se penso alla vergogna mi si folgora nella mente l'immagine di berlusconi che ripete tuonando vergogna- ai magistrati ai comunisti a tutti oltre il suo sé- mentre si trastulla con il suo membro eretto viagra-sostenuto con minorenni borderline o maggiorenni appena appena alfabeto-sostenibili. è un gioco di prestigio quello di invocare la vergogna degli altri quando ne siamo completamente privi. ma è anche una faccenda antichissima, quella di rivendicare un sopruso quando ne siamo i primi intimi e convintissimi portatori. il sembiante è sempre un inganno.
oppure penso a certe situazioni, in tram, in palestra, in coda alla posta, in cui persone a me sconosciute-e soprattutto viceversa- parlano al cellulare con voce incautamente sostenuta di faccende personalissime che andrebbero, per decenza e semplice buona creanza autoconservativa, tenute sottovuoto e sussurrate umilmente e mestamente.
oppure blog inguardabili e inascoltabili dove giusto lo schermo fa da velo, ma neanche.. anche quello si fa veicolo osceno, ove l'intimità -che tesoro inaudito è la nostra intimità, che valore assoluto la sua segretezza e condivisione con chi amiamo- diventa svendita mercificata e ostentata, ovviamente falsificata dalla parola camuffata da verità, ovviamente peggiore versione di noi stessi con i genitali e i visceri eposti come fossero realmente veicolo di eccitazione e non carne putrefatta e maleodorante.
inutile rimarcare che i confini della moralità hanno debordato oltre l'inverosimile, e che la vergogna, sentimento sano e appropriato alla conservazione di noi stessi, è diventata merce rarissima e preziosissima. la perdita della vergogna, l'oscenità, è diventata catalizzatore, elemento unificatore di chi confonde la spudoratezza con la sincerità, l'esposizione con l'espressione, la carne con l'intimità. episodi in altri tempi vergognosissimi possono diventare "sprazzi di splendore mediatico".
ma è dalla vergogna che si può ripartire, direi solo da lì. perchè il narcisismo iper esposto mediaticamente, e non, è l'apoteosi dell'annullamento dell'altro, l'imposizione frastornata e depersonalizzata del proprio esistere e l'esistere dell'altro solo in base ai propri bisogni.
su "la lettura" di circa un mese fa ho avuto il piacere di leggere un bell'articolo di Maria Laura Rodotà che recensiva il libro di una sociologa, Gabriella Turnaturi "Vergogna", edito da Feltrinelli, sottotitolo "Metamorfosi di un’emozione". Gabriella Turnaturi ripropone il «buon uso» di un sentimento quasi scomparso di fronte al dilagare del narcisismo generalizzato.
È casomai anomalo il comune sentire italiano. Quel «così fan tutti» (abusi edilizi, evasione fiscale, corruzione diffusa, familismo amorale) che «sottrae qualsiasi azione alla possibile riprovazione e mette in mora la vergogna». O meglio, la trasforma in «vergogna rimbalzata»: che «s’invoca su quelli che non assumono il “così fan tutti” come regola, che intralciano gli affari e le autorealizzazioni». E così «la vergogna ricade su quelli che oggi con disprezzo sono chiamati “i moralisti” e “gli scocciatori”». Di recente, gli scocciatori (più che i moralisti) sono in grande spolvero. Ma il loro agire non è ispirato a un’idea di vergogna vecchio stile. Perché «le attuali metamorfosi della vergogna si sviluppano in un contesto di narcisismo di massa, in cui l’altro esiste solo come e quando voglio io».
Fanno così i Beppe Grillo e i ragazzi di Maria De Filippi. E lo facciamo noi quando parliamo al cellulare di cose personalissime in treno o al bar. Non ci vergogniamo più per comportamenti che infrangono regole sociali ormai debolissime. Sostiene Turnaturi: «La vergogna è un’emozione che prevede il comune, l’essere con. Ma che cosa ne è della vergogna nell’epoca dell’individualismo atomizzato che s’impone sulla comunità?». Continua a esistere, con altre cause: magari diventa «la vergogna di poter diventare un consumatore debole», causa perdita del lavoro e/o della capacità di acquisto. Turnaturi segnala «il nesso contemporaneo fra vergogna e depressione… Ogni fase di stallo o di difficoltà diviene sinonimo di patologia e inadeguatezza. Il non comportarsi conformemente al modello vincente produce vergogna e depressione, perché ci si ritiene responsabili di questa inadeguatezza».
Forse per questo, «la vergogna da depressione o la depressione da vergogna» toccano meno la overclass globale, scrive Turnaturi: i finanzieri responsabili di crac, le celebrità pasticcione, i politici imbroglioni. Oggi specializzati nel rito autoassolutorio delle scuse. Che suscitano empatia nel pubblico, e consentono dopo poco di ricominciare a fare cose vergognose. Tra gli scusatori di successo, l’autrice cita Bill Clinton (un fuoriclasse) e il golfista Tiger Woods. E gli scusatori italiani, anche qui anomali. I politici indagati che si scusano con «la mia famiglia» e non con i cittadini. Che proclamano «sono sereno», mostrando «scissione dell’Io e malafede costitutiva». Sono comportamenti che non possiamo ignorare, se pensiamo, come lo storico Carlo Ginzburg, che «il Paese a cui si appartiene non è quello che si ama ma quello di cui ci si vergogna».
