va in scena Giulio Cesare di Shakespeare.
filmano, in bianco e nero, i Fratelli Taviani.
dove inizia il teatro e dove la vita. dove finisce lo spettacolo e dove la speranza.
diciamo che in questo caso non c'è confine.
il testo di quel genio di Shakespeare tratta della libertà dell'uomo: la lotta contro la tirannia, il trionfo della libertà di scelta. siamo in un carcere, i detenuti recitano e poi tornano in cella, recitano ma sono dentro la loro stessa vita, la loro medesima lotta, il senso o nonsenso del loro essere lì.
non c'è separazione.
da quando ho conosciuto l'arte questa cella è diventatata una prigione.
dice il detenuto che interpreta Cassio. come dice la sua scheda: fine pena mai. omicidio, ergastolo.
di ogni attore si conosce la pena detentiva, di ogni attore si percepisce la pena interiore, la perdita della libertà e il desiderio di riaverla. l'arte come strumento e redenzione.
BRUTO: Che significano queste grida? Io temo che il popolo elegga Cesare re.
CASSIO: Ah sì, voi lo temete? Allora io debbo credere che così non vorreste?
BRUTO: Non lo vorrei, Cassio: eppure lo amo caramente. Ma perché mi trattenete qui così a lungo? Di che vorreste mettermi a parte? Se si tratta di qualcosa per il bene comune ponetemi l'onore dinanzi ad un occhio e la morte dinanzi all'altro, ed io guarderò ambedue indifferentemente; ché mi aiutino gli dèi tanto quanto io amo il nome dell'onore più che non tema la morte.
CASSIO: So altrettanto bene che questa virtù è in voi, Bruto, quanto conosco le vostre sembianze esterne. Ebbene, l'onore è l'argomento del mio discorso. Non posso dire ciò che voi ed altri pensate di questa vita; ma, quanto a me solo, sarei altrettanto contento di non essere, che di vivere per paventare oggetto pari a me stesso. Io nacqui libero come Cesare; così nasceste voi: ambedue ci siamo altrettanto bene nutriti ed ambedue possiamo sopportare il freddo invernale come lui:
(Grida. Fanfara)
BRUTO: Un'altra acclamazione generale! In verità io credo che questi applausi siano per alcuni nuovi onori piovuti sul capo di Cesare.
CASSIO: Ma, amico, egli sovrasta lo stretto mondo come un colosso, e noi omuncoli passeggiamo sotto le sue enormi gambe e scrutiamo attorno per trovarci tombe disonorate. Gli uomini, a un certo momento, sono padroni dei loro destini: la colpa, caro Bruto, non è nelle nostre stelle, ma in noi stessi, se noi siamo degli schiavi.
nel carcere si svolgono le prove, e prima i provini, del testo che andrà in scena sul palco, ma il vero svolgimento è lì, tra le sbarre, nelle celle, nei cortili dell'ora d'aria. alla morte di Cesare i detenuti si accalcano sulle sbarre delle celle, acclamano, protestano, urlano, incitano. non potrebbe esserci scena più vera, più potente, più autenticamente teatrale di così.
BRUTO: Che significano queste grida? Io temo che il popolo elegga Cesare re.
CASSIO: Ah sì, voi lo temete? Allora io debbo credere che così non vorreste?
BRUTO: Non lo vorrei, Cassio: eppure lo amo caramente. Ma perché mi trattenete qui così a lungo? Di che vorreste mettermi a parte? Se si tratta di qualcosa per il bene comune ponetemi l'onore dinanzi ad un occhio e la morte dinanzi all'altro, ed io guarderò ambedue indifferentemente; ché mi aiutino gli dèi tanto quanto io amo il nome dell'onore più che non tema la morte.
CASSIO: So altrettanto bene che questa virtù è in voi, Bruto, quanto conosco le vostre sembianze esterne. Ebbene, l'onore è l'argomento del mio discorso. Non posso dire ciò che voi ed altri pensate di questa vita; ma, quanto a me solo, sarei altrettanto contento di non essere, che di vivere per paventare oggetto pari a me stesso. Io nacqui libero come Cesare; così nasceste voi: ambedue ci siamo altrettanto bene nutriti ed ambedue possiamo sopportare il freddo invernale come lui:
(Grida. Fanfara)
BRUTO: Un'altra acclamazione generale! In verità io credo che questi applausi siano per alcuni nuovi onori piovuti sul capo di Cesare.
CASSIO: Ma, amico, egli sovrasta lo stretto mondo come un colosso, e noi omuncoli passeggiamo sotto le sue enormi gambe e scrutiamo attorno per trovarci tombe disonorate. Gli uomini, a un certo momento, sono padroni dei loro destini: la colpa, caro Bruto, non è nelle nostre stelle, ma in noi stessi, se noi siamo degli schiavi.
nel carcere si svolgono le prove, e prima i provini, del testo che andrà in scena sul palco, ma il vero svolgimento è lì, tra le sbarre, nelle celle, nei cortili dell'ora d'aria. alla morte di Cesare i detenuti si accalcano sulle sbarre delle celle, acclamano, protestano, urlano, incitano. non potrebbe esserci scena più vera, più potente, più autenticamente teatrale di così.
non si perde una parola di questo testo, o di questo film, o di quest'opera di teatro.
dove Bruto è Bruto e Cesare è Cesare, dove Lucio è Lucio.
il bianco e nero uniforma luoghi e circostanze, l'antica Roma e Rebibbia hanno lo stesso colore. siamo nel luogo dello stesso discorso, siamo nell'arena dei diritti dell'uomo.
Bruto parla nel Foro romano, dopo l'assassinio di Cesare.
BRUTO: Siate pazienti sino alla fine. Romani, compatriotti, e amici!
uditemi per la mia causa, e fate silenzio per poter udire: credetemi per il mio onore; ed abbiate rispetto pel mio onore affinché possiate credere: giudicatemi nella vostra saggezza, ed acuite il vostro ingegno affinché meglio possiate giudicare. Se vi è alcuno qui in questa assemblea, alcun caro amico di Cesare, a lui io dico che l'amore di Bruto per Cesare non era minore al suo. Se poi quell'amico domandi perché Bruto si sollevò contro Cesare, questa è la mia risposta: non che io amavo Cesare meno, ma che amavo Roma di più.
Preferireste che Cesare fosse vivo e morire tutti da schiavi, o che Cesare sia morto per vivere tutti da uomini liberi? In quanto Cesare mi amò, io piango per lui; in quanto la fortuna gli arrise, io ne godo; in quanto egli fu coraggioso, io l'onoro; ma in quanto egli fu ambizioso, io l'ho ucciso: vi sono lacrime per il suo amore, gioia per la sua fortuna, onore per il suo coraggio, e morte per la sua ambizione. Chi v'è qui sì abietto che sarebbe pronto ad essere schiavo? Se vi è che parli, perché lui io ho offeso. Chi vi è qui sì barbaro che non vorrebbe essere romano? Se vi è che parli; perché lui ho offeso. Chi vi è qui sì vile che non ami la sua patria? Se vi è, che parli, perché lui ho offeso. Aspetto una risposta.
I CITTADINI: Nessuno, Bruto, nessuno.
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