Ecco, Concerto Fisico è una partitura fisica e vocale che ripercorre e ridisegna la storia di Balletto Civile, cioè la mia, la storia della mia compagnia. Un racconto musicale. Un greatest hits sghembo e storto che non ha niente di nostalgico per raccontare la storia di un gruppo attraverso i racconti di cui si è fatto veicolo. Come un juke-box che risveglia gli accenti emotivi di un ricordo che è ancora il presente, di come ci siamo trasformati, della sabbia da cui siamo emersi, delle Creature, dei cavalli di legno costruiti per Troia, degli estintori lanciati nel buio, del mare di latte dove Woyzeck e Andres parlano del vuoto, dei supermercati gialli, dell’urlo disperato di Desdemona, di cosa successe a Tebe, della Resistenza, della lotta e della Rivoluzione, di un prato verde e di come alla fine gli Agnelli Cattivi siamo tutti noi, del pavimento specchiato e di una fune arancione, della stupidità, delle cataste di vestiti svuotati, del potere e dei cappotti pesanti del 1918, di volpi impagliate e stagioni sessuali, della morte e di una brasiliana con il pennacchio verde, di un piccolo cane bianco, dei tabù, delle papere di plastica e degli acrobati kenioti, del pilota veneto e del sole sempre in fronte, dei pompieri e dei preti, di un incidente e un autogrill, di una radio e una città sempre in fiamme, del perché delle cose. Poi tutto scompare, risucchiato negli sguardi, come non fosse mai esistito.
Ho sempre cantato negli spettacoli anche quando la mia danza era furiosa, il corpo, i miei gesti sono la mappa di quello che sento e il canto è il mio veicolo per tenermi viva.
ecco appunto, come scrive (ma cosa scrive?) la protagonista stessa si tratta di roba sua, raba perchè lei, solo lei, si senta viva. la sua mappa è così importante?
lo spettacolo (spettacolo?) è andato in onda venerdì 19 in quel del Paolo Pini, ex ospedale psichiatrico, in occasione della rassegna "Da vicino nessuno è normale" e mai titolo festivaliero fu più azzeccato, per la sua cocente verità, di questo. lo penso da anni.
quel che mi è insopportabile è che la suddetta Michela Lucenti ritenga plausibile che ciò che ha significato per lei, ciò che è inscritto nella storia sua, sia di possibile interesse e utilità per gli altri, che pagano per guardarla.
lo spettacolo (spettacolo?) è composto da un'ora di noiose personali e non comprensibili litanie, parole lette e qualche canzone cantata, con innesti di due tipi alla consolle che dicono cose non chiare a chi ascolta, imitano i delfini e citano una non precisata pianola, ci sono parrucche e orecchie da coniglio, alcuni accennati sparuti pezzi di danza, un'accozzaglia di roba, soporifera, che purtroppo, come si intuisce, a me non ha detto niente.
l'altissima presunzione della suddetta, e della sua compagnia, le fa presumere che un'ora di affastellamento di considerazioni sue intime possano assurgere alla dignità di uno spettacolo, addirittura di arte, che possano trasmettere un significato, o anche solo un intrattenimento, per chi ha fatto la fatica di venirsela a vedere.
nulla di tutto ciò: ho cercato disperatamente qualcosa che mi toccasse che avesse un senso per me, e per gli altri (secondo me il mio vicino soffriva quanto me), qualcosa che mi ricordasse qualcosa, un passo o una canzone che mi destassero un movimento, ma niente, assolutamente niente. è come se per un'ora io avessi ascoltato in studio le questioni private di qualcuno, ma, in quel caso, quel qualcuno non pensa che, a parte me che sono lì per professione, altri debbano essere messi a parte delle sue personalissime cose. soprattutto quel qualcuno non pensa di fare delle sue menate una forma artistica degna di essere pagata.
la cosa ancora più devastante è sentire l'ottusa ovazione del pubblico, certamente basito come me di avere assistito per un'ora a un incomprensibile e muto e cieco vagare della poveretta per lo spazio teatrale senza poter accedere a nulla di, che dico universale, che dico collettivo, che dico generale, vagamente digeribile. le questioni private e inintellegibili di michela lucenti non mi interessano, a meno che sappia trasformarle in qualcosa che riguarda tutti. questo pubblico che grida e si sgola con brava brava (è diventato un riflesso condizionato di certo pubblico onnipresente), magari erano amici e parenti, vorrei tanto sapere cosa si è portato a casa.
il peggio del peggio è la sua ultima rivelazione, in cui afferma di aver capito che insomma un artista deve tirare fuori tutto, mai censurarsi, mai rinunciare a dire tutto quel che ha dentro, potrebbe essere addirittura distruttivo, testuali parole. se ti viene un pensiero vomitalo tutto, sarà arte. addirittura cita Michelangelo che, dice, ha lasciato un biglietto post mortem a un suo allievo, tale Antonio, e chissarà mai, incitandolo a disegnare: "disegna Antonio, disegna, non perdere tempo".
questo cosa ci dice? oltre al fatto che il maestro incita un allievo a esercitarsi? che Antonio abbia poi pensato che l'incitamento equivalesse alla patente di artista? che disegna disegna fosse il permesso di fare dei suoi disegni arte per il pubblico? o forse assolutamente no? lo vogliamo interpretare davvero come un: metti in campo ogni roba che hai e sarai un artista?
l'unica cosa veramente bella perchè inquietante è lo spazio, notturno, dell'ex ospedale psichiatrico. passeggiavo tra le palazzine, ora vuote, ora ancora illuminate dall'interno, tra i viali illuminati dalle lampade a boccia di luce gialla. un brivido mi si è gelato lungo la schiena, quanta storia della psichiatria è passata di lì.
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