il libro è finito così. e proprio non capivo.
c'è un errore mi sono detta.
la narrazione si interrompe su un punto assolutamente non risolutivo, una frase qualunque, in un momento sospeso e drammatico, così drammatico da non poter rimanere sospeso.
e invece è proprio così. fine del discorso, senza soluzione, senza colpevole, senza soluzione del mistero.
arrangiatevi, voi lettori.
« Fuori il nome ! » urlò don Ciccio. « La polizzia lo conosce già chesto nome. Se lo
dite subbito, » la voce divenne grave, suasiva: « è tanto di guadagnato anche pe vvoi.
» « Sor dotto, » ripetè la Tina a prender tempo, esitante, « come j' 'o posso dì, che nun
so gnente? » « Anche troppo lo sai, bugiarda, » urlò Ingravallo di nuovo, grugno a gnigno. Di Pietrantonio allibì. « Sputa 'o nome, chillo ca tieni cà: ot' 'o farà sputare 'o brigadiere, in caserma, a Marino: 'o brigadiere Pestalozzi. » « No, sor dotto, no, no, nun
so' stata io ! » implorò allora la ragazza, simulando, forse, e in parte godendo, una paura
di dovere: quella che nu poco sbianca il visetto, e tuttavia resiste a minacce. Una vitalità splendida, in lei, a lato il moribondo autore de' suoi giorni, che avrebbero ad essere
splendidi: una fede imperterrita negli enunciati di sue carni, ch'ella pareva scagliare audacemente all'offesa, in un subito corruccio, in un cipiglio: « No, nun so' stata io !» Il
grido incredibile bloccò il furore dell'ossesso. Egli non intese, là pe' Uà, ciò che la sua anima era in procinto d'intendere. Quella piega nera verticale tra i due sopraccigli dell'ira, nel
volto bianchissimo della ragazza, lo paralizzò, lo indusse a riflettere: a ripentirsi, quasi.
è mai possibile che un libro, giallo, noir, dopo tutta 'sta girandola di personaggi e situazioni, finisca con un quasi?
ho veramente pensato a un errore, prima tecnico, poi umano, dell'ingegner Gadda stesso, ma poi no, nessun errore, nemmeno umano, solo desiderio caparbio che il pasticciaccio brutto rimanga brutto e insoluto, rimanga appeso a un quasi, come la vita. c'è forse qualcuno che ha risposte ai suoi gialli familiari, ai suoi pasticciacci brutti de via merulana?
Ebbene, nella terza scena si riassume l’intera vicenda sentimentale e sociale
di Tina e Liliana. Tina era l’amante di Liliana e non merita di essere trattata
come fa la signora alla presenza del commissario Ingravallo; Liliana si è meritata il comportamento di Tina, che non si fa vedere al suo funerale. E Liliana
potrebbe persino essersi meritata la morte, anche per avere rotto bruscamente la
loro relazione con un immotivato licenziamento:
la rotazione di serve e figlie adottive con cui Liliana surroga l’assenza di figli.
L’assassina (Tina?) aveva mandato un messaggio per svelare la natura delle
relazioni che Liliana ha con figlie e serve: lasciando «violentemente» sollevate
fino al petto le gonne di Liliana morta o morente.
Dunque un delitto passionale, come sin dall’inizio aveva congetturato
Ingravallo. Il quale nella prima pagina del romanzo ha indicato nell’interesse e
nell’erotìa due tra i fattori principali del comportamento umano. Tina è una
ragazza povera che vive in ambiente che ha la sua cifra fondamentale nella
miseria. Difficile distinguere quanto nel suo comportamento sia dovuto alla
condizione sociale da cui ha impellente interesse a liberarsi e quanto si deve alla
relazione sentimentale e sessuale avviata da Liliana, la bellissima, elegante e
dolce signora che utilizza la propria ricchezza per “asservire” le ragazze che
hanno urgenza di abbandanare i luoghi natali, quelli che danno il tremendo spettacolo finale nell’agonia del padre di Tina. Chi è più colpevole a questo punto
fra Liliana e Tina, ammesso che questa sia l’assassina per via di una negazione
che afferma?
Di cosa si pente allora Ingravallo? Forse di essere arrivato a una conclusione che comporta la condanna di Tina? Si pente di essere un poliziotto che ha il dovere di arrestare chi ha compiuto il reato? O il dovere sarebbe quello di valutare i fatti come farebbe un loro sottile e più veritiero interprete, cioè un narratore la cui sensibilità vada oltre i fatti? Di quante cose non deve pentirsi un uomo in presenza della morte: per ora l’altrui ma presto anche la propria! Gadda è alla fine del romanzo, che forse è anche l’ultimo della sua vita. Quella che ora sta scrivendo forse è l’ultima pagina. E infatti poi non scriverà altro, anche se promette di riprendere il Pasticciaccio per portarlo a termine. Gadda può anche credere di doverlo completare, ma è il romanzo a dire no. È arrivato dove «doveva» arrivare? Quasi.
