I campi erano chiazzati di ceppi scuri, e dietro i campi si stendevano boschi senza fine, e poi c’era lo scintillio di uno specchio d’acqua, e altre colline. Lontanissimo, le cime dentellate di Snowdon s’intravedevano bianche fra le nubi; e all’estremo orizzonte, le Alte Terre di Scozia e i flutti selvaggi intorno alle Ebridi. Orlando tese l’orecchio, se non s’udisse un rimbombo di cannone sul mare. No: il vento soltanto ululava. Non c’era guerra, oggi. Drake era morto; morto era Nelson.
“E qui” pensò Orlando, tornando con lo sguardo, che aveva errato lontano, sulle terre a lei vicine “qui era la mia terra, un tempo: quel castello fra le dune era mio e mia tutta la brughiera che arriva fin quasi al mare.” In quel mentre il
paesaggio (forse una illusione ottica prodotta dalla luce
del giorno morente) si animò, si sollevò, scosse
l’ingombro di case, castelli e boschi lungo i fianchi a
forma di tenda: e i monti brulli di Turchia si innalzarono
di fronte a Orlando. Mezzogiorno rutilava. Ella guardò
dritto al fianco del monte arso di sole. Le capre, ai suoi
piedi, brucavano le zolle sabbiose. Un’aquila si librò
alta sul suo capo. Rauca gracchiava vicino a lei la voce
di Rustum, del vecchio zingaro: “Che cos’è la vostra antichità, la vostra razza, che cosa sono i vostri beni, se li
paragonate a questo? A che vi servono le vostre quattrocento stanze, e i coperchi d’argento sui vostri piatti, e le
cameriere che spolverano?”
In quel momento, il campanile d’una chiesa tintinnò,
giù nella valle. Il paesaggio-tenda cadde, si sprofondò.
Ancora una volta il presente si riversò su di Orlando, ma
con minor foga di prima, ora che la luce morente mitigava ogni cosa, non rivelava più nulla di minuto, ma
solo campi brumosi, casolari in cui s’accendevano lumi,
la massa assonnata di un bosco, e il ventaglio di un riflettore che spingeva l’oscurità avanti a sé lungo una
strada. Erano suonate le nove, le dieci, o le undici? Orlando non avrebbe saputo dirlo. La notte era scesa, la
notte ch’ella aveva sempre avuto cara, la notte in cui i
riflessi, nello stagno tenebroso dello spirito, brillano più
luminosi che di giorno. Ora non c’era più bisogno di
smarrire i sensi, per guardare a fondo entro quell’oscurità in cui le cose assumono forma, per vedere, entro lo
stagno dello spirito, ora Shakespeare, ora una fanciulla
in pantaloni alla russa, ora una barchetta sulla Serpentina, e finalmente l’Atlantico, l’Atlantico che schiaffeggiava con le onde gigantesche i fianchi del Capo Horn.
Ella guardò nel buio. Là, alto sulla cresta di un’onda,
danzava il brigantino di suo marito! Saliva, saliva sempre più alto. Il bianco portico dalle mille morti si ergeva
davanti a esso.
Ah! Temerario! Sconsiderato, sempre intento – e a che pro? – a doppiare il Capo Horn in piena
tempesta! Ma ecco... il brigantino entrava nel portico, e
ne usciva dal lato opposto; era salvo: finalmente!
«Estasi!» gridò Orlando. «Estasi di gioia!» E poi il
vento cadde, le acque si distesero; ed ella vide le onde
incresparsi pacifiche al chiaro di luna.
«Marmaduke Bonthrop Shelmerdine!»
Orlando vive, la Woolf mi dice che è arrivata, dopo 400 anni di attimi e minuti di vita, al tempo presente.
nulla mi vieta di pensare che sia anche qui, ora, tra noi, vicino a me.
perchè tempo presente non significa nulla, era presente giovedì 11 ottobre 1928 (E mezzanotte batté il suo dodicesimo colpo; il dodicesimo colpo di mezzanotte, giovedì undici ottobre millenovecentoventotto) ed è presente ora, lunedì 3 agosto 2020, ore 16.36.
mi batte il cuore ora come batteva alla Woolf in quella data, e Orlando era lì con lei.
quindi è ora qui con me, uomo o donna, con lunghe gambe affusolate e molte cose da raccontare.
una magia, cara Virginia, hai compiuto una vera autentica magia.
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