destinazione Corfù.
com'é lì?
- greco.
ma dimmi di più
-come a Zante.
ma io a Zante non c'ero
-
bello bellissimo brutto orribile strabiliante piacevole deludente inimmaginabile sognante fan....?
-carino.
cari genitori: resistere resistere resistere.
mercoledì 31 luglio 2019
giovedì 25 luglio 2019
l'Arminuta
Ci siamo fermate una di fronte all’altra, così sole e vicine, io immersa f
ino al petto e lei al collo. Mia sorella. Come un fiore improbabile, cresciuto su un piccolo grumo di terra attaccato alla roccia. Da lei ho appreso la resistenza. Ora ci somigliamo meno nei tratti, ma è lo stesso il senso che troviamo in questo essere gettate nel mondo. Nella complicità ci siamo salvate. Ci guardavamo sopra il tremolio leggero della superficie, i riflessi accecanti del sole. Alle nostre spalle il limite acque sicure. Stringendo un poco le palpebre l'ho presa prigioniera tra le ciglia.
finsce come una poesia, questo splendido libro.
la voce narrante dice: restavo orfana di due madri viventi. una mi aveva ceduta con il suo latte ancora sulla lingua, l’altra mi aveva restituita a tredici anni. ero figlia di separazioni, parentele false o taciute, distanze. non sapevo da chi provenivo. in fondo non lo so neanche adesso.
manca una madre ma emerge una sorella. dall'abbandono, dalla delusione più drammatica, alla scoperta della sorellanza e la forza dirompente della complicità, della resistenza insieme.
nel passaggio della protagonista dall'agiatezza borghese alla miseria operaia di una famiglia povera emerge il corpo, prima profumato pulito silente nascosto ben vestito, poi odoroso puzzolente sporco, carico di umori e di riflessi, di strazi e invasioni, di sensi e di separazioni. quel corpo che emerge segnerà la perdita dell'eterea innocenza verso la consistenza sensuale della maturazione.
un libro potente dalla narrazione magica forte immediata.
L'Arminuta, di Donatella Di Pietrantonio.
irrinunciabile.
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concerto fisico
Ecco, Concerto Fisico è una partitura fisica e vocale che ripercorre e ridisegna la storia di Balletto Civile, cioè la mia, la storia della mia compagnia. Un racconto musicale. Un greatest hits sghembo e storto che non ha niente di nostalgico per raccontare la storia di un gruppo attraverso i racconti di cui si è fatto veicolo. Come un juke-box che risveglia gli accenti emotivi di un ricordo che è ancora il presente, di come ci siamo trasformati, della sabbia da cui siamo emersi, delle Creature, dei cavalli di legno costruiti per Troia, degli estintori lanciati nel buio, del mare di latte dove Woyzeck e Andres parlano del vuoto, dei supermercati gialli, dell’urlo disperato di Desdemona, di cosa successe a Tebe, della Resistenza, della lotta e della Rivoluzione, di un prato verde e di come alla fine gli Agnelli Cattivi siamo tutti noi, del pavimento specchiato e di una fune arancione, della stupidità, delle cataste di vestiti svuotati, del potere e dei cappotti pesanti del 1918, di volpi impagliate e stagioni sessuali, della morte e di una brasiliana con il pennacchio verde, di un piccolo cane bianco, dei tabù, delle papere di plastica e degli acrobati kenioti, del pilota veneto e del sole sempre in fronte, dei pompieri e dei preti, di un incidente e un autogrill, di una radio e una città sempre in fiamme, del perché delle cose. Poi tutto scompare, risucchiato negli sguardi, come non fosse mai esistito.
