.
— Che bella cintura che avete! — osservò improvvisamente
Alice. (Ne avevano abbastanza sul conto dell’età, ella pensava, e se veramente
dovevano scegliere i soggetti a turno, adesso toccava a lei) — cioè, — ella
corresse, ripensandoci — una bella cravatta. Avrei dovuto dire... no, una
cintura, voglio dire... scusatemi, — essa aggiunse impacciata, perchè Unto
Dunto appariva perfettamente offeso, ed ella cominciò a deplorare di aver
toccato quell’argomento. — Se soltanto sapessi, — diceva fra sè, — qual è il
collo e qual è il petto.
Evidentemente Unto Dunto era irritatissimo, sebbene stesse
zitto per uno o due minuti. Quando riparlò, fu con un sordo brontolio.
— È... una cosa molto seccante, — egli disse finalmente, —
che una persona non distingua una cravatta da una cintura.
— È per la mia grande ignoranza, — disse Alice, in un tono
così umile che Unto Dunto si calmò.
— È una cravatta, e bella, come tu dici. È un dono del Re
Bianco e della Regina. Ecco tutto.
— Veramente? — disse Alice, lietissima di aver trovato
finalmente un buon argomento.
— Me l’hanno data, — continuò Unto Dunto pensoso, mettendo
una gamba a cavalcioni sull’altra e circondando con le mani il ginocchio, me
l’hanno data per un dono ingenetliaco.
— Scusatemi... — disse Alice con aria impacciata.
— Tu non m’hai offeso, — disse Unto Dunto.
— Voglio dire, che cosa è un dono ingenetliaco?
— Un dono che ti si offre quando non è il tuo genetliaco, è
chiaro.
Alice stette un po’ a pensare.
— Mi piacciono più i doni genetliaci, — finalmente disse.
— Tu non sai quel che ti dici, — gridò Unto Dunto. — Quanti
sono i giorni in un anno?
— Trecentosessantacinque.
— E quanti genetliaci hai?
— Uno.
— E se togli uno da trecentosessantacinque, che rimane?
— È semplice: trecentosessantaquattro.
Unto Dunto parve dubbioso.
— Lo vorrei eseguito sulla carta, — egli disse.
Alice non potè fare a meno dal sorridere, mentre cavava il
taccuino e faceva per lui la sottrazione:
365
l
———
364
Unto Dunto prese il libro e guardò attentamente.
— Mi pare esatta... — egli cominciò.
— Lo tenete sottosopra! — interruppe Alice.
— È vero, — disse Unto Dunto allegramente, mentre Alice gli
voltava il taccuino, — pensavo appunto che mi sembrava un po’ strano. Dicevo
dunque: "Mi sembra esatta..." chè ora non ho il tempo di esaminarla
con calma... e questo mostra che vi sono trecentosessantaquattro giorni nei
quali ti può essere offerto un dono ingenetliaco.
Certo, — disse Alice.
— E uno solo per i doni genetliaci. Eccoti gloria.
— Io non so che intendiate per "gloria", disse
Alice.
Unto Dunto sorrise con aria di compatimento..
— Certo che non lo intendi... se non te lo dico. Eccoti un
magnifico trionfale argomento.
— Ma "gloria" non significa un magnifico trionfale
argomento, — obiettò Alice.
— Quando io uso una parola, — disse Unto Dunto in tono
d’alterigia, — essa significa ciò che appunto voglio che significhi: nè più nè
meno.
— Si tratta di sapere, — disse Alice, — se voi potete dare
alle parole tanti diversi significati.
— Si tratta di sapere, — disse Unto Dunto, — chi ha da
essere il padrone... Questo è tutto.
2 commenti:
la vita.."che fatica,ma che grande bellezza".lunga e proficua vita a te,guerrigliera armoniosa.gli anni che scorrono sono come pagine di un gran bel libro,certo non è così per tutti,ma nel tuo caso mi pare solare.ciao.
com'è che a me sembra un po' meno???
grazie, un bel ciao a te.
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