io non avrei mai pensato, stupidamente credo, che le poesie di David Maria Turoldo, sacerdote, uomo di fede, potessero piacermi.
perchè?
perchè la fede, nella mia testa, appiattisce il dubbio?
perchè la fede risolve l'esistenza fornendo delle risposte?
perchè la fede delimita la libertà di concedersi il dolore, il pensiero, la frantumazione, la gelosia, la disperazione?
ecco, ho sbagliato. e di grosso.
sono ignorante e presuntuosa.
queste poesie sono così dense di dolore, di dubbio, di disperazione, di abbandono che mi hanno colta impreparata. mi colpisce l'affidamento tutt'altro che dogmatico, ma dubbioso e tormentato, il dolore per una presenza così importante, dio e l'amore per dio, che si fa perennemente assente. è un tormento, amare chi non c'è, chi non si fa vedere, chi è inaccessibile, pur desiderandolo come reale. esplodono frustrazione, a volte rabbia, a volte gelosia, è un amore terreno, spasimante quello di Turoldo verso dio. lo sento vicino, lo sento possibile, lo sento complice proprio perchè io non credo ma comprendo questo amore che non si da pace, che non ha risposte, che chiede e non riceve, che da senza riserve ma non trova la sostanza che vorrebbe. l'esperienza dell'amore per dio è un vero dramma per quest'uomo, questo poeta, un paradosso scandaloso, una contraddizione irrisolvibile. non c'è pace nella sua poesia, non sa darsi spiegazione di un'incarnazione divina, di "un dio/ che muore". di un dio fattosi uomo che, però, si nega: "credere è entrare in conflitto", perchè significa anelare a una ricongiunzione, a un'unione, a una fusione impossibile. è un avvicinamento al mistero destinato a fallire, a far soffrire, a non trovare confronto in cui la poesia copre uno spazio, quello del "silenzio di dio".
Ora so perché Ora so perché altro tempo
- dono che più ci invidiano gli angeli -
benignamente mi concedesti:
perché l'estenuante
desiderio di te mi rendesse
meno indegno
e nell'attesa io cantassi
- come non mai -
all'amorosa pazzia:
ora
che ad una ad una si spengono
le fiamme e un pianto segreto
mi ristora
e libera memoria dal rimorso
della colpa più grave
di non essermi lasciato amare.
Per la notte
Per la notte oscura
per il mare che all'improvviso
ha rotto la pace
per la pace frantumata sulle rocce
per il vento che libertà dà agli spiriti del male
sulle impaurite case
per l'urlo feroce del mare
e per la paura che dietro le porte
qualcuno ci rinchiuda
io ti rendo grazie, Signore
Io faccio amara anche la tua morte
Mamma, hai la bocca piena di terra.
Radici ora ramificano dagli occhi
dal cuore che ci offriva il pane in silenzio.
E tremavi tutta per la nostra pena
di fanciulli ormai adulti,
di fanciulli ancora soli e poveri.
La casa è deserta d'allora,
la corte tutta un disordine e nulla
è mutato dell'esistenza avara.
Mamma, ora neppure Iddio mi risponde,
Egli s'è chiuso dietro un portone di bronzo
cui picchio, soprattutto di notte,
ma nessuno viene il consolare
questo tuo ultimo figlio.
Solo il vento fischia e cavalca
su tutta la pianura.
Ho lasciato il gregge: ricordi
la pecora segnata di bianco in fronte,
la pecora vissuta con noi tanti anni,
la madre di tutti gli agnelli
che sapeva il tuo passo lieve
e ti chiamava con la voce di una creatura
e ti guardava con occhi così dolci
quando la mungevi a sera.
E io ero felice come una rondine
di ritorno dai campi col gregge sazio.
Ho lasciato i nostri campi, mamma,
quella pianura vasta e taciturna
dal colore dei tuoi capelli
biondi come le vigne all'autunno.
Ho lasciato i compagni sul sagrato
a rincorrersi e la chiesa bianca:
ricordi quel giorno triste di settembre,
tu mi salutavi dietro la porta e dicevi:
figlio, noi siamo poveri,
è un'avventura troppo grande!
È un'avventura troppo grande, Madre!
E il cielo non risparmia nessuno
e gli uomini non perdonano ai sacerdoti.
Ora torno dal deserto di mezza Europa
nella casa immensa. (Allora
ci pareva un nido di passeri.)
E mi pesi ancora sulle braccia
a nero vestita e serena.
D'allora mi pesi ogni giorno sulla patena
insieme a Cristo, mia dolce rovina,
come forse noi ti pesavamo nel grembo.
Prima tu piangevi sulla nostra sorte,
ora io faccio amara anche la tua morte.
Ballata della disperazione
...
VI.
"Io sono" è il mio nome:
oltre il dubbio e la fede
oltre le stesse immagini
oltre ogni previsione,
sono la voce di cieli nuovi
e di terre nuove.
E il silenzio
e il canto dentro il silenzio.
7 commenti:
condivido la tua analisi...amo molto questo poeta pur non condividendo la sua " fede", ma la poesia, con i suoi contenuti, trascende l' oggetto...per agitare acque che sono comuni ad ognuno di noi, a prescindere da chi è cosa siamo.
ciao
Hai colmato un vuoto che non sapevo di avere. Poesie dolci, malinconiche, nude, vere.
sono proprio d'accordo con te, S.ilvi
ya. ma questo nome? così complicato? sei sempre la stessa di prima??
Ciao Monteamaro, sono molto contenta di quel che mi scrivi. condividere è una gioia della vita.
si certo, prima solo S. poi ho svelato il nome...ma non sono più la stessa...
ma questo e' un altro discorso :)
ciao Rossa
bellissime parole e commento su padre Turoldo, poeta prima ancora che uomo di fede
poeta, perchè la poesia è ricerca -
uomo di fede, perchè credo che anche la fede - io non l' ho - debba essere ricerca e non verità assoluta raggiunta una volta per tutte -
complimenti per il tuo intresante blog
marco
buonasera Marco,
grazie per il tuo commento.
vedo che ami la fotografia...anch'io!
a presto
Rossa
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