Ho sempre cantato negli spettacoli anche quando la mia danza era furiosa, il corpo, i miei gesti sono la mappa di quello che sento e il canto è il mio veicolo per tenermi viva.
ecco appunto, come scrive (ma cosa scrive?) la protagonista stessa si tratta di roba sua, raba perchè lei, solo lei, si senta viva. la sua mappa è così importante?
lo spettacolo (spettacolo?) è andato in onda venerdì 19 in quel del Paolo Pini, ex ospedale psichiatrico, in occasione della rassegna "Da vicino nessuno è normale" e mai titolo festivaliero fu più azzeccato, per la sua cocente verità, di questo. lo penso da anni.
quel che mi è insopportabile è che la suddetta Michela Lucenti ritenga plausibile che ciò che ha significato per lei, ciò che è inscritto nella storia sua, sia di possibile interesse e utilità per gli altri, che pagano per guardarla.
lo spettacolo (spettacolo?) è composto da un'ora di noiose personali e non comprensibili litanie, parole lette e qualche canzone cantata, con innesti di due tipi alla consolle che dicono cose non chiare a chi ascolta, imitano i delfini e citano una non precisata pianola, ci sono parrucche e orecchie da coniglio, alcuni accennati sparuti pezzi di danza, un'accozzaglia di roba, soporifera, che purtroppo, come si intuisce, a me non ha detto niente.
l'altissima presunzione della suddetta, e della sua compagnia, le fa presumere che un'ora di affastellamento di considerazioni sue intime possano assurgere alla dignità di uno spettacolo, addirittura di arte, che possano trasmettere un significato, o anche solo un intrattenimento, per chi ha fatto la fatica di venirsela a vedere.
nulla di tutto ciò: ho cercato disperatamente qualcosa che mi toccasse che avesse un senso per me, e per gli altri (secondo me il mio vicino soffriva quanto me), qualcosa che mi ricordasse qualcosa, un passo o una canzone che mi destassero un movimento, ma niente, assolutamente niente. è come se per un'ora io avessi ascoltato in studio le questioni private di qualcuno, ma, in quel caso, quel qualcuno non pensa che, a parte me che sono lì per professione, altri debbano essere messi a parte delle sue personalissime cose. soprattutto quel qualcuno non pensa di fare delle sue menate una forma artistica degna di essere pagata.
la cosa ancora più devastante è sentire l'ottusa ovazione del pubblico, certamente basito come me di avere assistito per un'ora a un incomprensibile e muto e cieco vagare della poveretta per lo spazio teatrale senza poter accedere a nulla di, che dico universale, che dico collettivo, che dico generale, vagamente digeribile. le questioni private e inintellegibili di michela lucenti non mi interessano, a meno che sappia trasformarle in qualcosa che riguarda tutti. questo pubblico che grida e si sgola con brava brava (è diventato un riflesso condizionato di certo pubblico onnipresente), magari erano amici e parenti, vorrei tanto sapere cosa si è portato a casa.
il peggio del peggio è la sua ultima rivelazione, in cui afferma di aver capito che insomma un artista deve tirare fuori tutto, mai censurarsi, mai rinunciare a dire tutto quel che ha dentro, potrebbe essere addirittura distruttivo, testuali parole. se ti viene un pensiero vomitalo tutto, sarà arte. addirittura cita Michelangelo che, dice, ha lasciato un biglietto post mortem a un suo allievo, tale Antonio, e chissarà mai, incitandolo a disegnare: "disegna Antonio, disegna, non perdere tempo".
questo cosa ci dice? oltre al fatto che il maestro incita un allievo a esercitarsi? che Antonio abbia poi pensato che l'incitamento equivalesse alla patente di artista? che disegna disegna fosse il permesso di fare dei suoi disegni arte per il pubblico? o forse assolutamente no? lo vogliamo interpretare davvero come un: metti in campo ogni roba che hai e sarai un artista?
l'unica cosa veramente bella perchè inquietante è lo spazio, notturno, dell'ex ospedale psichiatrico. passeggiavo tra le palazzine, ora vuote, ora ancora illuminate dall'interno, tra i viali illuminati dalle lampade a boccia di luce gialla. un brivido mi si è gelato lungo la schiena, quanta storia della psichiatria è passata di lì.
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venerdì 19 luglio 2019
the kabuki
spettacolo
sontuoso
maestoso
principesco.