D’altra parte: la metamorfosi della vergogna ci ha anche liberati, nei comportamenti personali e sociali. Ma è un sentimento socialmente costruito, da maneggiare con cura. Conclude Turnaturi: «Sarebbe preferibile non invocare troppo spesso la vergogna. Meglio sarebbe se ognuno si vergognasse un po’ di più». Per capire i propri limiti, per «rafforzare l’interdipendenza, i legami, le relazioni». Per darsi una regolata, par di capire.
non so gli altri, io mi vergogno molto, troppo spesso.
io appartengo forse alla sponda dei malati di vergogna.
la mia emotività è costante fonte di imbarazzo, oltre che di tachicardie che, come una miccia, fanno esplodere il cuore. il mio eccesso mi viene rinfacciato ad oltranza, non posso che crederci, e vergognarmene, cos'altro? l'educazione analitica ad oggi ha portato solo lievi aggiustamenti, ma questa vergogna mi viene da lontano, da una madre che si indisponeva agli eccessi irosi di un padre. sono figlia di entrambi, mi porto questo andamento continuo logorante, questa danza di sentimenti l'uno causa dell'altro, come un'impronta indelebile nel mio DNA.
Shame by Lethaltoenail, deviantART
oppure penso a certe situazioni, in tram, in palestra, in coda alla posta, in cui persone a me sconosciute-e soprattutto viceversa- parlano al cellulare con voce incautamente sostenuta di faccende personalissime che andrebbero, per decenza e semplice buona creanza autoconservativa, tenute sottovuoto e sussurrate umilmente e mestamente.
oppure blog inguardabili e inascoltabili dove giusto lo schermo fa da velo, ma neanche.. anche quello si fa veicolo osceno, ove l'intimità -che tesoro inaudito è la nostra intimità, che valore assoluto la sua segretezza e condivisione con chi amiamo- diventa svendita mercificata e ostentata, ovviamente falsificata dalla parola camuffata da verità, ovviamente peggiore versione di noi stessi con i genitali e i visceri eposti come fossero realmente veicolo di eccitazione e non carne putrefatta e maleodorante.
inutile rimarcare che i confini della moralità hanno debordato oltre l'inverosimile, e che la vergogna, sentimento sano e appropriato alla conservazione di noi stessi, è diventata merce rarissima e preziosissima. la perdita della vergogna, l'oscenità, è diventata catalizzatore, elemento unificatore di chi confonde la spudoratezza con la sincerità, l'esposizione con l'espressione, la carne con l'intimità. episodi in altri tempi vergognosissimi possono diventare "sprazzi di splendore mediatico".
ma è dalla vergogna che si può ripartire, direi solo da lì. perchè il narcisismo iper esposto mediaticamente, e non, è l'apoteosi dell'annullamento dell'altro, l'imposizione frastornata e depersonalizzata del proprio esistere e l'esistere dell'altro solo in base ai propri bisogni.
su "la lettura" di circa un mese fa ho avuto il piacere di leggere un bell'articolo di Maria Laura Rodotà che recensiva il libro di una sociologa, Gabriella Turnaturi "Vergogna", edito da Feltrinelli, sottotitolo "Metamorfosi di un’emozione". Gabriella Turnaturi ripropone il «buon uso» di un sentimento quasi scomparso di fronte al dilagare del narcisismo generalizzato.
È casomai anomalo il comune sentire italiano. Quel «così fan tutti» (abusi edilizi, evasione fiscale, corruzione diffusa, familismo amorale) che «sottrae qualsiasi azione alla possibile riprovazione e mette in mora la vergogna». O meglio, la trasforma in «vergogna rimbalzata»: che «s’invoca su quelli che non assumono il “così fan tutti” come regola, che intralciano gli affari e le autorealizzazioni». E così «la vergogna ricade su quelli che oggi con disprezzo sono chiamati “i moralisti” e “gli scocciatori”». Di recente, gli scocciatori (più che i moralisti) sono in grande spolvero. Ma il loro agire non è ispirato a un’idea di vergogna vecchio stile. Perché «le attuali metamorfosi della vergogna si sviluppano in un contesto di narcisismo di massa, in cui l’altro esiste solo come e quando voglio io».
