Nel corso della mia infanzia e adolescenza mi proponevo sempre di scrivere un libro che raccontasse delle persone che vivevano, allora, intorno a me.
Questo è, in parte, quel libro: ma solo in parte, perché la memoria è labile, e perché i libri tratti dalla realtà non sono spesso che esili barlumi e schegge di quanto abbiamo visto e udito.
Natalia Ginzburg
siamo dentro il lessico famigliare di Natalia Ginzburg.
è, come ho già avuto modo di commentare relativamente allo stile della Ginzburg, un libro semplice, sotto tutti gli aspetti: descrittivo, narrativo e lessicale, appunto.
la scrittura della Ginzburg è piana, semplice, anche ripetitiva. usa le stesse parole, aggettivi soprattutto in una stessa frase, a volte ripete intere frasi più volte in un periodo. è strana questa abitudine descrittiva, che inusitata adozione lessicale, penso io. perchè ripetersi? non può non accorgersi della ripetizione, qualsiasi scrittore, rileggendosi, cercherebbe un sinonimo. lei no, ripete, senza tema e senza paura. rinforza? oppure non bada? oppure scrive come parla? non lo so ma è così, è un lessico personale.
quel che penso, quasi sbigottita, è che questa scrittrice, con questo lessico semplice e ripetitivo (mi ripeto anche io per farle onore), ha tradotto Proust, dico Proust, dal francese. qualcuno ha in mente Proust? beh io si, e stiamo parlando di un un universo parallelo, una dimensione dialettica e intellettuale incompatibile, una complessità lessicale inarrivabile, una difficoltà di costruzione grammaticale unica e certamente estranea alla mente della Ginzburg. stiamo parlando di La strada di Swann. mi dico allora che la Ginzburg doveva essere una donna intelligente, umile, aperta, senza pregiudizio e capace di accettare la propria natura e soprattutto quella degli altri.
ma, in fondo, quella sua frase d'apertura, sulla labilità della memoria, ha in sè una qualche evocazione proustiana, e questo suo libro Lessico famigliare è un tributo alla memoria, una rivisitazione della memoria, una glorificazione della memoria che santifica un passato indimenticabile.
Nella mia casa paterna, quand'ero ragazzina, a tavola, se io o i miei fratelli rovesciavamo il bicchiere sulla tovaglia, o lasciavamo cadere un coltello, la voce di mio padre tuonava: Non fate malagrazie! Se inzuppavamo il pane nella salsa, gridava: – Non leccate i piatti! Non fate sbrodeghezzi! Non fate potacci! Sbrodeghezzi e potacci erano, per mio padre, anche i quadri moderni, che non poteva soffrire. Diceva: – Voialtri non sapete stare a tavola! Non siete gente da portare nei loghi! E diceva: – Voialtri che fate tanti sbrodeghezzi, se foste una table d'hôte in Inghilterra, vi manderebbero subito via.
io me lo sono goduto moltissimo, dalla voce di Margherita Buy, tanto che l'ho riascoltato due volte.
è un libro caldo, caldo come una coperta sul divano quando fuori piove, confidente e sereno, fiducioso.
io mi sono sentita a casa. certo, non casa mia, credo anche che non sarei capace di una ricostruzione così serrata di modi abitudini linguaggi persone e accadimenti, ma nel calore di una casa e del suo odore.
credo che se potessi scrivere un libro così, se potessi ripassare nella memoria la mia storia familiare, sarei una persona migliore, pacificata, rasserenata, oltre il dolore, oltre il lutto, oltre lo sconforto che ogni storia familiare porta in sè, insieme alla bellezza della vicinanza.
Noi siamo cinque fratelli. Abitiamo in città diverse, alcuni di noi stanno all'estero: e non ci scriviamo spesso. Quando c'incontriamo, possiamo essere, l'uno con l'altro, indifferenti, o distratti. Ma basta, fra noi, una parola. Basta una parola, una frase, una di quelle frasi antiche, sentite e ripetute infinite volte, nel tempo della nostra infanzia. Ci basta dire "Non siamo venuti a Bergamo per fare campagna" o "De cosa spussa l'acido cloridrico", per ritrovare a un tratto i nostri antichi rapporti, e la nostra infanzia e giovinezza, legata indissolubilmente a quelle frasi, a quelle parole. Una di quelle frasi o parole ci farebbe riconoscere l'uno con l'altro, noi fratelli, nel buio di una grotta, fra milioni di persone. Quelle frasi sono il nostro latino, il vocabolario dei nostri giorni andati, sono come i geroglifici degli egiziani o degli assiri-babilonesi, testimonianza di un nucleo vitale che ha cessato di esistere, ma che sopravvive nei suoi testi, salvati dalla furia delle acque, dalla corrosione del tempo. Quelle frasi sono il fondamento della nostra unità familiare, che sussisterà finché saremo al mondo, ricreandosi e resuscitando nei punti piú diversi della terra, quando uno di noi dirà — egregio signor Lippman — e subito risuonerà al nostro orecchio la voce impaziente di mio padre: "Finitela con questa storia! L'ho sentita già tante di quelle volte!".
2 commenti:
" credo che se potessi scrivere un libro così, se potessi ripassare nella memoria la mia storia familiare, sarei una persona migliore, pacificata, rasserenata, oltre il dolore, oltre il lutto, oltre lo sconforto che ogni storia familiare porta in sè, insieme alla bellezza della vicinanza."
sono d'accordo, mai come adesso avrei bisogno di una profonda " vicinanza" familiare, che non esiste più.
ma magari c'è la tua nuova famiglia...
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