The Kabuki, Tokyo Ballet, su musiche di Toshiro Mayuzumi, al Teatro alla Scala, coreografia di Maurice Béjart.
la danza non è dominante, anzi, ma lo è il teatro, in modo elettrizzante.
un regalo di compleanno inimmaginabile.
come faccio a portarmelo dietro?
in tasca.
a guardarlo e riguardarlo?
dovrò accontentarmi dell'esperienza del momento e rivedere tutto con il pensiero, con il ricordo.
ma forse è proprio questo il regalo più bello, immateriale ma preziosissimo, da coltivare come un tesoro, un dono, nella memoria.
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luna saturno e giove
sono andata al castello di Torba e sono impazzita per la luna.
e per gli anelli di Saturno
e per le lune di Giove.
dopo una visita guidata al castello, primo luogo FAI ristrutturato e aperto al pubblico, castrum risalente al V secolo d.c. e poi centro religioso dove le suore benedettine hanno lasciato tracce di sè e della loro piccola ma laboriosa comunità, e dopo un aperitivo americano, denominato Apollo11, ispirato alla cultura della nazione che ha messo piede sulla luna, dopo tutto questo ho ascoltato la bella presentazione intitolata "Il programma Apollo: l'uomo verso la Luna" in collaborazione con l'Osservatorio Astronomico G.V. Schiaparelli del Campo dei Fiori di Varese. la conferenza si è addentrata nella scoperta della luna, delle sue caratteristiche, della sua origine (una collisione di un corpo celeste con la terra che l'ha scissa per sempre da questa e l'ha destinata a orbitarle intorno) e della sua esplorazione a opera della NASA con interessanti dettagli su tutte le missioni Apollo, riuscite o meno, e, dopo questo ancora, siamo finiti nell'ampio campo sotto il castello e abbiamo guardato.
c'erano due telescopi.con una abbiamo osservato la luna.
con l'altro saturno e giove.
da impazzire.
la luna splendeva fortissima, si vedeva tutto, se allungavo la mano la toccavo, emergevano crateri e il mare della tranquillità, ho anche visto la bandiera americana e le impronte di Armstrong...vabbè.
sono stata sul punto di svenire quando ho visto, seppure minuscoli e vibranti ma ben distinguibili, gli anelli di saturno.
allora è vero.
e poi, caspita, 4 dei 72 satelliti di giove, allineati come soldatini.
ma dai è proprio davvero vero.
da piccola sognavo di fare astronomia.
vedi, da piccolo sai un sacco di cose che poi ti dimentichi.
com'è che poi non ci ho più pensato?
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giovedì 18 luglio 2019
un Picasso “versione discount”
"Stavo realizzando dei cartoon e altre immagini commerciali e, semplicemente, mi venne l’idea che avrei potuto realizzare un Picasso e farne qualcosa di semplice e che avrei potuto utilizzarlo quasi nello stesso modo in cui avrei potuto utilizzare soggetti d’arte minore. Tuttavia, era qualcosa di più dell’idea di realizzare una riproduzione di Picasso e sembrava un falso Picasso, un Picasso declinato in vernacolo, o un Picasso “versione discount”, una qualunque di queste cose."
Roy Lichtenstein
Roy Lichtenstein
Il MUDEC presenta un maestro americano e una figura importante nella pop art del ventesimo secolo: Roy Lichtenstein. In mostra circa 100 opere tra prints anche di grande formato, sculture, arazzi, un’ampia selezione di editions provenienti da prestigiosi musei, istituzioni e collezioni private europee e americane oltre a video e fotografie. La fascinazione per la “forma stampata”, cioè la riproduzione meccanica come fonte di ispirazione, è alla base del lavoro di Roy Lichtenstein e nella sua pittura viene attuata in un percorso che parte da una copia che viene trasformata in un originale.
l'aspetto interessante, come dice la citazione sopra riportata, è l'operazione di deculturizzazione dell'arte. l'arte viene svuotata di ogni bellezza, di ogni contenuto aristico, di riferimenti storici, di metadiscorsi, di allusioni e matafore. l'opera d'arte ha solo un pregio: la riproducibilità ovvero la perdita dell'unicità. tutto diventa consumabile, fruibile, deglutibile, digeribile, destoricizzato, banalizzato e assunto come normale e domestico. globalizzato.
la pop art fa così, non possiamo farci niente.
oggettoni decorativi, anche ben messi in mostra: un quadro vale quanto un portacenere, ma no che dico, quanto una sigaretta. (salvo costare l'iradiddio per il suo essere rappresentativo del nulla).
