Ascolto il tuo cuore, città.
Questa città mi appartiene e io le appartengo, quasi fossi un frammento fluttuante nel suo immenso corpo. Mi ossessiona un bisogno costante di conoscenza della sua fisicità, un bisogno di rileggere di nuovo i tratti, le parti nascoste, ma anche i luoghi noti e le sembianze più conosciute.
Questa città mi appartiene e io le appartengo, quasi fossi un frammento fluttuante nel suo immenso corpo. Mi ossessiona un bisogno costante di conoscenza della sua fisicità, un bisogno di rileggere di nuovo i tratti, le parti nascoste, ma anche i luoghi noti e le sembianze più conosciute.
così si intitola la mostra su Gabriele Basilico all'UniCredit Pavillion di Milano.
già solo questa scelta mi sembra calzarmi a pennello.
e infatti, così è.
perfetto il titolo, perfetta la mostra, accompagnata anche da alcuni incontri a tema, due sono anche riuscita ad ascoltarli.
Basilico è fulminante. anche se non all'istante. strano, fulminante ma non subito. Basilico l'ho capito osservandolo, piano piano, anche conoscendolo, tramite le letture su di lui, i suoi appunti, le conferenze sul suo modo di lavorare.
ora lo guardo, tramite le sue foto, e comprendo il suo talento, coltivato con un lavoro e uno studio meticolosissimo. fare il fotografo non è mica andare in giro con la canon, santocielo no, è un lavoro, un lavoro serio, un'applicazione, uno studio, una riflessione, una filosofia. un'attesa.
chissà quanto attendeva Basilico. ore, anche giorni.
foto senza umani, nemmeno uno, senza macchine, luce del primo mattino.
la sua foto è matematica, geometrica, perfetta.
Il compito del fotografo è di lavorare sulla distanza, di prendere le misure, di trovare un equilibrio tra un qui e un là, di riordinare lo spazio, di cercare infine un senso possibile del luogo.
Il compito del fotografo è di lavorare sulla distanza, di prendere le misure, di trovare un equilibrio tra un qui e un là, di riordinare lo spazio, di cercare infine un senso possibile del luogo.
Basilico era un architetto, e si vede, Basilico fotografa lo spazio come dimensione del vivere umano.
Quello che mi interessa in modo costante, quasi ossessivo, è il paesaggio urbano contemporaneo, il fenomeno sociale ed estetico delle grandi, rapide, incontenibili trasformazioni in atto nelle città del pianeta e penso che la fotografia sia stata, e continui forse a essere, uno strumento sensibile e particolarmente efficace per registrarlo. Fotografare la città non vuol dire scegliere le migliori architetture e isolarle dal contesto per valorizzare la loro dimensione estetica, compositiva, ma vuol dire per me esattamente il contrario. Cioè mettere sullo stesso piano l’architettura ‘colta’ e l’architettura ‘ordinaria’, costruire un luogo della convivenza, perché la città vera, la città che mi interessa raccontare, contiene questa mescolanza tra eccellenza e mediocrità, tra centro e periferia, anche nella più recente ricomposizione dei ruoli: una visione dello spazio urbano che, con un po’ di retorica, una volta avremmo definito democratica.
Coltivo l’illusione e la speranza che la disponibilità a osservare e ad accettare la condizione urbana contemporanea delle nostre città possa essere un buon punto di partenza per immaginare una città e un futuro migliori.
sono straordinarie le sue foto delle città, non diciamo quanto lo siano quelle di MILANO.
la città con le sue cattedrali, intese come punti di sintesi urbana, di monumentalità cittadina, luoghi in cui la città sale in cattedra e parla di sè. cattedrale punto di incontro, città reale, città mentale.
la città con le sue cattedrali, intese come punti di sintesi urbana, di monumentalità cittadina, luoghi in cui la città sale in cattedra e parla di sè. cattedrale punto di incontro, città reale, città mentale.
