il posto è molto bello e suggestivo.
Fiè allo Sciliar non è, per fortuna, Ortisei.
ogni anno la seconda si carica di costi, di maleducazione, di cattivi servizi solo in odore di soldi e non di qualità, di nuovi e ancora altri e ancora aggiuntivi inutili superflui alberghi, inaccessibili a uno stipendio medio, selziona clientela sempre più ricca ma non per questo raffinata, anzi romana, da portafoglio gonfio, sguaiata, maleducata, grossolana, solo in eccesso vergognoso di euro, ragazzini e madri e intere famiglie travestite, ma non per questo competenti, in modo tecnico con equipaggiamenti, per una settimanella di vasca a fondo valle, che da sole vale una fortuna, madri in accento caciaroso, toni di voce intollerabili, malghe e baite con costi per persona a pasto che nemmeno a Milano in pieno centro.
lasciatemelo dire, uno schifo. di spirito di montagna ormai non c'è più nulla, Ortisei è una vetrina falsa, di plastica, si mangia e basta, si passeggia al massimo. di montanari in odore di gloria di vette e di muscoli tesi, più niente. solo vetrina.
Fiè è rimasta antica, sosta alla base dello Sciliar, la mia preferita tra tutte le dolomiti, non c'è costruzione, abusivismo, negozi intimissimi con il tanga in pizzo difronte all'osteria storica. certo ordine e disciplina, le vecchie abitudini in odore di rigore in tema di razza pura, ma almeno...è bello.
poca gente, piazze ampie e fontane, ci fosse stato il sole (??) avremmo anche avuto il bene del rosa del tramonto.
l'albergo Turm è di un'eleganza raffinata, senza eccessi, caldo, all'ombra delle candele, un bel posto.
esclusivo, ovvio.
caro, abbastanza (ma accessibile).
di gran gusto, certamente.
e si mangia molto bene, ma veramente bene.
ma rispetto alle altre volte in cui sono venuta, ormai moltissimi anni fa, e una volta ho anche cenato fuori con lo Sciliar che mi guardava rosa fisso negli occhi e mi ipnotizzava con le sue candide streghe, qualcosa è cambiato.
il tavolo era nella sala della cena dell'albergo. e questo non va. troppa cagnara della famiglia fissa in hotel che mangia gli spaghetti e si serve al buffet con il maitre che parla troppo, servile, strisciante, troppi aggettivi per la quattordicenne in fase di sviluppo e il fratello ciula alto due metri.
il maitre, apppunto, lo stesso da venti anni, un po' grezzo, con modi rudi e sbrigativi, tono di voce troppo alto.
domanda: è sempre lei? veniamo qui da tanti anni.
si sempre io, venti anni, troppi, dice.
e si vede caro mio, si vede, ti sei consumato.
gli dico che il tavolo è buio, veramente troppo buio, gli chiedo delle candele e mi risponde - prina: CANDELE??- e poi, un po' scortese e burbero, che alzerà solo la luce, ma buio, il tavolo, rimane lo stesso. al tavolo il paniere contiene due panini in croce. mi ricordo perfettamente il passare continuo del cameriere che riforniva, senza richiesta con pane locale nero di diversi odori e fatture, papavero, cumino, segale...
cambiato. ed è quello il segreto dell'eleganza e del servizio di livello, prevenire la richiesta, osservare che il pane in quel cestino fa pena, sembra lasciato lì dal commensale precedente, e il tavolo è in posizione di buio pesto...non lo devo dire io, non qui.
mangiamo e beviamo bene, ma caspita! nessun accenno di piccola pasticceria finale come una volta. la sensazione generale è buona, ma scaduta. ebbene si.
a tavola si parla, ma amche lì, ormai, si è perso qualcosa, qualcosa che non so più dire, e non voglio mai più discutere ma sorvolare, le parole rimangono ancorate in basso, ormeggiate alle corse vocali, rimbombano solo nella scatola cranica. forse è un bene, a voler ben guardare.
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