è il capitaismo, cosa vuoi farci baby.
l'aspetto interessante, come dice la citazione sopra riportata, è l'operazione di deculturizzazione dell'arte. l'arte viene svuotata di ogni bellezza, di ogni contenuto aristico, di riferimenti storici, di metadiscorsi, di allusioni e matafore. l'opera d'arte ha solo un pregio: la riproducibilità ovvero la perdita dell'unicità. tutto diventa consumabile, fruibile, deglutibile, digeribile, destoricizzato, banalizzato e assunto come normale e domestico. globalizzato.
la pop art fa così, non possiamo farci niente.
oggettoni decorativi, anche ben messi in mostra: un quadro vale quanto un portacenere, ma no che dico, quanto una sigaretta. (salvo costare l'iradiddio per il suo essere rappresentativo del nulla).
è il capitaismo, cosa vuoi farci baby.
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lunedì 15 luglio 2019
tunnel
tunnel di via Gattamelata.
in una galleria si esplicita il senso dei milanesi (essere umani) per il limite (la legge).
quelli che rispettano il limite dei 50 all'ora:
pochi, in fila, lenti, i rispettosi secondo gli stessi, i coglioni secondo gli altri.
quelli che non rispettano il limite dei 50 all'ora:
molti, in netta maggioranza, veloci, sfreccianti (pure lampeggianti e infastiditi), i furbi secondo gli stessi, gli incivili secondo gli altri.
come diceva Cacciari nella sua lezione due settimane fa alla Milanesiana, il diritto non è secondo natura, il diritto e il suo esercizio sono cultura e disciplina.
natura è quella roba lì, chi se ne fotte delle regole, sono più furbo e tu un povero coglione, non ci sono telecamere, cosa vai lento a fare?
lenta progressione costruttiva dell'educazione
veloce godimento liquido liquefacente della trasgressione.
giovedì 11 luglio 2019
diocisalvi dalle carole
in un'altra occasione della Milanesiana, che in questa ventesima edizione mi ha coinvolta soprattutto con la lettura di Cacciari sul diritto al teatro Grassi e con la lettura de I sommersi e i salvati di Levi al memoriale dell Shoah, mi sono imbattuta anche in un pomeriggio dedicato alla caduta del muro di Berlino. Non ricordo di aver portato a casa qualcosa, non è stato un incontro memorabie, ma ricordo bene un fastidio.
quello di aver ascoltato un intervento, del tutto a sproposito, di certa Francesca d'Aloya, credo scrittrice e attrice, che per parlarci del muro di Berlino ha pensato bene di raccontare la storia di una spedizione di esplorazione dell'antartide. alla fine del suo inutile soporifero intervento ha concluso, ancora ua volta a sproposito, inneggiando alla gloria e sempiterna gratitudine per la capitana Carola Rackete.
certa di non confondermi tra i sostenitori del primaglitaliani, non credo ci sia bisogno di perderci nemmeno una parola, non mi troverete però dalla parte delle carole.
le carole sono una iattura e le sento tanto vicine all'arroganza dell'amato onnipresente ministro dell'interno. lo scontro frontale fra i due, che tanto fa bene al consenso del secondo e nulla porta alla causa dei profughi in mare, mi sembra determinato dalla stessa forma di onnipotenza e di diritto conclamato alla ragione assoluta.
le carole sfondano le leggi, non badano ai divieti, non si curano delle navi in mare, arivano a salvare il mondo anche con il rischio di ammazzare qualcun altro. quel che conta è la santa causa, la propria, indipendentemente da cosa poi usi a supporto. la querela poi della prima a seguito dei commenti del secondo, quando forse farebbe bene ad accendere un cero alla madonna per essersela cavata con così poco e delirarsi con sana e umile discrezione, mi convince ancora di più di una noncuranza onnipotente e altrettanto odiosa che non sento affatto come salvifica ma come deleteria per la causa dei più deboli. altri prima di lei hanno portato a termine le loro insegne di salvataggio senza per questo squartare confini schiacciare a morte vedette della finanza e oltraggiare leggi come se solo le proprie avessero diritto di esistere.