Quello che mi interessa è l’umanità dell’architettura. È un paradosso: fotografo l’architettura, lo spazio, il paesaggio urbano senza le persone, ma penso che le mie fotografie siano profondamente dedicate all’umanità del luogo che è stato costruito da persone che non si vedono.
c'è un'estrazione del luogo dal contesto, c'è solo un luogo, e quel luogo diventa tutto, diventa storia, progetto, costruzione, vite umane, diventa città, luogo sociale, condivisione, centro e periferia. Basilico celebra i luoghi, diventano santuari, e dico tutti i luoghi, assolutamente tutti.
le sue foto le riconosco, ormai, il suo stile, lo leggo.
foto di città, come Beirut,
come le città del nord
Quei luoghi nord Europa, con il mare burrascoso, i cieli profondi, le nubi pesanti, con la pioggia insistente, il vento, il sole e la luce che cambiava continuamente, mi hanno spalancato una porta verso una nuova, grandiosa visione del paesaggio. ... Ho scoperto “la lentezza dello sguardo”. ...C’è un’immagine che racconta perfettamente queste sensazioni e queste percezioni, ed è un paesaggio di Le Tréport che ho fotografato nel 1985. Nella mia esperienza sul campo è stato un passaggio senz’altro importante, direi persino cruciale. Penso che dopo quella ripresa fotografica in quel luogo, in quel momento, molte cose siano cambiate, e in particolare il mio rapporto con il paesaggio. In quella fotografia c’è un processo di sintesi massima, è una fotografia ideale perché rimanda al luogo nella sua interezza e globalità.
ritratti di fabbriche
colte prima della trasformazione, prima che divenissero archeologia industriale.
ritratti che ricordano De Chirico, Sironi, Boccioni, la città con i suoi volti, le sue ossa, la sua struttura, il suo corpo.
attesa, metafisica, condizione permanente dell'abitare.
c'è un'estrazione del luogo dal contesto, c'è solo un luogo, e quel luogo diventa tutto, diventa storia, progetto, costruzione, vite umane, diventa città, luogo sociale, condivisione, centro e periferia. Basilico celebra i luoghi, diventano santuari, e dico tutti i luoghi, assolutamente tutti.
le sue foto le riconosco, ormai, il suo stile, lo leggo.
foto di città, come Beirut,
come le città del nord
Quei luoghi nord Europa, con il mare burrascoso, i cieli profondi, le nubi pesanti, con la pioggia insistente, il vento, il sole e la luce che cambiava continuamente, mi hanno spalancato una porta verso una nuova, grandiosa visione del paesaggio. ... Ho scoperto “la lentezza dello sguardo”. ...C’è un’immagine che racconta perfettamente queste sensazioni e queste percezioni, ed è un paesaggio di Le Tréport che ho fotografato nel 1985. Nella mia esperienza sul campo è stato un passaggio senz’altro importante, direi persino cruciale. Penso che dopo quella ripresa fotografica in quel luogo, in quel momento, molte cose siano cambiate, e in particolare il mio rapporto con il paesaggio. In quella fotografia c’è un processo di sintesi massima, è una fotografia ideale perché rimanda al luogo nella sua interezza e globalità.
ritratti di fabbriche
colte prima della trasformazione, prima che divenissero archeologia industriale.
ritratti che ricordano De Chirico, Sironi, Boccioni, la città con i suoi volti, le sue ossa, la sua struttura, il suo corpo.
attesa, metafisica, condizione permanente dell'abitare.
Per la prima volta ho visto le strade e, con loro, le facciate delle fabbriche stagliarsi nitide, nette e isolate su un cielo inaspettatamente blu intenso, grazie al quale la visione consueta delle forme diventava improvvisamente inusuale. Ho saputo vedere cosi, come se non l’avessi mai visto prima, un lembo di città senza il movimento perpetuo quotidiano, senza le auto in sosta, senza persone, senza suoni e rumori. Ho visto l’architettura riporporsi nella sua essenza, filtrata dalla luce, in modo sorprendentemente scenografico e monumentale.
fotografia. nè arte, nè pittura, ma atto di conoscenza, atto come scelta di sguardo.
Gabriele Basilico, la tua città ti ha perduto.
Nessun commento:
Posta un commento