Il Duale è il numero grammaticale, intermedio tra il singolare e il plurale, che indica due sole persone o cose o il fatto che l’azione è compiuta o subita da due sole persone; tipico delle lingue indeuropee antiche (sanscrito, greco antico, paleoslavo), è superstite in latino e in alcune lingue moderne solo in alcune forme atrofizzate o fossili, di solito indicanti numerali o «paia naturali» come occhi, mani, narici. Il duale si trova in greco antico nei poemi omerici come l’Iliade e l’Odissea, ma il suo uso è sporadico, e dettato soprattutto da ragioni poetiche o metriche. Nel greco classico sopravvive in alcune espressioni arcaizzanti dell’attico, il dialetto di Atene, fino al V secolo a.C., mentre altri dialetti greci lo perdono già dal VII secolo a.C. Il latino non ha il duale, tranne sopravvivenze nelle parole ambo (entrambi) e duo (due). Relitti del duale sono presenti anche in ebraico biblico e in arabo, e in molte lingue moderne, di solito per indicare le parti doppie del corpo, oppure, in inglese, per distinguere l’uno fra due dall’uno fra molti, come nelle espressioni both (entrambi), neither (nessuno dei due), former/latter (primo/ultimo dei due), between (fra due). È interessante che nelle lingue slave sia esistito più a lungo, fino al Medioevo, e in alcune lingue sami o lapponi sopravviva tuttora per indicare pronomi personali duali, che esprimono il concetto di Noi Due in contrasto con Noi.
L’atrofizzazione del duale caratterizza le lingue indoeuropee occidentali fin dalla preistoria, ma le sue ragioni non sono del tutto chiare. Di solito si ritiene il prodotto di un processo di sincretismo o assimilazione, che porta a una progressiva semplificazione (si pensi alla riduzione dei casi dagli otto del sanscrito ai cinque del greco antico, e all’ulteriore semplificazione del greco moderno, oppure alla scomparsa del genere neutro in molte lingue). Alcuni studi sul rapporto del sanscrito con le lingue indiane che ne sono derivate hanno identificato un rapporto fra la scomparsa del duale e il cambiamento del pensiero in direzione di una più marcata consapevolezza o enfatizzazione del concetto di unità. Secondo questa teoria, nella forma mentis arcaica, due cose connesse intimamente non erano considerate come separate e venivano espresse come un tutto.
A tal proposito alcuni linguisti usano il termine tedesco Gestalt, «forma» nel senso di «configurazione di un tutto significativo», il principio per cui in alcune lingue, fra cui il latino, per esprimere numerali come «diciotto» si dice «venti meno due», mettendo a fuoco prima il gruppo più ampio, poi i dettagli. Quando, però, l’idea di unità divenne preminente, parve sufficiente distinguere fra singolare e plurale. Soltanto una semplificazione o l’affermazione dell’individuo a scapito del pensiero universalistico degli antichi? Come la sopravvivenza di forme del duale ha una sua utilità in molte lingue odierne, tornare a pensare e agire anteponendo la collettività al singolo è oggi più che mai auspicabile.
L’atrofizzazione del duale caratterizza le lingue indoeuropee occidentali fin dalla preistoria, ma le sue ragioni non sono del tutto chiare. Di solito si ritiene il prodotto di un processo di sincretismo o assimilazione, che porta a una progressiva semplificazione (si pensi alla riduzione dei casi dagli otto del sanscrito ai cinque del greco antico, e all’ulteriore semplificazione del greco moderno, oppure alla scomparsa del genere neutro in molte lingue). Alcuni studi sul rapporto del sanscrito con le lingue indiane che ne sono derivate hanno identificato un rapporto fra la scomparsa del duale e il cambiamento del pensiero in direzione di una più marcata consapevolezza o enfatizzazione del concetto di unità. Secondo questa teoria, nella forma mentis arcaica, due cose connesse intimamente non erano considerate come separate e venivano espresse come un tutto.
A tal proposito alcuni linguisti usano il termine tedesco Gestalt, «forma» nel senso di «configurazione di un tutto significativo», il principio per cui in alcune lingue, fra cui il latino, per esprimere numerali come «diciotto» si dice «venti meno due», mettendo a fuoco prima il gruppo più ampio, poi i dettagli. Quando, però, l’idea di unità divenne preminente, parve sufficiente distinguere fra singolare e plurale. Soltanto una semplificazione o l’affermazione dell’individuo a scapito del pensiero universalistico degli antichi? Come la sopravvivenza di forme del duale ha una sua utilità in molte lingue odierne, tornare a pensare e agire anteponendo la collettività al singolo è oggi più che mai auspicabile.
La Lettura
7 maggio 2017
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