la tracontanza mi fa orrore e non riconoscerla in questa capitana incauta e supponente ma abbracciarla subito come portatrice della casa antisalviniana (e invece sappiamo che il pallottoliere del sovranista è andato al suo massimo punteggio grazie alle manovre nautiche omicide della stessa) mi sembra così stupido e semplicemente ottusamente ideologico che mi procura un moto di stizza.
ragionate e prendete posizione, piuttosto.
Black Leather, due pugni guantati di nero
onore al merito.
lo spettacolo narrazione di Federico è davvero potente, pulito, rigoroso, ricco, dettagliato e di grande impatto emotivo.
una narrazione stupefacente, con momenti di grandi intesità.
la forza di Federico è che parte da lontano, si aggira e ricostruisce e solo dopo avere creato la cornice e approfondito i dettagli si inoltra nel vivo dell'episodio.
è una narrazione efficace, forte, coinvolgente.
era ieri sera a Lodi, nel corso della Milanesiana d'esportazione nel bell'auditorium Tiziano Zalli progettato da Renzo Piano.
pieno di ragazzi, i suoi fan.
quel che mi piace è che parte dallo sport e ci racconta che nello sport accade la vita.
così i ragazzi hanno un bell'aggancio, un punto di vista per loro interessante ma, alla fine, quel che portano a casa è una bella e commovente storia sui diritti umani.
Federico ama gli afroamericani, parla di loro più che di chiunque altro e dopo Owens Berlino 1936 e Muhammad Ali Kinshasa 1974, eccoci a parlare del podio di Tommie Smith, olimpiadi 1968 Città del Messico, medaglia d'oro nei 200 metri, e John Carlos, bronzo nella stessa specialità, che si trasformò in momento epocale, in una straordinaria immensa gestualità di protesta sullo slancio degli atti di Malcom X e dei Black Panthers e che si portò dietro la loro rovina oltre che un punto fermo nella storia dei neri d'America.
gli aspetti della storia e i risvolti personali furono molteplici e parlano della storia dell'uomo, di diritti calpestati allora esattamente come lo sono oggi, come se nulla fosse cambiato, come se migliaia di morti e vite sacrificate non avessero avuto la propulsione necessaria a modificare la meschinità dell'uomo bianco.
nel 2005 l’università di San José ha dedicato a Tommie Smith e John Carlos, che non hanno mai più gareggiato e sono stati minacciati e hanno vissuto all'inferno, un monumento, posto nel campus. sul podio ci sono loro due, manca il terzo, l'australiano Peter Normann anch'egli destinato alla rovina per il suo tacito assenso a quel gesto di insubordinazione.
sul fianco dell’opera è riportata la frase
Take a Stand
che potrebbe essere mettiti in posa per la foto,
oppure, soprattutto:
Prendi Posizione
questo ci dice Federico, prendi posizione e questo ascoltano i suoi ragazzi a Lodi ad ascoltarlo.
cosa possiamo volere di più?
venerdì 5 luglio 2019
un politico di statura mondiale
leggo l'intervista a Putin sul corriere della sera e mi dico: dice un sacco di balle.
balle sui rapporti con l'Europa, con gli Stati Uniti, con il Donbass.
come tutti questi personaggi torbidi e corrotti, ubriacati da un potere decennale che non accenna a lasciare spazio ad altri, che impartiscono vita e morte, certamente con le mani sporche di molti delitti e misfatti, ha anche imparato, ma solo ad uso dei tordi, a sembrare quello che non è, stupito delle rezioni del mondo, candido e immacolato nelle sue relazioni internazionali, seriamente interessato al bene del mondo.
potrebbe anche sembrare un'intervista seria agli occhi di un ingenuo ma c'è una spia, che lampeggia rosso fuoco e suona come una sirena spiegata alle 3 del mattino.
la frase su Berlusconi.