(WALTER PEDULLÀ - Il finale di Quer pasticciaccio brutto de via Merulana)
Di cosa si pente allora Ingravallo? Forse di essere arrivato a una conclusione che comporta la condanna di Tina? Si pente di essere un poliziotto che ha il dovere di arrestare chi ha compiuto il reato? O il dovere sarebbe quello di valutare i fatti come farebbe un loro sottile e più veritiero interprete, cioè un narratore la cui sensibilità vada oltre i fatti? Di quante cose non deve pentirsi un uomo in presenza della morte: per ora l’altrui ma presto anche la propria! Gadda è alla fine del romanzo, che forse è anche l’ultimo della sua vita. Quella che ora sta scrivendo forse è l’ultima pagina. E infatti poi non scriverà altro, anche se promette di riprendere il Pasticciaccio per portarlo a termine. Gadda può anche credere di doverlo completare, ma è il romanzo a dire no. È arrivato dove «doveva» arrivare? Quasi.
(WALTER PEDULLÀ - Il finale di Quer pasticciaccio brutto de via Merulana)
nella meraviglia e nello stupore di questo lessico gaddiano, così ricco da saziarsi per il resto della vita letteraria, mi vengono in mente le descrizioni del duce, dell'italia fascista, della retorica e vuoto trionfalismo.
arriverderci ingegner Gadda.
e vai col buce testa di morto:
arriverderci ingegner Gadda.
e vai col buce testa di morto:
Vigeva ora il vigor nuovo del Mascellone, Testa di Morto in bombetta, poi Emiro col fez, e col pennacchio,
e la nuova castità della baronessa Malacianca-Fasulli, la nuova legge delle
verghe a fascio. Pensare che ce fossero dei ladri, a Roma, ora? Co quer gallinaccio co
la faccia fanatica a Palazzo Chiggi?
Il caso Pirroficoni non aveva ancora afflitto le cronache dell'Urbe: il Testa di Morto in
feluca sitiva già, per altro, la penna di pavone dell'indiziato, da potersela infilare dove lui s'infilava
le penne: de pavone o de pollo guasto che puzza.
Il Pirroficoni avea fatto, com'e' suole, alcuna
carezza alla bimba: il quale atto, e il di cui rossore, lo perdettero. Su questo bell'indizio
il Testa di Morto in pernacchi eruttò che « la polizzia romana in meno di 48 ore eccetera
eccetera ». E il birro, confortato dall'alta parola del buce, dagli a stangare.
Di maschio, in casa sua, non c'era che lui: a non computare la maschia boce del
buce, che di quand'in quando gli risonava nelle camere timpaniche suscitandovi tonifìcatrici
risonanze, rivitalizzandogli non meno che a dodici milioni d'italiani la capa, anzi: ch'era,
la sua, na capa marescialla, per quanto scaltra.
Ereno i primi boati, i primi sussulti, a palazzo, dopo un anno e mezzo de novizzio, del
Testa di Morto in stiffelius, o in tight: ereno già l'occhiatacce, er vommito de li gnocchi:
l'epoca de la bombetta, de le ghette color tortora stava se pò dì pe conclude: co quele
braccette corte corte de rospo, e queli dieci detoni che je cascaveno su li fianchi come
du rampazzi de banane, come a un negro co li guanti. I radiosi destini non avevano avuto
campo a manifestarsi, come di poi accadde, in tutto il loro splendore. La Margherita, di ninfa Egeria scaduta a Didone abbandonata, varava ancora il Novecento, el noeufcént,
l'incubo dei milanesi di allora. Vacava alle mostre, ai lanci, agli oli, agli acquerelli, agli
schizzi, quanto può vacarci una gentile Margherita. Lui s'era provato in capo la feluca,
cinque feluche. Gli andavano a pennello. Gli occhi spiritati dell'eredoluetico oltreché
luetico in proprio, le mandibole da sterratore analfabeta del rachitoide acromegàlico riempivano
di già L'Italia Illustrata: già principiavano invaghirsene, appena untate de cresima,
tutte le Marie Barbise d'Italia, già principiavano invulvarselo, appena discese d'altare, tutte le
Magde, le Milene, le Filomene d'Italia: in vel bianco, redimite di zàgara, fotografate dal fotografo
all'uscire dal nartece, sognando fasti e roteanti prodezze del manganello educatore. Le
dame, a Maiano o a Cernobbio, già si strangolavano ne' su' singhiozzi venerei all'indirizzo
der potenziatore d'Italia. Giornalisti itecaquani lo andavano intervistare a palazzo Chigi, le
sue rare opinioni, ghiotti ghiotti, le annotavano in un'agendina presto presto, da non lasciarne
addietro un sol micolo. Le opinioni del mascelluto valicavano l'oceano, la mattina
a le otto ereno già un cable, desde Italia, su la prensa dei pionieri, dei venditori di vermut. «
La flotta ha occupato Corfù ! Quell'uomo è la provvidenza d'Italia. » La mattina dopo er
controcazzo : desde la misma Italia. Pive ner sacco. E le Magdalene, dai: a preparar Balilli a
la patria. Le macchine de la questura « stazzionaveno » : ar Collegio Romano.
1 commento:
ciao papillon rouge,"fascisti su marte"del grande c.guzzanti può aiutare..a comprendere tutta l'insensatezza e la stupidità ed il grottesco(pur nella sua tragicità)di mascellone e i suoi complici."non voglio essere più radice e tomba,sotteraneo deserto,stiva di morti,tutto intirizzito e di pena moribondo.P.Neruda(residencia en la tierra)
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