bianco e nero

come una foto. in bianco e nero. nessuna concessione al colore, alla spettacolarita', ai nuovi barbari. bianco e nero colori vividi dell'essenziale, solo l'autenticita' della forma. della sostanza. l'occhio vede e non si inganna.
"questo e' il mio segreto.
veramente semplice.
si vede bene solo con il cuore.
L'essenziale e' invisibile agli occhi."
Il piccolo principe. A.d.S-E.

lunedì 12 marzo 2012

la fine di Zenone


in Zenone - si legge- si era notata una certa inquietudine alchimista.
il che mi fa supporre che si vedesse in lui una tendenza alla valutazione della materia, della sua composizione, della sua astrazione, alla sua perfezione. una tendenza allo studio profondo, al di la' delle apparenze.
l’alchimia può essere definita come una disciplina teorica e pratica che si richiama al mito centrale della perfezione della materia, sia essa materia metallica, chimica o spirituale. l’obiettivo dell’alchimista era dunque quello di redimere i corpi dall’originario stato di caos, e pervenire alla loro essenza segreta. potremmo dire che e' lo studio del mistero insito in ogni cosa.
tutto questo mi è sembrato interessante e coinvolgente da subito, questo alone di mistero dei corpi, della materia, e dell'anima, dell'uno e del tutto, è presente in modo penetrante e pervasivo nel corso della lettura di questo incredibile libro.
Zenone è medico, e che medico, il medico che vorrei essere. medico capace, attento, dedito, ricercatore e, soprattutto, distante dall'oggetto, in grado di prendersi carico con la giusta distanza e di dosare con coscienza le sue cure, capace di dialogare con la morte e di capire quando la vita è ancora palpitante, quando ormai ha cessato di essere.
Zenone è alchimista, è indagatore della natura della materia, la sa dominare e codificare.
Zenone è pensatore e filosofo, libero, oltre la sua epoca.
Zenone è capace di molte cose, come si intuisce, appartiene al suo passato, è proiettato nel futuro.
dice al suo antico tutore, in cella, la notte prima dell'esecuzione:
non vi affliggete, la rivolta che vi angustia era in me, o forse nel secolo.
dentro, e fuori.

nello studio della fase al nero -da cui il titolo del libro, l'opera al nero- "l’artefice sperimentava la componente passiva della materia: i corpi si disfacevano nell’acqua mercuriale e con ciò se ne rivelava anche la "possibilità-di-non-esistere". L’alchimia gioca molto su questa tensione/ambiguità tra l’ente in quanto attualmente esistente e l’ente in quanto virtualmente negato. La dissoluzione della materia prima si può far corrispondere alla trasposizione del corpo individuale in uno stato di virtualità, alla sua apertura ad un fondo collettivo di compossibilità, con cui questo è posto in relazione alla totalità dei corpi. Da un altro lato l’apprendista sperimentava anche la propria "possibilità-di-non-esistere": nella materia al nero si rispecchiava tutta la sua im-potenza, la sua passiva incapacità a de-cidere." ...leggo su un testo sull'alchimia.
è così' che nel libro si ritrovano questi processi trasformativi e queste opposizioni,  in modo affascinante e terrificante allo stesso tempo, svolgendosi incessantemente sulla dissoluzione, non esistenza, immaterialita' e inconsistenza dei corpi, ma allo stesso tempo, e' una consacrazione dello spessore carneo e dell'insostituibilita', della regalità  del corpo che abitiamo.
io non lo so se sono una ragazza fortunata o se mi piace tutto quel che leggo, ma questo libro e' stata l'ennesima folgorazione. in verita' penso anche che moltissime cose non mi piacciono e semplicemente non ne parlo. ho anche abbastanza esperienza ormai per scegliere con buone probabilita' un oggetto che mi piace, sia materiale che intellettuale. questo oggetto mi e' piaciuto molto, mi ha portata dritta al capitolo finale, consegnadomi la morte di Zenone, empio di eresia e soprattutto di libertà di pensiero e destinato al rogo, in una descrizione della morte che mi ha avviluppata  e proiettata, appunto, nella dissoluzione, nella non esistenza, nella cessazione del battito. nell'opera al nero.
Zenone decide di morire altrimenti che bruciato agonizzante dalle fiamme, in modo consono alla sua natura, in modo decoroso, in modo rispettoso di sè, del suo nome, del suo pudore, della sua natura di medico.
sono poche pagine, proprio le finali del libro, e sono di una potenza ianudita.
è come addentrarsi nella dissoluzione, nella scomparsa, nella rarefazione.
nel nero, nell'infinito, nelle distanze senza limiti.
ascoltando sono stata percorsa da brividi, dalla paura, dalla sensazione fisica di uno spegnimento.
ci si trova sgomenti rispetto a ciò che Marguerite Yourcenar ci consegna, con un gesto di estremo mistero, nell’atto finale dell’opera al nero quando non può che ammettere che, pur addentrandosi coraggiosamente nella morte,  “non oltre è concesso andare nella fine di Zenone”.
possiamo immaginare, ma solo fino a un certo punto. oltre non si può.

Non ti diedi nè volto, nè luogo che ti sia proprio, nè alcun dono che ti sia particolare, o Adamo, affinchè il tuo volto, il tuo posto e i tuoi doni tu li voglia, li conquisti e li possiedi da solo. La natura racchiude altre specie in leggi da me stabilite. Ma che tu non soggiaci ad alcun limite, col tuo proprio arbitrio al quale ti affidai, tu ti definisci da te stesso. Ti ho posto al centro del mondo affinchè tu possa contemplare meglio ciò che esso contiene. Non ti ho fatto nè celeste, nè terrestre, nè mortale, nè immortale, affinchè da te stesso liberamente, in guisa di buon pittore o provetto scultore, tu plasmi la tua immagine.
Pico della Mirandola "Oratio de Hominis dignitate", incipit del libro "L'opera al nero" di Marguerite Yourcenar.

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