Silvio Berlusconi è un politico di statura mondiale.
a parte la grottesca involontaria gaffe relativa ad un uomo che per tutta la vita ha portato i tacchi per ovviare a una statura evidentemente imbarazzante per un politico che deve posare per le foto di gruppo, mi sembra universalmente condiviso che la politica del berlusca ce la siamo pesantemente smazzata solo noi, con grande vergogna rispetto al resto del mondo che si sarà fatto domande sull'incontrollabilità delle erezioni del suddetto di fonte a presunte diciotteni e sull'impossibilità dello stesso di tenersi stretta la questione entro casa propria senza farla trapelare ovunque, con grande scherno, piuttosto, della politica internazionale. penso anche che a nessuno mai potrebbe venire in mente che il cumenda sia un personaggio politico di qualsivoglia peso oltre i confini di casa nostra.
le corna nella bella storica foto del 2002 al vertice dei ministri degli esteri europei ci ha presto confermato che la simpatia inopportuna del nostro rappresentante ci avrebbe coperto di ridicolo.
di mondiale c'è solo l'imbecillità.
una frase così spudoratamente falsa, così anmmiccante e strisciante, così risibile e inadeguata, nemmeno giustificabile alla luce dell'amicizia che lega i due, ha il valore di riportare tutte le dichiarazioni fatte nell'intervista al piano della farsa.
balle, tutte balle caro Putin, la prossima volta stai più attento a non lasciare indizi di un'incontrollabile tendenza alla menzogna e alla mistificazione.
ma ora preoccupiamoci che l'embargo sul parmigiano venga rimosso.
ma ora preoccupiamoci che l'embargo sul parmigiano venga rimosso.
Verso la notte
di Giacomo Balla.
l'ultima mostra alle Gallerie d'Italia, Dall’argilla all’algoritmo. Arte e tecnologia. Dalle Collezioni di Intesa Sanpaolo e del Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea, è un'invenzione poco riuscita.
le Gallerie hanno la necessità di esporre i loro depositi, e ci mancherebbe, ma il filo conduttore proprio non c'è.
non tutto è pregevole, anzi, molta noia, e poco stupore, tranne questo strabiliante Giacomo Balla.
magico e misterioso, luce e colore. un cuore che pulsa nel buio.
giovedì 4 luglio 2019
la Norma in jazz
area M.
la Norma in Jazz.
Conservatorio di Milano.
Orchestra Nazionale Jazz dei Conservatori diretta da Paolo Silvestri: Daniele Moretto, Andrea Del Vescovo, Tiziano Codoro, Michele Amoruso (trombe), Luca Begonia, Andrea Baronchelli, Santino Polidoro, Giulio Giannini (tromboni), Manuel Caliumi, Andrea Ciceri, Fabio Tiralongo, Luca Ceribelli, Federico De Zottis (sassofoni), Edoardo Casu (flauto), Jossy Botte (Clarinetto), Giulio Gentile (pianoforte), Stefano Zambon (contrabbasso), Antonio Leta (batteria).
Tromba e Flicorno, Paolo Fresu.
la Norma in Jazz è la versione in chiave jazz del capolavoro di Vincenzo Bellini, restituitaci nella presente rilettura grazie agli arrangiamenti e alla direzione di Paolo Silvestri e alla straordinaria tromba solista di Paolo Fresu, qui alla testa dell’Orchestra Nazionale Jazz dei Conservatori, un’altra grande formazione ospite della Stagione di Area M – Città Studi Sound.
si potrebbe pensare a una sperimentazione ardita, forse lo è, certamente è una sperimentazione riuscita.
la tromba è uno strumento fondamentale, uno strumento vitale.
qui sostituisce la voce umana e apre infiniti spazi di meraviglia.
ci sono arie, tra quelle scelte e riarrangiate, in particolare: Oh, di qual sei tu vittima, che hanno lasciato spazio allo stupore, alla conturbante bellezza, alla genialità insostituibile del linguaggio musicale.
una serata indimenticabile di stupefacente bravura.
il signore e il suo cane
se sapessi scrivere poesie ne scriverei una per loro.
il signore e il suo cane.
li vedo dalla finesta ogni mattina.
