ho letto figlicidio, sul giornale.
noelogismo dopo femminicidio (che già aveva uxoricidio come definizione classica).
mettiamoci famiglicidio, adesso, così abbiamo fatto l'en plain.
si comincia presto a fare danni, e sono molto diffusi.
qualcuno si salva, nonostante tutto, qualcuno, lo leggiamo tutti i giorni, no.
si comincia presto a innescare quel meccanismo di non riconoscimento dell'altro, di quel figlio, da parte di quell'adulto, non-genitore.
la genitorialità è in crisi, diciamo così per non andare subito sul tragico. sempre più spesso si comincia a pensare di fare i genitori, soprattutto le madri, superati i 40 anni, e guai dopo a non riuscirci, guai e dico guai, sono tragedie e la scienza purtroppo mette pezze a immaturità patologiche che esigono la loro parte nel mondo nonostante il tempo abbia detto stop, ma genitori non si diventa grazie al DNA.
ora le coppie, uomini e donne che hanno vissuto ignari di questo desiderio, coltivando solo il godimento personale, improvvisamente lo colgono come una margherita in un bel prato, pensano di fare figli senza che questo comporti alcun cambiamento nel proprio stile di vita. mettere al mondo un figlio non deve comportare, oggi, alcun sacrificio -in alcuni casi estremi nemmeno la fatica della gestazione affittando uteri in giro, che il girovita mi si deforma- è un gioco come fare un viaggio in Nepal. anzi, finito il viaggio in Nepal, si guarda il calendario, il prossimo viaggio lo faccio in clinica, e quello ancora di nuovo in California, non cambia nulla, tutto rientra in un vortice di gesti dovuti al movimento rotatorio della terra, mondani, di capriccio, di passatempo, di oggettistica che crea stato sociale da esibire su facebook, una spiaggia in Indonesia come un neonato appena nato. è la stessa cosa. lo genero ma non deve generare fastidio, sacrificio, perdita, cambiamento, rinuncia, insonnia, minimizzazione della vita sociale, preoccupazione, presa in carico, educazione, fatica. NIENTE: lo genero e poi ci penserà da sè, il tour operator farà il suo lavoro al posto mio.
la generazione, e prima ancora ormai la fecondazione, è un gesto alla moda, a un certo punto inaspettatamente si deve, e appunto, se si è un filo in ritardo, lo si esige dalla scienza come dovuto (e la scienza ormai ha dimenticato l'etica, risponde alle esigenze di consumo come un supermercato), senza alcuna assunzione simbolica che la procreazione esige veramente. così si mette al mondo un oggetto di consumo che rimane estraneo e che si può decidere che esista o meno a seconda del fastidio del momento. questo con vari gradi di gravità, ovviamente, si può semplicemente generare l'autismo, oppure il non riconoscimento per tutta la vita, oppure il possedimento come un oggetto d'acquisto per tutta la vita, oppure la violenza per tutta la vita, fino all'eliminazione fisica e la vita finisce come finisce l'estate perché simbolicamente quella vita non è mai stata acquisita, è rimasta nel limbo della semplice molecolarità, senza senso, senza significato, senza assunzione affettiva.
sono in pizzeria e mangio la mia pizza.
di fronte vedo una piccola famiglia, madre e padre e un piccolino, poco più di un anno direi. il piccolo è sul suo seggiolino da tavolo. ha già mangiato quasi sicuramente, è tranquillo, dico io, veramente tranquillo, un angelo, penso, i genitori mangiano e discorrono serenamente tra loro, mangiano la pizza, nessun problema. riguardo e sono basita, penso a me anni fa, non erano così tranquilli. a quell'età, a tavola, i miei. ma mangiare fuori, a pensarci, non ci si andava proprio, a tavola al ristorantecon i grandi raramente, solo in occasioni speciali, primo perché era un fatica titanica tenerli al loro posto, secondo perché alle 20 e 30 i bambini di 15 mesi sono già a a letto a dormire -è chiaro che possiamo lamentarci tutta la vita dei figli che non dormono ma se non facciamo la penosissima mondiale snervante e pazientissima fatica di insegnare loro a dormire non dormiranno mai.
poi, improvvisamente, capisco.
il piccolo, seduto al suo tavolo come un adulto ha, piazzato davanti alla sua faccia, posto di fronte appoggiato al bicchiere, un oggetto, immagino l'iphone del papà, magari quello del papà e, perchè no, anche l'altro della mamma. un oggetto, mica transizionale!!, digitale che trasmette immagini.
l'oggetto bambino è ipnotizzato -ecco lo sguardo vuoto fisso immobile che scorgevo in lui- paralizzato dall'immagine virtuale, immobilizzato dai pixel, annullato. l'oggetto bambino viene neutralizzato, e si comincia presto, probabilmente già da mesi, mediante, ancora una volta, l'aiuto di questa scienza tecnologica virtuale duale schizofrenogenica ma utilissima, anzi fondamentale, e non crea disturbo. è come se non ci fosse, nativo digitale.
è fantastico no?, vado al ristorante con un piccolo di 15 mesi ma è come se non esistesse. il cuore pulsa là dentro, ma non c'è. l'essere è già immerso nel modo simbolico genitoriale, ma non c'è. l'affettività comincia a lavorare là dentro, ma non c'è. tutto succede ma nulla procede.
mangio in pace, chiacchiero, mi godo il primo e il secondo magari il dolce e non mi alzo dalla sedia mai, non mi preoccupo un secondo mai, non mi devo inventare giochi faccine suoni guizzi smorfie canzoncine mai, non devo pensarmi genitore mai, non devo nemmeno mai chiedermi: ma chi me lo ha fatto fare?, mai. non parla, non piange è fisso sullo schermo. è annientato, cresciuto, intrattenuto, stimolato dal videogioco con gli smile. c'è ma non c'è e grazieaddio adesso è così. pensa a quei coglioni dei miei genitori che non uscivano mai...
ed è così che si comincia la lenta distruzione dell'altro da sè, di quel piccolo con diritto di vita, dopo averlo messo al mondo.
c'è ma non c'è. il corpo c'è -e ha un valore? o vale davvero poco? è un bene? o si svaluta?- ma l'esserci, il consistere, il vivere in quanto umano, mai esisterà, simbolicamente, nella mente dell'altro. di suo padre. di sua madre.
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