Fanno così i Beppe Grillo e i ragazzi di Maria De Filippi. E lo facciamo noi quando parliamo al cellulare di cose personalissime in treno o al bar. Non ci vergogniamo più per comportamenti che infrangono regole sociali ormai debolissime. Sostiene Turnaturi: «La vergogna è un’emozione che prevede il comune, l’essere con. Ma che cosa ne è della vergogna nell’epoca dell’individualismo atomizzato che s’impone sulla comunità?». Continua a esistere, con altre cause: magari diventa «la vergogna di poter diventare un consumatore debole», causa perdita del lavoro e/o della capacità di acquisto. Turnaturi segnala «il nesso contemporaneo fra vergogna e depressione… Ogni fase di stallo o di difficoltà diviene sinonimo di patologia e inadeguatezza. Il non comportarsi conformemente al modello vincente produce vergogna e depressione, perché ci si ritiene responsabili di questa inadeguatezza».
Forse per questo, «la vergogna da depressione o la depressione da vergogna» toccano meno la overclass globale, scrive Turnaturi: i finanzieri responsabili di crac, le celebrità pasticcione, i politici imbroglioni. Oggi specializzati nel rito autoassolutorio delle scuse. Che suscitano empatia nel pubblico, e consentono dopo poco di ricominciare a fare cose vergognose. Tra gli scusatori di successo, l’autrice cita Bill Clinton (un fuoriclasse) e il golfista Tiger Woods. E gli scusatori italiani, anche qui anomali. I politici indagati che si scusano con «la mia famiglia» e non con i cittadini. Che proclamano «sono sereno», mostrando «scissione dell’Io e malafede costitutiva». Sono comportamenti che non possiamo ignorare, se pensiamo, come lo storico Carlo Ginzburg, che «il Paese a cui si appartiene non è quello che si ama ma quello di cui ci si vergogna».
D’altra parte: la metamorfosi della vergogna ci ha anche liberati, nei comportamenti personali e sociali. Ma è un sentimento socialmente costruito, da maneggiare con cura. Conclude Turnaturi: «Sarebbe preferibile non invocare troppo spesso la vergogna. Meglio sarebbe se ognuno si vergognasse un po’ di più». Per capire i propri limiti, per «rafforzare l’interdipendenza, i legami, le relazioni». Per darsi una regolata, par di capire.
non so gli altri, io mi vergogno molto, troppo spesso.
io appartengo forse alla sponda dei malati di vergogna.
la mia emotività è costante fonte di imbarazzo, oltre che di tachicardie che, come una miccia, fanno esplodere il cuore. il mio eccesso mi viene rinfacciato ad oltranza, non posso che crederci, e vergognarmene, cos'altro? l'educazione analitica ad oggi ha portato solo lievi aggiustamenti, ma questa vergogna mi viene da lontano, da una madre che si indisponeva agli eccessi irosi di un padre. sono figlia di entrambi, mi porto questo andamento continuo logorante, questa danza di sentimenti l'uno causa dell'altro, come un'impronta indelebile nel mio DNA.
6 commenti:
non è che la vergogna sia una mancanza di autostima o di fiducia in se stessi?
Il fatto che proviamo vergogna perché diamo troppa importanza al giudizio degli altri e/o perché ci vediamo non come siamo ma come ci possono giudicare gli altri?
vergogna o pudore?
o vergogna come coscienza che quello che facciamo è SBAGLIATO?
Siamo una società cambiata a velocità incontrollata, dall'inizio anni 70 ad oggi, quasi nulla è più come prima. Ambiente, mestieri, tecnologìa, distanze tra un luogo e l'altro, e soprattutto l'Uomo, non sono più gli stessi.
Il senso di vergogna individuale e collettivo, semplicemente si è adeguato e attrezzato, per consentire la sopravvivenza della Specie. Ognuno a modo suo, impiega tecniche più congeniali a sè stesso per uscirne, e così c'è la faccia di palta di Berlusconi & affini, e quella delle persone comuni depresse, che il senso di vergogna lo vivono e come. Tra le due faccie però, quelle a rischio ludibrio, sono le prime perchè, la folla di ciambellani di cui si circondano, è sempre pronta a disconoscere i vecchi padroni per i nuovi. E' triste cara Rossa, ma sarà peggio...temo.
no, credo che non c'entri proprio nulla. ciò che non faccio o non dico per pudore davanti a estranei, per il buon senso del limite di me stessa, che per contro mi da valore, lo posso certamente fare e dire davanti a chi conosco, fidandomi. la sicurezza non c'entra, piuttosto il senso del mio valore, al contrario.
la vergogna nasce dal senso del pudore, ovviamente. il pudore è un sentimento sano e salutare, è ciò che da valore ai miei gesti e sentimenti e soprattutto valorizza la persona alla quale li mostro. non c'entra il giusto o lo sbagliato, è il senso del limite di ciò che di noi si può o si deve mostrare senza invadere l'altro di qualcosa che potrebbe non gradire.
penso che invece la perdita del senso del pudore abbia esattamente il valore contrario, la perdita della specie, dell'unicità della specie e della singolarità dell'essere. la mancanza di vergogna ci globalizza tutti, finiremo tutti per consumare la stessa merce, più nulla ci differenzierà- e sarà sempre peggio.
ciao monteamaro.
e ciao anche agli altri.
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