li incontro sulle scale ogni volta che il signore porta il suo cane a fare un giro fuori casa.
vivono nel mio palazzo, il signore e il suo cane.
il suo cane è malato, vecchio e malato.
si muove con estrema fatica, sta seduto, non sa più scendere le scale.
ce ne sono 5 che dal portone di entrata portano al cancello di uscita.
il signore invita il suo cane a scenderele, le scale, lo invita con voce ferma e amorevole.
non fa moine. non fa vocine, non fa finte.
gli parla, con voce ferma e amorevole, lo invita a farcela.
attraversano la strada e si fermano all'angolo.
sempre in quella posizione, tutte le mattine.
il suo cane si accuccia e non si muove, per nessun motivo al mondo si muove.
se arrivano altri cani non si eccita, non si sposta, non si alza, non li annusa.
forse li guarda, ma nenache troppo.
il signore sta di fianco al suo cane, si guarda in giro come il suo cane, sta fermo come il suo cane.
se passa un altro signore con un cane saluta, scambia due parole, ma non scodinzola, non si sposta, nemmeno lui.
stanno vicini, il signore e il suo cane.
il signore non ha cellulare in mano, nemmeno un giornale o una rivista per passare il tempo. nessun orpello. un tempo di almeno 10 minuti, o forse di più.
il suo tempo è per il suo cane.
il signore sta a fianco del suo cane, lo aspetta, lo accudisce, lo protegge e, insieme a lui, passa il suo tempo.
il signore e il suo cane pensano, entrambi, ognuno a proprio modo e aspettano.
vicini amici inseparabili, senza che ci sia bisogno d'altro.
aspettano che il tempo di questa vita passi.
aspettano insieme che il tempo di questa loro vita insieme passi.
poi lo invita ad alzarsi e con una lentezza che nessuno più conosce, il signore e il suo cane, come sono arivati, se ne vanno.
e dopo di loro c'è il nulla.
un angolo di strada vuoto, che nessuno sa abitare come loro, che senza di loro non sa dire più nulla alla vita.
il signore e il suo cane.
li vedo dalla finesta ogni mattina.
li incontro sulle scale ogni volta che il signore porta il suo cane a fare un giro fuori casa.
vivono nel mio palazzo, il signore e il suo cane.
il suo cane è malato, vecchio e malato.
si muove con estrema fatica, sta seduto, non sa più scendere le scale.
ce ne sono 5 che dal portone di entrata portano al cancello di uscita.
il signore invita il suo cane a scenderele, le scale, lo invita con voce ferma e amorevole.
non fa moine. non fa vocine, non fa finte.
gli parla, con voce ferma e amorevole, lo invita a farcela.
attraversano la strada e si fermano all'angolo.
sempre in quella posizione, tutte le mattine.
il suo cane si accuccia e non si muove, per nessun motivo al mondo si muove.
se arrivano altri cani non si eccita, non si sposta, non si alza, non li annusa.
forse li guarda, ma nenache troppo.
il signore sta di fianco al suo cane, si guarda in giro come il suo cane, sta fermo come il suo cane.
se passa un altro signore con un cane saluta, scambia due parole, ma non scodinzola, non si sposta, nemmeno lui.
stanno vicini, il signore e il suo cane.
il signore non ha cellulare in mano, nemmeno un giornale o una rivista per passare il tempo. nessun orpello. un tempo di almeno 10 minuti, o forse di più.
il suo tempo è per il suo cane.
il signore sta a fianco del suo cane, lo aspetta, lo accudisce, lo protegge e, insieme a lui, passa il suo tempo.
il signore e il suo cane pensano, entrambi, ognuno a proprio modo e aspettano.
vicini amici inseparabili, senza che ci sia bisogno d'altro.
aspettano che il tempo di questa vita passi.
aspettano insieme che il tempo di questa loro vita insieme passi.
poi lo invita ad alzarsi e con una lentezza che nessuno più conosce, il signore e il suo cane, come sono arivati, se ne vanno.
e dopo di loro c'è il nulla.
un angolo di strada vuoto, che nessuno sa abitare come loro, che senza di loro non sa dire più nulla alla vita.
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